Del Sangre – Il ritorno dell’indiano (Latlantide)

Luca Mirti è lo Springsteen italiano e dopo questa affermazione potrei chiudere qui la recensione e invece per dovere morale nei confronti di questo disco, davvero notevole, mi dilungherò ancora un po’.

Del Sangre è un progetto sostanzialmente di due persone in pianta stabile Luca Mirti per l’appunto alla chitarra e alla voce e Marco Lastrucci al basso, questi due uomini, attraverso il loro nuovo disco, sono stati capaci di dare vita a un corollario di racconti immaginifici, sociali, veritieri e di protesta, toccando punti altissimi di poesia musicale e rievocando, alla maniera del Boss, gli spiriti di un passato non troppo lontano: tra riserve indiane e ghetti di periferia il mondo creato dalla band toscana pullula di personaggi che danno un senso tangibile alla realtà, il tutto accompagnato da una voce toccante e disinvolta in un uso dell’ italiano che mai avrei pensato fosse così incisivo, in bilico tra un Bennato d’oltre oceano e un Johnny Cash appena uscito di galera.

Un disco che tocca l’anima e si fa ascoltare più volte, grazie anche alla presenza di collaborazioni prestigiose, come quella di Fabrizio Morganti alla batteria già con Casa del Vento, Irene Grandi, Patty Smith solo per citarne alcuni per passare alla chitarra di Giuseppe Scarpato, il sax di Claudio Giovagnoli, l’hammond di Paolo Durante senza dimenticare il pianista Gianfilippo Boni in veste anche di cooproduttore.

Un album che fa spalancare non solo gli occhi su questa società, ma ci rende partecipi di un pensiero collettivo e diffuso troppe volte dimenticato.