EilDentroeilFuorieilBox84 – La fine del potere (Trovarobato)

Qual’è il tuo sogno per distruggere il potere? Cosa faresti per un mondo migliore? Cosa scegliere e quando scegliere?

Il trio Eildentroeilfuorieilbox84 sono una band romana nata nel box auto numero 84 e formata da: Giuseppe Maulucci, Giorgio Rampone, Lorenzo Lemme che nel loro quarto disco “La fine del potere” si interrogano con domande esistenziali, non sempre di facile comprensione, ma sicuramente necessarie per cambiare il nostro modo di vivere, su una società corrotta e capitalista.

La cover dell’album è molto semplice, sembra quasi fatta da un bambino, ma racchiude al suo interno una forza misteriosa e dirompente.

Uno spaventapasseri in copertina, tra i ciuffi d’erba e un campo di grano, un ritorno alle origini, a ciò che ci lega e ci rende comuni: la terra.

La metrica delle canzoni è legata a una ripetizione ridondante di termini, parole, ritornelli gridati per farsi sentire, voci in loop quasi infinite attorniate da suoni che ricordano la natura.

Musicalmente il trio è cresciuto, anche perchè in questi anni ha potuto condividere i palchi di tutta Italia con artisti come Caparezza, Zen Circus, Giorgio Canali, Offlaga Disco Pax, Benvegnù, Tre Allegri Ragazzi Morti, Bud Spencer Blues Explosion, The Niro, IOSONOUNCANE; maturazione che li ha portati a scrivere e comporre un album fresco e moderno, ricco di improvvisazioni e spunti ritmici, quasi più lineare dei raptus jazzistici del precedente, anche se da un lato più ricercato in quanto concept album compiuto.

Non è un album facile al primo ascolto, anche se la tecnica musicale sfiora la luna.

Il trio ci propone un vademecum di gesti quotidiani per essere diversi: da come raggiungere “La fine del potere” alla “Consapevolezza” di una “Riforma” per “L’acqua” che parte da una “Rivolta” e da “Antisogni” veri e non creati con l’immaginazione, solo così ci avvicineremo allo stato di “Natura” uno stato dove sedersi sull’erba e fare un pic-nic con l’umanità.

http://www.eildentroeilfuorieilbox84.org/

 

Elettrofandango – Achab (Blinde Proteus)

Achab morirà in combattimento, colpito da una freccia, e i cani leccheranno il sangue delle sue ferite come aveva preannunciato il profeta Elia

I cani stanno abbaiando e qualcuno entra, rumori di catene e passi svelti sulla nave, il cielo si riempie di presagi negativi: ecco in scena gli Elettrofandango.

Chitarre poderose e voce teatrale per un disco che risveglia desideri di entrare in un’epoca sconosciuta dove i galeoni solcavano i profondi mari in cerca di incubi perduti.

Terza prova per questa band infernale che mescola sapientemente rock alla Nine inch nails e testi completamente in italiano: Alberto Ferrari e Capovilla Pierpaolo sul molo di notte.

I quattro veneziani fanno assaporare in qualche modo la loro terra lagunare: “Achab” è un concept album che parla del lato oscuro del mare.

Così possiamo immaginare Francesco Montagner, Stefano Scattolin, Marco Giusto e la voce abissale di Giovanni Battista Guerra con la loro strumentazione: fusti e ferro, basso, pianoforte, sintetizzatori e chitarre che suonano a poppa di una nave che traghetta anime nell’aldilà.

Il suono è potente e intrigante, ascoltarli è come guardare un film di Romero dal di dentro: tutto appare chiaro e allo stesso tempo inquietante.

Sette tracce di poesia hard rock con citazioni mai banali e scontate, dove da farla da padrone è un delirio di suoni aspri e pericolosi che fanno vibrare e lasciano solchi incolmabili.

Mi auguro che un gruppo di questo livello possa trovare il giusto spazio tra la deriva folk dell’ultimo periodo, mi auguro che ci sia una vera e propria scelta su ciò che vale musicalmente in Italia, un vero e proprio giudizio e non mi riferisco al Dente…del giudizio.

http://www.elettrofandango.com/

 

Julie’s Haircut – The Wildlife Variations (Trovarobato e Woodworm)

Ritorno, dopo 3 anni, sui palchi di tutta Italia, per i Julie’s Haircut con l’album “The Wildlife Variations”.

Disco in digitale e in un numero limitato di vinili per collezionisti e fan della prima ora.

Il gruppo, già presente dalla metà degli anni novanta, risulta essere più maturo nelle sonorità e nell’approccio ai testi sia a livello di contenuto che di comunicazione.

L’album è una miscela eterea di suoni alchemici magistralmente fusi in un suono unico e riconoscibile, ep che si accinge a fare da preambolo al disco vero e proprio che uscirà a fine anno.

4 canzoni che parlano dell’uomo alle prese con la natura, del rapporto tra magia e scienza; il tutto condito da numerose citazioni come in “Johannes” dove Keplero è inteso come personaggio emblematico accompagnato dalla teoria della “musica universalis”.

Questo infatti è l’universo dei Julie’s Haircut, parte intrecciata di un mondo diviso dal male e dal bene, dall’uomo e dalla natura appunto.

Nascosto tra gli alberi “Joycuttiani” troviamo Heidegger che assiste al concerto dei Beatles del White Album che per l’occasione sono accompagnati all’elettronica da Jhonny Greenwood.

In rigoroso silenzio si attende il finale, mosso dalla splendida “Bonfire” e dalla degna coda di “The marriage of the sun and the moon”.

Heidegger si alza in piedi e applaude, sorridendo alla luna.

Mariposa – Semmai Semiplaya (Trovarobato, Aprile 2012)

 

I Mariposa ritornano. Ritornano con un album esclusivamente in vinile.

Non c’è da stupirsi, una scelta incisiva, contro il mercato, per una band così in controtendenza con qualsivoglia regola imposta, ma che continua a incuriosire gli estimatori del genere.

Un gruppo certamente che non ha bisogno di molte presentazioni: sono un settetto “multietnico”, con elementi provenienti dal Veneto, dall’Emilia, dalla Toscana e dalla Sicilia.

Musicisti professionisti che provengono da diverse formazioni come Afterhours, Zzolchestra e Hobocombo.

Ritornano con suoni più seventy e con una nuova voce: Serena Alessandra Altavilla dei Baby blue.

Dal 2011 la voce storica, Alessandro Fiori, decide di intraprendere una carriera solista (Attento a me stesso) e la band inizia a collaborare con la voce di Alessandra; voce molto particolare e vellutata certamente un cambio drastico, ma non per questo da svalorizzare, anzi questo “bel canto” permette di dare un senso a passaggi più melodiosi e di sicuro impatto.

L’album parte con la rivisitazione in inglese “Pterodactyls” della loro canzone “Pterodattili” presente in coda al disco, un pezzo veramente d’atmosfera: cembalo vibrante, chitarra acustica a 12 corde e batteria in lontananza con una voce quasi arrabbiata che si mescola nel finale all’harmonica indiavolata.

Con “Tre mosse” sembra di stare in un videogioco anni 80 creato da Ian Anderson e da Il genio: fiati di Enrico Gabrielli in primo piano, assieme alle tastierine “Casio” per bambini e batteria elettronica; “ma perchè canto se non ho un cazzo di voglia di cantare?”.

Avete presente Julie Cruise in Twin Peaks che canta Nightingaile?Ecco a voi la rivisitazione più dilatata nel tempo.Con “Pompelmo rosa” sembra di essere seduti ai tavoli di quell’oscuro locale: da brividi.

Frustalo” è una canzone contro la società moderna, “se le cose vanno bene: frustalo!”; ritmi e musiche più vicine alle sonorità di un tempo.

Chambre” canzone in francese che precede “Specchio”: qui sembra di ascoltare i migliori Crosby stills nash & young.

Il disco termina con la poesia musicale di “Pterodattili” qui riarrangiata e cantata in italiano.

Quasi una ninna nanna all’inizio, che prende vita, dopo pochi secondi, nel vortice di colori che i Mariposa sanno creare in ogni secondo del disco.

Il gruppo sa dare lezione di stile, anche con questo album che sembrerebbe suonato con strumentazioni molto lo-fi, in verità racchiudendo melodie ricercate; valorizzate dai singoli componenti.

L’unico neo, aggiungo forse per i molti, il supporto in vinile, ma poi mi fermo e mi chiedo: i molti possono ascoltare e comprendere l’importanza di tutto questo?

Nova sui prati notturni – L’ultimo giorno era ieri (Dischi obliqui – 2011)

Ed ecco dal silenzio più totale una musica che proviene da lontano e delle voci che si sovrappongono una femminile e una maschile: mai inizio fu più bello per la cover e chiamiamo la cover di “Signore delle cime” del Maestro Bepi De Marzi.

A scalare questa impervia montagna per arrivare fino alla cima sono i vicentini “Nova sui prati notturni”.

La band è all’attivo dal 2011 con Giulio Pastorello e Massimo Fontana che dopo un album completamente strumentale si avvalgono, ampliando l’organico, di Gianfranco Trappolin alle percussioni e Federica Gonzato al basso per l’esordio su “Dischi Obliqui” de “L’ultimo giorno era ieri”.

Canzoni sviscerali che creano atmosfere cupe e oniriche dove si incontrano, chiudendo gli occhi, Mars Volta e Sigur Ros, PGR e Gatto Ciliegia contro il grande freddo.

In “Oggi” poi tutto questo trova un punto d’unione, sembra quasi di ascoltare “Senza Peso” dei MK, tanto il suono è debitore del indie-rock piemontese, ma cosparso di passaggi dilatati.

“86” sembra uno sfogo alla CCCP, con un cantato urlato in lingua albanese, ma ricco di quella nostrana genuinità che ti fa dimenticare presto la band “ferrettiana”.

In “Tempo celeste” Francesco Bianconi sembra cantare questa splendida canzone con Federica, fino all’entrata della chitarra non ancora distorta, non ancora pronta a lacerare l’aria e a lasciare in cielo polvere di stelle o “Cuori di tenebra”.

“Dodiciminutieundicisecondi” è un egregio esempio di rilevazione ambientale per chitarre e bassi, suoni che ti rapiscono mentre ti fanno sudare leggerezza preparando il palato all’immersione canora di “Malkuth (il regno)”.

Con “Nova sui prati notturni” ci accingiamo alla fine di questo disco intenso che preannuncia un epilogo lucente, ma meditato con “L’orto dei veleni” canzone che parla dell’importanza, ai giorni nostri quasi perduta, della terra e dei suoi frutti.

Non è un album per tutti e per fortuna aggiungo io, sicuramente il gruppo va testato in chiave live, magari in un anfiteatro naturale tra gli alberi di una montagna dispersa che incornicia digressioni elettriche e sussurrate.

Una formula originale per una band che regala sempre novità nella ricerca musicale e una felice realtà per una provincia chiusa e poco proponsa a gruppi di questa caratura.

Panda Kid – Scary Monster Juice (Autoproduzione 2011)

Il vicentino Alberto Manfrin, in arte “Panda Kid”, già da un po’ di tempo calca i palchi della scena underground provinciale e in parte regionale con il suo progetto one – man – band attorniato da chitarre elettriche vintage e grancassa tuonante, creando atmosfere surf, garage e punte di lo-fi.

In questa prova intitolata “Scary Monster Juice” si fa aiutare dagli amici “Miss Chain and the Broken Hells” “I Melt” “Il buio” e “No Monster club”.

Panda Kid, come nei precedenti album, è una miscela fisica, scanzonata che non si chiede troppi perchè su quello che scrive e suona, nella sua musica si possono trovare e ascoltare echi di “Beach Boys” nelle parole ridondanti di “Junkie girl” o “Your Candy”, in “Garage on the Beach” invece abbiamo un inizio alla “The Who”, ma batteria molto più cupa alla “The Cure”.

La canzone “Long long summer” sembra chiedere alla bella stagione di rimanere in posa per una fotografia fuori dal tempo.

“Surfer girl”, invece, ricorda i “Pavement” di Stephen Malkmus, una voce con cori in lontananza quasi confusa dal vociare di chitarre in secondo piano. Forse quest’ultima la canzone più incisiva del disco.

Un Lp che si conclude con la quasi stonata“Cookie Weed” e con la chitarra acustica che ricorda “White Stripes” dei tempi migliori.

Un progetto alquanto originale che ti porta la spiaggia fuori dalla porta di casa.

Un’estate sotto l’ombrellone sorseggiando cocktail e guardando belle ragazze.

Un’estate insomma che non vuole finire.

Il maniscalco maldestro – Ogni cosa al suo posto (Maninalto!/Venus)

Ogni cosa al suo posto”…esce il 13 aprile 2012 per Maninalto!/Venus, terza uscita discografica pela band toscana Il Maniscalco Maldestro.

Un lavoro registrato presso il White Rabbit Hole Studio con la produzione artistica di Nicola Baronti e che arricchisce la ricerca sonora con nuovi percorsi rispetto ai dischi precedenti.

La traccia d’inizio “E tutto muore” (la prima è una strumentale) si apre con una batteria alla “Song 2” del gruppo britannico “Blur”. Le atmosfere sono però molto rarefatte rispetto agli inglesi con echi di Marlene Kuntz e Led Zeppelin.

Suoni crudi, in tutto il disco, accompagnati da una batteria perfetta coadiuvata dalla altrettanto originale sezione ritmica del basso.

Sembra di sentire gli ex-”Sux” di Giorgio Ciccarelli in questo lavoro mescolato da puntuali presenze di suoni, rumori e voci.

Il cantato è ricercato, Antonio Bartalozzi è una voce contro il consumismo, non solo commerciale, ma anche di amori, una voce contro il consumismo dell’anima.

Le armonie rock non sono banalizzate e americanizzate, il tutto è un flusso contaminato quasi immacolato, con forti dosi di originalità.

Il maniscalco è un gruppo che stupisce già dalle prime note e con “Ogni cosa al suo posto” si tocca forse il punto più alto del progetto.

Atmosfere funk, rock, elettronica: “RATM”, “Korn”, “Frank Zappa” fanno da apertura a “Ennio Morricone” in “Questa sera”.

Si parte con la strumentale “Ingresso” per finire con la strumentale “Uscita” passando per “…i tuoi coltelli in aria sono volati via…” il maniscalco però rimane a testimoniare che il rock italiano non è ancora morto.


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