BluNepal – Follow the sherpa (GreenFogRecords)

blunepalE’ sempre difficile recensire un gruppo che fa musica strumentale.

Tralasciando i generi o le scelte stilistiche di qualcuno, l’immedesimazione soggettiva è vitamina essenziale per completare l’ascolto a tavolino di un disco privo di cantato e privo di quella, passatemi il termine, semplicità, con cui l’ascoltatore può entrare nella canzone.

Nonostante questo questi BluNepal sanno quello che fanno e lo sanno fare molto bene.

Il trio Genovese/Milanese si lascia trasportare da correnti che legano in maniera indissolubile il post rock con il prog rock.

Mescolare generi e suoni non è facile, e questo “Follow the sherpa” è un lavoro di cesello composto da cura maniacale per la scelta stilistica di suoni vintage ben inseriti in un contesto che guarda al futuro.

I tre: Agostino Macor ai vari sintetizzatori, Federico Branca alla batteria e percussioni e Paolo Furio Marasso al basso, riescono a ricreare un’atmosfera cupa e decadente quasi da film poliziesco che si esalta in brani come “Still Follow the sherpa” che riprende la dirompente title track, mentre  sensazioni di immersioni in un mondo lontano si hanno con “Fake” o con l’ipnotica “Morricone”.

Un disco per  puristi certamente, ma anche un disco quasi perfetto dove diverse strade si possono incontrare in un finale aperto, quasi inaspettato: chiudiamo gli occhi pensiamo alle alte vette che sfiorano il cielo chiedendoci se possiamo fare a meno di seguire lo sherpa. La risposta è no.

Lou Tapage – Finistere (LT Records)

Odore di brina e di foglie verdi smeraldo, distese di montagna e altipiani contagiosi dove prendere casa e lasciarsi cullare dal tepore dell’estate o dal camino di un dolce inverno.

Lou Tapage è sassi che hanno fatto il tempo, sassi che hanno fatto strade e case e che sono lì ferme a ricordare che le generazioni del futuro devono imparare molto dal passato.

Quasi un quadro vagante questo “Finisterre” del gruppo Piemontese, che incrocia folk al rock, il celtico delle tradizioni all’innovazione sonora.

Una band che consegna a Noi un disco che conserva gelosamente una lingua, l’occitano, in alcune canzoni e dall’altra una mescolanza di passione che viene dal cuore e si espirime nella leggerezza di ballate cantautorali e storie che fanno di ogni giorno una nuova storia da poter raccontare.

Debitori di un suono legato a gruppi come MCR e Casa del Vento, si contraddistinguono da questi per testi meno combat folk, ma legati maggiormente alla narrazione di vicende come in “L’uomo in nero”, “Nice” o nel racconto del cambio delle stagioni che si fa realtà in”Com la brancha de l’albespi”.

Un disco fatto per il viaggio, dove poter avere un strada lunga e infinita davanti da percorrere con la musica dentro, capace di ricreare luoghi e personaggi di un tempo lontano.

Joseph Martone and the travelling souls – Where we belong (Autoproduzione)

joseph martone Due cugini: Joseph Martone cantautore di origine campana, ma con radici impresse nel sound del sud stelle e striscie, e Tom Aiezza già collaboratore, fra gli altri, di Bob Dylan e Neil Young.

Un legame che va oltre l’apparenza e che dopo un periodo lungo di gestione porta al compimento del primo album autoprodotto “Where we belong”.

Un sound desert dark rock con incursioni folk e cantautorali  dove alla chitarra acustica, sempre in primo piano, si affiancano fisarmoniche, harmoniche, trombe e sintetizzatori che amalgamano una scena condita di classic senza essere troppo esuberante e valorizzando fino all’ultimo strumenti per quanto conosciuti, del tutto inusuali.

Viaggiare quindi nel deserto del Mojave con appresso una coperta e la possibilità di accendere un fuoco che scaldi una notte fatta di ricordi e pensieri dove passati incrociati regalano emozioni da condividere ad ogni fiammella che divampa.

Canzoni incisive si ascoltano nella bellissima e solare apertura “Show me the way” per proseguire con la Caposelliana “Ego sum”, unica traccia in italiano del disco.

Un brano che ricorda il miglior Tom Waits lo troviamo in “Once”, mentre la canzone di chiusura “Shine on me” rilascia magicamente polvere di stelle.

Canzoni d’amore e di abbandono, solitudine e speranza, morte e vita fanno da perfetta colonna sonora al cowboy dal corpo stremato che avanza inesorabile su granelli infiniti di sabbia giallo sole nell’attesa che l’acqua scenda dal cielo e ricomponga le parti perdute.

Flebologic – G.I.A.D.M. (God is a drum machine) – (El-Sop recording, Jestrai)

I bergamaschi ci danno di brutto con questo flipper impazzito e distorto tanto punk quanto new wave e territori affini.

Un’esplorazione continua di strabismo musicale non lineare che regala centimetri di sogni e prorompenti visioni di mondi paralleli.

Un concentrato di foglie da aspirare che non si divincolano tanto facilmente perchè tra le corde elettriche che suonano, il rumore che ne deriva è un misto della scena newyorkese e di Chicago targata ’70, ’80 che suona sporca e degradata, dove dalle viscere tutto nasce e si trasforma.

Queste nove canzoni sono un toccasana per le malattie del tempo, una flebo di liquido che ci porta alla convinzione che alcune canzoni sono state create e strutturate per far saltare anche chi si sente fermo immobile, per far saltare chi si sente stanco per sempre.

E allora: mordenti quanto basta per farti alzare i capelli  al cielo e gridare fino ad un nuovo giorno i Flebologic confezionano un album da ascoltare in un solo sorso da digerire in poco più di mezz’ora.

373° K – Lontano (Autoproduzione)

I 373°K confezionano un album di puro stampo rock con matrice scenica che affonda le radici in un genere d’annata che ricorda il periodo italiano di fine anni ’80 inizio ’90.
373C’è cura nei suoni e nella stesura dei testi il tutto è identificato dalla capacità di condire con piglio acceso sonorità heavy con morbido tatto.

I 4 bolognesi si identificano con lo stato di ebollizione del pensiero, al quale sono riusciti ad approdare vivendo con fatica nella società contemporanea.

Il loro è un hard rock che vagheggia tra i primi Litfiba e i Timoria, passando per Scorpions e Europe.

Il singolo “Lontano” raccoglie un’eredità di disillusione che porta verso tempi maturi per il cambiamento.

I testi in generale sono ammonimenti verso un mondo che non ci vuole dove i perdenti sono di casa e le scommesse che si perdono sono segni indelebili su di una pelle innocente.

Canzoni che si fanno ricordare le troviamo nelle ballate “Intera” e “Gli angeli”, mentre gli altri pezzi sono caratterizzati da suoni più pesanti e distorti che lasciano poco spazio all’immaginazione.

Le idee ci sono e anche la cura negli arrangiamenti non è da sottovalutare, quel che spero per questa band però, è di slegarsi dal filone preimpostato che caratterizza un certo rock italico per affondare le proprie radici in un genere più originale e magari meno intuitivo: le capacità ci sono e sono molte.
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Antonio Manco – Ok…il momento è giusto (Autoproduzione)

Antonio Manco confeziona un album di antoniomancopura e reale matrice rock, con ammiccamenti post ’70 e un approccio al brit-pop con sguardo vicino alla canzone d’autore sussurrata nei pensieri e percepibile lungo quel filone dove energia e poesia vanno a siglare 8 pezzi da cuore aperto e ritorno alle origini.

Il giovane cantante partenopeo è accompagnato dall’inseparabile band dei “Briganti”, esplosioni sonore di raro pregio, che trovata la fusione giusta di genere, dopo svariate formazioni, registra “Ok … il momento è giusto”.

L’album è l’incontro tra il vivere quotidiano e i pensieri ridondanti di un giovane alle prese con i problemi di una cieca società.

Il filone dantesco del viaggio corre lungo il filo del rasoio e Antonio si identifica in un continuo sali scendi senza vie di fughe, il linguaggio delle volte si presenta diretto a tal punto da sembrare sangue che, lì pieno di rabbia, non riesce ad uscire, non riesce a contribuire alla nascita di qualcosa di importante per un cambiamento futuro.

Le sonorità sono principalmente di puro stampo rock, da chitarra alzata e riff sempre pronto; i temi trattati invece rispecchiano un animo inquieto e turbato in tutte le tracce del disco.

Ottima prova direi per un ragazzo di soli 24 anni, un prova che ha il gusto del nuovo, nonostante il saturo genere; ad Antonio il pregio di essere riuscito a riversare in poco più di trenta minuti, rabbia e malinconia, speranza e fiducia, per un cambiamento che deve partire solo ed esclusivamente da noi.

Lennon Kelly – Lennon Kelly (IndieBox 360)

I “Lennon Kelly” sono pura passione per il folk sostenuto e ricco di spunti poetici.

L’entroterra rolennon-kelly-musica-streaming-lennon-kellymagnolo dona con stile un progetto quasi immacolato in cui 7 giovani prendono tutto ciò che di buono è stato fatto nel panorama combat – folk trasformandolo alle orecchie in suoni più rock distorti, dando quella sferzata che a mio avviso nei concerti si trasforma in pura energia per gli organi sensoriali.

Nati nel 2011 confezionano questo ep omonimo contenente canti dal piglio post – tradizionale che vengono arricchiti continuamente da strumenti come il banjo, il violino e la fisarmonica.

6 tracce cantate,  eccezione fatta per la strumentale “Berthennin” che apre il disco con leggera attesa e disincanto.

Canzoni che si fanno ben notare sono evidenziate dalla roboante “Sette nodi” e dal sali scendi sonoro in “Voglio il nome”.

Un disco ben suonato che, vista l’età media del gruppo, 25 anni, darà con gli anni, ampie prospettive di riconoscimento nazionale per i 7 giovani.

Un folk che si mescola con il punk, un pop che si fonde con il rock, energia e riflessione, musica cantautorale e ancora, come dicono i “Lennon”, tanta voglia di imparare e maturare assieme.

Sentiremo ancora parlare di loro e del loro albero musicale che sa regalare emozioni.

Parlare di radici senza essere banali: questi sono i Lennon Kelly.

Family Portrait – Lontano (Autoproduzione)

Questo è un disco magico.

Una cofamily portrait_lontano_ copertinammistione di suoni elettronici e suoni classici che prende al cuore di chi ascolta regalando emozioni sintetizzate e lasciando spazi a profumi di elettricità metropolitana condita da basi ritmiche sostenute e cori mozzafiato.

Il nuovo disco dei “Family Portrait” è una mescolanza di tutto ciò, un regalo inaspettato che il trio di Macerata scaglia tutto d’un fiato per raggiungere un’altezza infinita di rumori e suoni filtrati magistralmente.

Il gruppo si avvale in questa ultima fatica di strumentisti classici che prendono il sopravvento in canzoni come la bellissima “Tracce” o la commovente e leggera “Saturno”.

Il resto sono sintetizzatori e batterie in loop, organi e pianoforti deflagrati da una voce che ricorda la migliore Meg dei tempi andati.

Suoni che abbracciano sostanza, gatti – umani che rincorrono topi – umani, l’assenza colmata da un circuito elettronico scelto all’orizzonte mai per caso.

Un disco totalmente ben suonato e posso dire tra le più belle novità di quest’anno.

 

Mad Chickens – Kill Hermit (LadyMusicRecords)

E’ un suono sviscerale e allo stesso tempo è pura psichedelia, senza mezzi termini e mezzi misure.

Le 12 tracce che compomad chickensngono l’album delle Mad Chickens “Kill Hermit” è un concentrato di suoni lisergici e distorti in cui  la parola rumore è sinonimo di grazia pensata per un fine comune.

Le quattro (mi scuso per Nicola, ma la maggioranza è donna) manipolano suoni fino a raggiungere riverberi lunghissimi e delay incrociati da controcanti e seconde voci lasciando l’ascoltatore a bocca aperta in cavalcate senza fine e apparentemente senza una strada da seguire.

Invece dopo un secondo ascolto tutto appare più chiaro, gli spiriti affini a questa band: vedi sotto la voce Verdena, Nirvana, Marlene Kuntz, il post grunge e i suoni più acidi ’70, si incontrano per una riunione sul futuro della musica.

La sentenza riassunta la troviamo nella traccia d’apertura “Kill Hermit/Gun in my head” e in pezzi come Fell in love, Bed Never bed e The tin Man.

Un disco che nel suo apprendere dal passato regala emozioni da conservare per gli che verranno. Complimenti!

Adailysong – Una canzone giornaliera (Apogeo Records)

adailysongE’ la melodia portante marchio distintivo di questa band gli “Adailysong” che rinfranca i giorni spesi in bilico nel  tuffarsi o meno nel mondo del pop o nel più semplice, dai più conosciuto, universo di musica orecchiabile che in questo caso indossa l’abito per le grandi occasioni per rinnovare un invito a cena da tempo perduto.

Sono canzoni d’autore impreziosite da interventi di gran classe quelle della super band campana che annovera tra gli altri: il cantautore Bruno Bavota in veste di pianista e del cantautore Andrea de Rosa che caratterizza le canzoni con una voce pulita e leggera, la quale si divincola in modo spettacolare tra i mille arpeggi e gli altrettanti arrangiamenti originali.

Le 10 canzoni prendono al cuore e neppure il più insensibile ascoltatore può rimanere inalterato dopo l’ascolto di pezzi come “Aprile” o “Polvere” per non parlare della miracolosa e meditativa “Destino”.

Sembra di ascoltare i Non voglio che Clara che dialogano con Paolo Benvegnù nelle profondità di un abisso inesplorato, tanta è la distanza che percorriamo per raggiungere divagazioni di forme mutevoli, rimanendo incollati alle nostre sedie.

Un disco che guarda ai giorni con malinconia, il primo disco, questo, per Apogeo Records, con l’augurio che ce ne siano altrettanti  in grado di farci catapultare su pianeti senza un nome e dentro pensieri che non sono di questo mondo.