Inoltrarsi in territori inesplorati, con stile e classe fondendo ritmiche e costanza d’intenti dove a prevalere sono i suoni puliti viscerali, riverberati e ondanti capaci di raccontare da soli il cammino, quel lungo incedere infinito del pistolero senza nome lungo il vecchio West tra l’emozione immaginata, tra il complesso ricreare sfondi di un giallo accecante dove il sole cola l’attenzione e si lascia andare nutrito da vibranti attese e aspettative.
Gli Opez sono un duo costituito dai polistrumentisti Massimiliano Amadori e Francesco Tappi che con il loro Latin Desert & Funeral Party inglobano i campi lunghi del Leone d’annata con il più moderno Tarantino, un gioco di sguardi che si estrapola come fosse colonna sonora senza dimenticare il Badalamenti di Twin Peaks a segnare le desolazioni dell’anima, città abbandonate allo scorrere dei giorni intese come punto di non ritorno, un susseguirsi rapido di efficacia in note lasciate vibrare suadenti più che mai.
Un disco fatto di immagini quindi, 11 pezzi che aprono a territori lontani da Carlos Primero a Balera de mar, un album fatto di ombre oscure che ci attanagliano e sono pronte per l’ultimo saluto, ancora una volta, quelle ombre lunghe al calar della sera a ricordarci che siamo materia finita, polvere e calore, luce e oscurità.