da Black Jezus – They can’t cage the light (Weapons of love Records)

Impressionante album d’esordio per un duo composito che mescola black music e folk in una formula stravagante intrisa di chitarre e voci profonde e graffianti, particolari, strane nella loro omogeneità in complessi assolutamente luccicanti e nel contempo oscuri e introspettivi. I da Black Jezus compiono una specie di miracolo attraverso nove canzoni che profumano di internazionalità e bellezza, pezzi stratificati pieni di chitarre e leggera elettronica a fare da contraltare ad una voce maschile spettacolare e originale per una freschezza che si respira sin dalle prime note riuscendo a dare un senso alle melodie e alle architetture create inesorabilmente. Le canzoni proposte non passano di certo inosservate e la dicotomia buio e luce è una chiave di lettura per comprendere appieno questo accecante concentrato di saperi ed emozioni installate a dovere per sorprendere in una dimensione intima quanto essenziale. I da Black Jezus danno vita a qualcosa di difficilmente replicabile, ma che ora possiamo goderci appieno.

Project-TO – Black Revised (Autoproduzione)

Le strade si fanno più oscure, non c’è spiraglio di luce e le tenebre che prima sembravano appartenere a qualcosa di momentaneamente distante ora si addensano sempre più inerpicando il muro del suono sotto le profondità della terra in un’altra dimensione, ad ottenere scoperte inimmaginabili, compresse, senza respiro. I Project-TO sono tornati, dopo l’importante disco The White Side/The Black Side già recensito su queste pagine la band si concentra su suoni che passano sotto ai nostri piedi intessendo con il nostro vibrare un continuo scambio di pozioni emblematiche, sfiorando il corpo e dando un senso di ritmo che trova l’energia per continuare all’interno delle nostre sinapsi neuronali profonde. Lo sperimentatore Riccardo Mazza e la videomaker/fotografa Laura Pol contrastano l’atmosfera di potenza controllata, fuori da ogni legame, proseguendo in parte il cammino intrapreso con il doppio già uscito, ma con l’aggiunta di un desiderio concentrico di dare spazio, in questo nuovo album, a visioni sonore intime e suggestive capaci di penetrare la carne e non lasciarti mai più.

LeVacanze – LeVacanze (Apogeo Records)

L'immagine può contenere: nuvola, cielo e spazio all'aperto

Suoni sintetici e minimali, testi semplici per un corollario di vite che si affaccia sulla quotidianità estiva e stagionale raccontando di un mondo perennemente in esposizione attraverso una musica davvero congeniale e mai esagerata, ma piuttosto calibrata a dovere e soprattutto in grado di aprire orizzonti di semplicità narrativa che stupiscono per freschezza e autenticità. LeVacanze, duo elettronico poppeggiante formato da Giuseppe Fuccio e Giovanni Preziosa intascano una prova formata da cinque canzoni che ammaliano senza alzare il tiro, ma piuttosto dando senso e atmosfera ad un ep che sa di nuovo e soprattutto di ricerca che non si ferma all’apparenza. Tu chiamalo se vuoi pop, ma il loro inseguire la modernità nasconde un’esigenza incombente di trasformare l’intero in meraviglia citando i singoli fatti di una penisola in decadenza e distendendo lo sguardo su pezzi che nella loro pacata inquietudine alterano i colori sino a diventare una massa uniforme di omogeneità in grande stile.

Margo Sanda – Delay (Autoproduzione)

album Delay - Margo Sanda

Si apre il sipario e su di un palco polveroso incastonato nella sublime energia di ciò che è stato appare Margo Sanda, all’anagrafe Margherita Capuccini, a ristabilire delicate armonie elettroniche, a tratti dissonanti, nell’etere che divora e decostruisce ad arte fino a farci comprendere l’importanza gestuale dell’attimo appena vissuto. Con l’EP d’esordio Delay la nostra intasca una prova che ha il profumo degli anni ’80, vengono a mente inevitabilmente i parallelismi con Julee Cruise in Twin Peaks, una voce proveniente da un altro mondo capace di entrare nel corpo di chi ascolta senza più abbandonarlo, tanti sono i richiami con ciò che è stato e che forse non ritornerà mai. Pezzi come l’apertura More, la verbosa Vuoto o la finale MaleGola intersecano un’originalità di fondo davvero speciale che fa di Margo Sanda una cantautrice sperimentale dal forte impatto emotivo, un disco notturno, un album di rumori di sottofondo che riempiono il nostro vagare verso mete ancora incalcolabili, ma dilatate in un ambiente senza dimensioni.

Rosario di Rosa – Un cielo pieno di nuvole (Deep Voice Records)

L'immagine può contenere: spazio all'aperto

Eclettico sperimentatore che dal jazz al minimal piano intesse un bisogno essenziale di dare voce alla scoperta elettronica attraverso un album complesso, ostico e ricco di spunti sonori che traggono linfa vitale direttamente dagli stati d’animo del compositore e intercettano quel sapore retrò e d’abbandono capace di creare il giusto appeal preferenziale a sodalizi con la musica più moderna e ricercata. Un disco d’avanguardia quindi quello di Rosario di Rosa, pianista siciliano già sulle scene nazionali come jazzista di indiscusso valore, una prova che al primo ascolto ricorda la rappresentazione visiva di Paul Thomas Anderson nel video di Daydreaming dei Radiohead, un entrare continuamente nelle porte del subconscio, attraverso il sogno in una realtà che ci spaventa, ma che nel contempo ci appartiene, una realtà a tratti claustrofobica che lega l’essenzialità della persona al cemento invalicabile. Fuori da ogni giudizio il lavoro di Rosario di Rosa è un sostenere la leggerezza dell’animo umano lontani dalle forme a cui siamo abituati. Un cielo pieno di nuvole è un osare coraggioso, complesso e sofisticato che ha dalla sua una maturità artistica che non ammette qualunquismi di genere.

House of tarts – House of tarts (Autoproduzione)

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Dimensioni sghembe elettroniche che ritrovano un appeal esistenziale nella concentrazione unisona di suoni che rispecchiano un mondo in decomposizione e alienante capace di straniare grazie ad atmosfere da horror b movie anni ’80 in un condensato da sistemare, ma che ammalia per coraggio, dose di sperimentazione appropriata quanto basta e vacuità di fondo che annebbia e ci conduce attraverso un mondo privo di punti fermi e in grado di variare ad ogni battito di ciglia. Le House of tarts sono un duo alquanto particolare capace di dimenarsi tra sintetizzatori e basso creando tappeti sonori carichi di quella schiettezza che porta con sé la post adolescenza incipriata da citazionismo colto che assorbe e porta a scoprire la realtà tra The Yellow line passando per la riuscita A day as anubi e My lullaby per poi tornare alla potenza di fondo con Unjohn50 e alla dolcezza del finale lasciato a Pearl. Le giovani sperimentatrici insaccano una prova davvero particolare che necessiterebbe soltanto di qualche aggiustatina nella cura del suono e delle voci; un duo che ha già le fondamenta per diventare le nuove Lilies on Mars.

When_due – Pendolo (Pistacho)

Secondo album per il duo proveniente dalla Sicilia che si cimenta con suoni ultraterreni da dance floor contemporanea in loop continuo a disegnare geometrie standardizzate e nel contempo eleganti che implodono ed esplodono ad attutire i colpi della materia per far rivivere armonie sotto forma di figure, colori e decostruzioni elettroniche. Pendolo dà proprio l’idea oscillatoria del moto, in un’esigenza a temporale nel consegnare risultati apparenti di sicuro impatto che si muovono attraverso cinque tracce che fanno parte della stessa matrice, hanno le stesse radici e portano con sé l’esigenza di intrappolare il momento fino a necessario bisogno di consegnarci una suite sonora divisa ad arte, un Pendolo musicale che parte e torna con la stessa forza, in un moto perpetuo studiato e necessario che ricopre le distanze e fa si che il mondo attorno diventi trottola consequenziale di un viaggio che sembra non avere mai fine.

TIR – CLIMA (Ribéss Records)

Evoluzione sonora di quello che era il gAs, gabinetto di Alchimia sonora, costola di improvvisazione che aveva come punto d’incontro la sede della Ribéss Records, un disco composito fatto di astrazioni questo CLIMA, un processo continuo di fare e dismettere, maneggiando con cura l’intero spazio che abbiamo a disposizione e ricoprendo di apposite e dovute precauzioni quel senso di ambiente sonoro elegante e pieno di sfumature, capace di inabissarsi e poi condurci verso lidi lontani, mirabili come gli orizzonti che solo al tatto possiamo immaginare. Moltitudini di generi che si affacciamo alle nostre orecchie sono solo accenno alle strutture che possiamo percepire in questa produzione, nulla è dato per scontato e tutto sembra aprirsi ad un mondo in dissoluzione per dare vita ad una colonna sonora del nostro tempo che è si fuga dalla realtà, ma anche e soprattutto amore per il tangibile, quello stesso amore che segna le nostre esigenze e ci conduce nel vortice infinitesimale di pezzi come Kobane, Eternebra, Munduruku. Dalle astrazioni concettuali dei Casa di Filippo Bordignon passando per l’evoluzione di un post rock elettronico TIR è la candela che ci fa osservare da vicino la profondità degli oceani, della terra e dei cieli che abitiamo.

Crowdfunding per sostenere il progetto:

https://www.musicraiser.com/it/projects/8108

Pieralberto Valli – ATLAS (Ribéss Records)

Il punto di forza di questo disco è la capacità di raccontare il nostro tempo con delicatezza e leggera distorsione della realtà in un quadro tanto criptico quanto comprensibile tra il bisogno nell’attingere linfa essenziale e quell’arte per l’arte fatta di prodezze sempre più necessarie al giorno d’oggi. Pieralberto Valli, già leader dei Santo Barbaro, gruppo conosciuto per prove alquanto sublimi e importanti nel panorama della musica indipendente italiana dà vita ad un concept che ricopre spazi di interezza risultando per complessità narrativa fuori dal tempo, fuori da ogni vincolo precostituito e ricco di phatos atmosferico che coniuga alla perfezione il pop-piano di un ritorno malinconico e l’elettronica in sovrapposizioni non preponderanti, ma piuttosto ritmiche che compensano un’anima capace di esprimere in dieci pezzi un condensato di introspezioni inizio secolo. Per parallelismo mi viene da pensare all’ultimo disco di Paolo Cattaneo poi mi fermo un attimo e mi convinco che questa musica è un organismo a sé, capace di vivere di vita propria, basti pensare a pezzi come l’apertura Atlantide, Frontiera che cita Luca Barachetti e i suoi passati Bancale, passando per il Rumore del tempo, Esodo e nel finale Non siamo soli per comprenderne la cura sonora e gli spazi interposti da qui al futuro in una grandezza tangibile e in evoluzione. I social abbondano di schifezze e di diatribe continue, dai TheGiornalisti passando per Motta, nessuno escluso, mercificazione e sponsorizzazioni in abbondanza, discussioni sulle ultime inutilità di questo tempo, poi così dal nulla ti arrivano dischi come questo, in copie numerate e dal packaging così prezioso e ti riscopri in qualche modo lontano, diverso, più maturo, con la sicurezza che quello che stai coltivando, abbandonando tutto il resto, è solo necessario.

Giovanni Di Giandomenico – Ambienti (Almendra Music)

Accenni di piano a ricreare ambienti consolidanti che sfiorano l’oscurità e accendono un barlume di passione proprio quando meno te lo aspetti, attraverso leggere manipolazioni elettroniche che ricordano per interesse le intricate rappresentazioni di Luigi Turra e il suo Alea uscito per Line. Conquiste quindi che si identificano attraverso un consolidarsi di freddo leggero che attraverso un rigore del tutto personale implementa le considerazioni e avvicenda istanti e attimi di pura incontrollabile intimità che lascia aperto il campo del cuore introspettivo a fondersi e a rimarcare un concetto di appartenenza ad una musica di ampio respiro, non più quindi una classica, ma un qualcosa di sperimentale che abbandona la ripetitività del minimal piano e si focalizza piuttosto nel delineare uno stato d’animo rappresentato fino in fondo da ambienti che appaiono come luoghi lontani, profondi, riconosciuti soltanto dall’autore, ma che inevitabilmente possono fare da specchio al nostro peregrinare nel mondo di tutti i giorni che ci appartiene.