Alberto Gesù – Santi e sirene (Autoproduzione)

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Abbandonati i synth del precedente album, Alberto Gesù confeziona un disco alquanto differente rispetto al passato; pur mantenendo la solita ironia pungente il nostro si abbandona ai flutti della ragione o dell’oblio, dico io, per argomentare, attraverso ballate di vita vissuta, un mondo in declino, in decomposizione che si fa trasportare da finali inevitabili, ma di certo non scontati. Dentro a queste dieci tracce ci sta l’amore per la musica d’autore italiana, ci si sentono echi di Bennato e del più recente Dimartino passando per i concept a cui ci sta abituando da un po’ di tempo Capossela. Santi e sirene è un insieme di canzoni che parlano di mare, di avventure e di occasioni perse, un album caratterizzato dalla presenza costante di un violino dominante e di un buzuki a far da contraltare quasi fosse un’elettrica solista e di un simil wurlitzer ad aprire il pezzo Stupidi nel finale, per arrangiamenti davvero degni di nota e che si contraddistinguono per incrocio possibile e convincente di passato e modernità. Un gusto inconfondibile per il particolare e una passione per le sovrastrutture musicali permettono alle canzoni di uscire dalla coperta il tutto esemplificato a dovere nella title track, canzone che in qualche modo contiene il significato dell’intero lavoro: perché ogni piccola onda, alla fine, è una scommessa e Alberto, questa scommessa, l’ha di certo vinta.

iasevoli – Bolero! (Lavorare Stanca)

Si naviga seguendo i fiumi dell’America più nascosta percependo un senso degno di essere ricordato, un valore aggiunto che si sposa con la ricerca di un’estetica fatta di rumori in lontananza e atmosfere desertiche dove imbrigliare la propria mente in una tempesta di sabbia immaginifica e purificante, non sapendo quando si parte, non sapendo quando si arriva, il viaggio è una costruzione stratificata di elementi contrapposti che iasevoli sa percepire, comprendere e farci vivere attraverso melodie sbilenche inframmezzate dalle tastiere di Fabio De Min dei Non voglio che Clara, in veste qui anche di produttore del disco stesso, per 19 pezzi che si aprono a intermezzi strumentali ricordando la bellezza dell’attimo appena concluso, in citazioni letterarie che si fondono con la vita di tutti i giorni, con la nostra realtà, da Hugo Pratt e il suo personaggio più celeberrimo Corto Maltese in Una ballata del mare salato e Mari del sud a Salgari in Tigre del Bengala fino a raggiungere una bellezza che è essenza stessa del viaggio in canzoni come Un’estate distratta e lasciandosi andare alla deriva metafisica in pezzi come Horror che ben si lega con La realtà, quasi a comporre un quadro ben congegnato e stratificato da ascoltare in dissolvenza fino al nuovo inizio; per approccio Gianluigi Iasevoli, voce e paroliere del gruppo, ricorda attraverso il suo cantato secco e teso, Federico Fiumani dei Diaframma, alle prese però con un allargamento della visione delle cose che sorprende per lucidità impressa, in un disco sicuramente originale spruzzato per certi aspetti da un punk emozionale impattante e sincero, a tratti onirico.

Antonio Fiabane – Torna di moda il binocolo (Lavorare stanca)

Cantautore introspettivo che raccoglie l’eredità dei tempi per trasformarla in un campo di grano estivo da dove poter raccogliere le migliori spighe per rendere il raccolto un frutto da scoprire giorno dopo giorno in una malinconia che accenna ad aperture velatamente cantautorali di un tempo passato con contrapposizioni eleganti e soprattutto coraggiose.

Antonio Fiabane è un cantautore con la C maiuscola, uno che da senso alla parola, al substrato che essa contiene per consegnare agli ascoltatori una prova dove la voce, di un Gaetano Curreri malinconico, si scontra con la realtà moderna, creando un post cantautorato che si discosta notevolmente dalle proposte di queste annate; Antonio guarda più al passato che al futuro, questo continuando a mantenere un legame con ciò che lo circonda, essenziale per la sua poetica.

Proveniente da Belluno, il nostro non condivide soltanto, con la band per eccellenza della provincia i Non Voglio Che Clara, l’amore per il tempo che fu, ma il disco è co prodotto dallo stesso Fabio De Min esponente di spicco del gruppo.

Gli arrangiamenti sono delicati, quasi in secondo piano e lasciano una visione d’insieme che lascia trasportare il suono lontano e in primo piano una voce personalissima e penetrante, esigenza e caratteristica essenziale per l’attesa che avanza fino al gran finale.

Torna di moda il binocolo è un disco che ci permette di vedere con altri occhi ciò che è lontano, è tanta sostanza, è un amarcord perpetuo, una fotografia di quelle a grana grossa, pastose, di un bianco e nero oltre l’apparenza e il cliché, oltra la moda: una nostalgia per i tempi migliori che non torneranno più.

Intervista a Fabio De Min dei Non voglio che Clara – Hotel Tivoli dieci anni dopo

Io IndiePerCui voglio molto bene ai ragazzi di Aiuola dischi, ma porco cacchio trovarmi Hotel Tivoli dei Veneti Non Voglio che Clara (non scrivo bellunesi perché non lo sono più) a 50 euro come rarità, ovviamente fuori catalogo, mi sembra un tantino una scelta azzardata in tempi di crisi; la cultura non ha prezzo però e qui, in questo post, dedichiamo un po’ di spazio a Fabio de Min, cantante, pianista, chitarrista, autore e fondatore dei NVCC che ha ben pensato, per i 10 anni dall’uscita di Hotel Tivoli, di ristamparlo con un nuovo mix, nuovo mastering, una nuova copertina, un poster e una bonus track.

La nuova grafica

cover hoteltivoliOvviamente, a mio modesto avviso, stiamo parlando di uno tra i migliori album di musica d’autore, uscito dopo gli anni zero, in Italia e Fabio, in questa breve intervista, ci racconta il suo pensiero proiettato nel passato, all’uscita del suo/loro primo lavoro.

  • Hotel Tivoli a 10 anni dall’uscita, raccontaci perché questa scelta.
    • Il disco era fuori catalogo da qualche anno. Da tempo pensavo a una ristampa e ho voluto aspettare di avere il tempo di rimetterci mano e curare anche l’aspetto sonoro e il packaging. Non ero contento di come suonava quel disco, per cui quest’estate sono tornato in studio per mixarlo nuovamente. Contemporaneamente ho ricevuto la disponibilità dello studio Furoshiki di Berlino che si è occupato del restyling grafico.
  • I primi album a mio avviso sono più nudi, essenziali con il risultato che la forma canzone non ha bisogno di ulteriori strutture come si ascolta soprattutto negli ultimi due lavori. Questa evoluzione è stata autoimposta o è stato il normale processo di maturazione del gruppo anche dopo i cambi di line up?
    • Ho sempre cercato di seguire il percorso indicato dalle canzoni, di assecondare le suggestioni che i brani mi suggerivano in quel momento. Questo rende probabilmente Hotel Tivoli e L’amore fin che dura due dischi molto diversi e ciò potrebbe scontentare qualcuno. Ma da ascoltatore preferirei questo tipo di atteggiamento piuttosto che l’adagiarsi su una formula già collaudata.
  • Premettendo che suonare davanti a dieci persone non è come suonare davanti a trecento e più; parlaci di come al tempo di Hotel Tivoli siete riusciti a farvi conoscere  . 
    • Quando è uscito Hotel Tivoli fu accolto davvero molto bene. Non eravamo pronti a un accoglienza simile e se guardo indietro penso a quanto fossimo degli sprovveduti in fatto di comunicazione. Però c’era molta più attenzione alle nuove proposte di quanto ce ne sia ora e tutto questo parlare del disco ha fatto si che anche il pubblico si accorgesse della nostra musica.
  • Nella tua carriera musicale, soprattutto agli esordi, ti è mai capitato di dire mollo tutto, fare il musicista “rock” per professione, in Italia è semi-impossibile?
    • Mah, non so nemmeno se fare il musicista sia un lavoro. Sulla mia carta d’identità c’è scritto musicista perché non sapevo cosa scriverci, ma non proverei a convincere un muratore che facciamo la stessa fatica. Diciamo che mi guadagno da vivere principalmente con la musica e quando non mi basta faccio altro.
  • Davanti a me ho un piccolo vinile, il vostro 45 giri del 2006 con Bene e Non torneranno più, mi ha da sempre colpito la frase sul retro di copertina “Durante un recente trasloco, mi sono imbattuto in un vecchio quaderno, con canzoni che avevo scritto fino al novantasei. Cose mai pubblicate e presto dimenticate. “Non torneranno più” è il brano migliore di quel periodo. Portarlo a termine è stato come restituire un senso a quelle giornate di tanto tempo fa, per le quali nutro ancora seri rimpianti”. Quei momenti di cui parli e immagino parti integranti della tua vita, quanto hanno inciso nelle stesura di Hotel Tivoli? 
  • E’ passato un sacco di tempo, e più il tempo passa e più le cose spiacevoli si dissolvono fra i ricordi migliori. E’ un naturale meccanismo di autodifesa per cui anche quando le canzoni sono ispirate dalla sofferenza, la stessa nel frattempo si è trasformata in qualcos’altro, anche proprio per merito di quelle canzoni. Come le vecchie fotografie, a distanza di tempo magari ne riconosci ancora la bellezza, ma le emozioni sullo sfondo si fanno più indefinite. Hotel Tivoli era sicuramente un disco malinconico, ma conteneva anche la voglia di reagire, di sfuggire alla malinconia, di trovare delle risposte.

Per info e per il pre-order vi rimando alla pagina ufficiale dell’etichetta http://www.lavorarestanca.com/

Là-bas – Là-bas (Lavorare stanca)

Una band che raccoglie perle nei fondali marini, cercando solo le migliori e consegnandole come un dono a noi ascoltatori intenti ad assaporare qualsiasi sfumatura della bellezza.

Una bellezza che si fa ecoverco poetico e portavoce di un’analisi della parola amore che, svalutatasi nel corso di questi anni, rinvigorisce come pioggia leggera a bagnare un popolo poco attento a questi interventi raffinati, sperando invece nella rima facile e nella canzone usa e getta da consumare durante l’acquisto della maglietta di moda.

I Là-bas non sono questo anzi sono tutt’altro: sono una band presente da molti anni nel panorama della musica underground italiana, una band che con questo disco omonimo e grazie alla collaborazione di Fabio de Min (Non voglio che Clara) segna una traccia importante nel panorama della musica cantautorale.

Ci si possono ascoltare I Perturbazione che dibattono Sartre con Francesco Bianconi, tanto è il simbolo perduto, il concetto predominante da rincorrere e tenere a se, tanto è il senso della vita, quella vita che non ha senso a priori se non è vissuta, ma acquista valore in base al senso che sceglieremo per essa.

Le canzoni dell’album sono un concentrato di amori e illusione, di apparire lontano, in fondo, per non rischiare di avere ragione; l’essere umili già nelle piccole cose il significato forse più vero del disco che in canzoni come “La fine dei romanzi” , “La sera” e “Il nostro periodo americano” raggiunge un infinito ipotetico di immagini e parole da ricordare.

Una prova di notevole struttura che mi auguro possa fare emergere questi ragazzi piemontesi all’attivo dal 2003, un album questo che dovrà raccogliere il giusto consenso all’occhio degli esperti di settore per lanciare in aria questo aquilone cullato dalla magia del vento, laggiù sul mare.