Etruschi from Lakota – Giù la testa (Phonarchia Dischi)

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Citazionismo westerniano che si imprime all’interno delle corde pensanti di una band che sposa il blues con il rock per un suono davvero sensazionale e ricco di rimandi atmosferici e dove una voce graffiante e ben condita, tra un Gaetano e un Appino, amalgama racconti di vita e di passione che sembrano non voler concedere attimi di fiato. Gli Etruschi from Lakota sono tornati e grazie a questa prova snocciolano, come in un film, una serie di pezzi da colonna sonora atemporale, fuori da qualsiasi attimo che possiamo immaginare, quasi anacronistici, ma tendenti al futuro, in sodalizi maturi che nell’espressività del momento trovano un punto di fuga dalla realtà che li circonda e che li vede protagonisti. Canzoni come Eurocirco, Giù la testa o la finale, quasi inno generazionale Viva l’amore, non si dimenticano facilmente, anzi sostengono una struttura portante ricca di rimandi alla vita di tutti i giorni con un piglio di maturità e originalità capace di creare atmosfere uniche e di facile ascolto pur non rinunciando alla tecnica e all’architettura cangiante dell’intero disco. Giù la testa parla di rivoluzione e di rispetto, di occasioni da cogliere e di nuove possibilità, il tutto in chiave moderna e alquanto lontana dal precedente album segnando un percorso impattante per la stessa band e per le soddisfazioni che riserverà loro il futuro.

Etruschi From Lakota – Non ci resta che ridere (Phonarchia Dischi)

Benigni e Troisi, nell’85: Non ci resta che piangere, Gennaio 2015 Etruschi From Lakota: Non ci resta che ridere, entrambi a scopo contenutistico ci raccontano fatti, pensieri e misfatti che riguardano la nostra penisola.

Un cantautorato semplice e coinvolgente che incanala energia positiva per il cambiamento; i nostri amano le loro radici e vogliono continuare a vedere il buono che c’è in ogni cosa e in ogni situazione.

Denuncia quindi si in parte, ma anche tanto e tanto colore che rischiara il cielo e lo copre di purezza e sincerità, movimenti leggeri e veloci, quasi disarmanti che ti trasportano in un vortice di poesia musicale che si affaccia direttamente al folk cantautorale italiano degli anni ’70, su tutti Rino Gaetano e quella presenza costante di ossimori guida che lasciano la mente a pensieri vaganti e convincenti.

Testi diretti, privi di mezze misure, in cui le liriche si impastano in modo esemplare con l’eccellente dialettica ironica e scanzonata a ricreare atmosfere da balera alternativa, in cui il sonno è l’ultima possibilità da poter considerare.

Disco fresco quindi e genuino, che racconta fatti di vita, pensieri e prese di posizione: pensiamo al singolone irriverente Cornflakes o la quasi floydiana Il contadino magro, passando per l’Appino song Erismo o la meditativa finale San Pietro.

Album carico di genuinità rurale quindi, che ti accompagna a raccontarti un amore per una terra che sta scomparendo e che in qualche modo si fa seme per una nuova vita, un germoglio fertile e sicuro per il tempo che verrà.