You, Nothing – Lonely/Lovely (Floppy dischi, Non ti seguo Records, Dotto)

Quartetto col botto che assaggia le intemperie di questi giorni dando sferzate indipendenti ad un suono da domare, divincolato e prepotentemente reale. Non semplice shoegaze emozionale, ma anima punk ad includere sonorità già ascoltate, ma sempre inclini ad una certa forma sentimentale che non disdegna il pop creando ponti, relazioni, affiatamento tra generi estrapolandone una cosa davvero interessante. Gli You, Nothing intrecciano i primi Placebo, ai nostrani Soviet Soviet grazie a muri chitarristici impreziositi da una sezione ritmica da far tremare il suolo. C’è potenza disarcionata e bellezza orecchiabile nelle otto tracce proposte. Da segnalare brani come l’apertura di Identity, Waves, Sonder, Closer a riflettere intenzioni mai banali nel creare un qualcosa di proprio, un qualcosa che sappia colpire. Lonely/Lovely è un’ottima prova circolare dove le inquietudini raccolte fanno da sfondo, sempre più vero, al bisogno di relazione e ricerca con tutto ciò che può essere interiorizzato.


New adventures in lo-fi – Indigo (Dotto/DGRecords/Floppy Dischi/E’ un brutto posto dove vivere)

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Stratosfere diverse si incontrano in sodalizi che fanno dell’elettricità un punto di svolta per chitarre nasali e basso e batteria in primo piano a comprimere saturazioni lasciando spazio a puliti brillanti e scomposti. Il nuovo LP dei New adventures in lo-fi  è un disco davvero affascinante che riesce a mescolare facilmente le carte in tavola per dare forma a nove pezzi che hanno la caratteristica di essere diversi tra loro, ma legati indissolubilmente da un filo di rock di matrice d’oltreoceano quasi anacronistico, ma solido e del tutto impattante. Il power trio che si muove tra Verona e Torino riesce nell’intento di dare voce a canzoni incastrate come un puzzle a regalare forme nuove costruite che non si incasellano facilmente, ma piuttosto portano con sé un’anima ben distinta, un’anima davvero unica e personale. Indigo è la commistione che si muove da Fault fino a Neglected, è un disco cangiante che racchiude al proprio interno leggeri attimi psichedelici per una manciata di tracce che fanno della sorpresa, ascolto dopo ascolto, un punto di forza notevole. 


Lechuck – Dovresti farlo adesso (Dotto/Scatti Vorticosi/DG Records/Entes Anomicos/Brigante)

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Shoegaze emozionale capace di penetrare la carne e stabilire un equilibrio interno pronto a scoppiare in poco tempo, pronto a gridare la propria appartenenza ad una sostanza in perenne cambiamento che fa i conti e si proietta al di là delle nostre convinzioni, al di là delle forme che siamo abituati a guardare. I Lechuck sono un gruppo davvero forte, degli animali da palcoscenico capaci di sfogare la propria rabbia interiore attraverso un suono pensato, introspettivo, mai banale nel risultato finale, ma piuttosto sedimentato a dovere e che si rende davvero unico e incisivo in pezzi come l’apertura affidata a Colpa, Tubo, Mattonella, Colla Vinilica per un’essenzialità ammirevole che si lascia ad aperture costruite e sincere. Dovresti farlo adesso è un album immediato, ma nel contempo carico di contenuti, ricorda per certi versi le prime prove dei FASK o dei JoyCut in simbiosi perenne con uno stile conturbante e che non dà nulla per scontato, una prova corale in tutti i sensi che non lascia scampo, ma che procede verso una linea definita e convincente. 


Neverwhere – Alone Together (Dotto)

Ascoltare questo disco mi porta con la mente a quando io diciottenne divoravo una cassettina con le canzoni di un live registrato non so dove, di un certo Jimmy Gnecco, grandissimo cantante dei The ours, pezzi sputati al suolo assieme al sudore del momento, un bar e qualche bottiglia di sottofondo, una chitarra e le sovrapposizioni sonore che ricordavano il miglior Jeff Bucley, pezzi di storia malinconiche che creavano in me un indelebile segnale di inseparabilità con un certo modo di fare musica.

Oggi ascolto molto volentieri le note del nuovo progetto solista di Michele Sarda, già con i New Adventures in Lo-Fi e Caplan nonché chitarrista degli America Splendor, musica che parla al cuore, musica che trascina e si discosta dal suono della massa per creare ascolti di profondo impatto ed essenzialità, racconti bellissimi e puri che parlano di un mondo che non ci appartiene e cercano invano, un modo semplice per fuggire, o perlomeno  tentano di dare un senso diverso ad una vita che come un puzzle è sempre mancante del pezzo giusto per poter essere finalmente completa.

Sono undici pezzi che talvolta si abbandonano ad elettricità distorta per poi rientrare prepotentemente in una dimensione più raccolta e nitida, cristallina quanto basta per ricordare Damien Rice o Tom Mcrae, una musica che esce dalla stanza da dove è stata concepita per abbondare gli animi di nuova luce, in un’eterna ricerca di un posto nel mondo in cui vivere.