Fukjo – Quello che mi do (Autoproduzione)

L'immagine può contenere: notte

C’è della tossicità in questa musica d’autore che si esprime attraverso melodie alternative e psichedeliche capaci di dare un senso e un nome alle rotture dell’animo umano in una auto analisi di immagini preponderanti che si condensano nell’attimo prima dello scoppio di una musica rock fatta di costrutti e strutture non delimitate e delimitabili, ma piuttosto una piena coscienza di una potenzialità mai immediata, ma incanalata nel bisogno di scoprire la parte più oscura di noi in un fare i conti perenne con la nostra storia, con la nostra memoria in espansione, per cinque pezzi, quelli della band pugliese Fukjo che abbandonano strade e porti sicuri per lasciarsi andare a nuove scoperte mai delimitate, ma sperimentali quanto basta ad incrementare un noise centrato, un noise mai così disturbante, ma un suono di salvataggio capace di abbracciare limiti e confini dei nostri sogni, dei nostri incubi più remoti.

I giardini di Chernobyl – Cella Zero (Zeta Factory)

Un pugno lacerante allo stomaco, li avevamo conosciuti qualche mese fa con il singolo Un infinito inverno, ma qui parliamo della completezza che incarna rumore, un misto di rabbia e abbandono, sudore e coscienziosa reminiscenza verso il passato, quel grunge abbandonato negli anni ’90 che si intreccia in modo maniacalmente perfetto con il nu metal del post 2000 fino a coprire territori di sospensione sonora che incalzano e relegano il tutto in modo da far scoppiare solo ciò che è veramente importante.

Un cantato in italiano condensato  che convince, ha il sapore della pioggia d’autunno, un misto tra il ricoprire spazi infiniti e la certezza sicura di arrivare diritti ad un bersaglio, alla sostanza del rock che è fatto si di rumore duro e puro, ma anche di emozioni.

Si perché i nostri sanno anche emozionare, sanno colpire basso quando meno te lo aspetti e soprattutto lo sanno fare bene, immaginifica meraviglia che si scopre traccia dopo traccia, canzone dopo canzone partendo da Noir e finendo con Iago in un vortice che è sodalizio tra passato e futuro, tracciando una nuova strada.

Se parliamo di  influenze italiane ci sono i primi Afterhours, ci sono i Verdena più introspettivi e anche gli Orrori, quelli del teatro, si, infatti il disco è stato prodotto anche dal Ragno, quello del teatro appunto, quello che con dimestichezza da veterano passa da One Dimensional Man a Non voglio che Clara, suoni così totalmente diversi che si fanno stimoli essenziali di vita.

Costrutti e geometrie schematiche che colpiscono al cuore.

Questi sono i Giardini di Chernobyl e di certo non potete perderveli.