Il confine – Il cielo di Pryp’jat’ (ALKA Record Label)

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Potenza lirica controllata come fosse un’opera da esibire in una definizione primitiva di un suono rock ricercato e luccicante capace di imprimersi nei deserti della nostra mente in simultanea ricerca di un passato che non esiste, ma che si fa portatore di radici essenziali per comprendere appieno la poetica di questa band. I suoni sono granitici e si imprimono nella memoria ricordando per certi versi la potenza stellare e legata al palcoscenico del Teatro degli orrori anche se qui i testi sono quasi criptici e collegati ad un mondo in decadenza dove il respiro si fa corto e gli attimi di vita sono relegati al buio più profondo. In tutto l’album si respirano i dolori della centrale di Cernobyl e della sua esplosione; attorno a tutto questo sembra aleggiare un fantasma opalescente in decomposizione che annuncia la strada in salita da percorrere e quello che sembrava vano e irrecuperabile trova un senso perfetto dentro ad ogni dove e nelle laceranti canzoni di questo disco. La presenza inoltre, di validi strumentisti, ci accompagna negli anfratti più nascosti da Eccedere e cedere fino a Un giorno senza vita a chiudere un cerchio profondo di ciò che è stato nella nostra memoria. Il confine ci regala una prova alquanto strutturata e potente che si fa attimo di deflagrazione e ci consente di assaporare al meglio un suono forte e ruvido, mai banale nella sua ricerca costante.

Il Confine – Ctrl+Alt+Canc (AlkaRecordLabel)

Rock che mira alla conoscenza della natura umana, che si apre alla solidità melodica per dare nuova linfa ad un genere che sembrava decaduto, un album che si racconta e racconta le voci interiori, guardando in faccia la realtà con sguardo nuovo, carico di significato e immortalato dalla fine che si attacca alla nostra vita senza mollare la presa.

Il confine ci porta all’interno di un mondo, il nostro, che intraprende una strada sempre più in salita e sempre più sbagliata, abbandonando energia pura, sacrificando tutto ciò che abbiamo per un qualcosa a cui non siamo in grado di dare un nome, per un qualcosa che ci vede sempre più distanti e frenetici in una vita che non riusciamo a fare nostra, una vita che non riusciamo a riconquistare.

Sette tracce che sono immagini di un mondo in cambiamento, suonate con maestria e ammiccando ad un qualcosa di già sentito tra cavalcate di hard rock e un misto di pop consumato e levigato dal vento.

Siamo senza scelta, non possiamo fare altro che subire?No il punto d’incontro tra questo infausto pensiero si esprime in modo esemplare nei concetti che successivamente si aprono nel disco: noi uomini inermi dobbiamo combattere per essere diversi, affrontare la realtà Nello spazio e nel tempo per affondare le nostre radici in Paradisi complicati, lasciando Scie luminose e rimarcando la capacità e l’intenzione di compiere Sogni lucidi e concreti.

Un album di speranza e sogni da realizzare, un disco che si concentra sull’intenzionalità dell’essere diversi, tra reale decadenza e velata ironia, un album che conquista già dal primo ascolto, tra notti insonni e incubi da uccidere.