Tadca Records – Musical Circus (Tadca Records)

Una compilation indie fino al midollo di quelle che vorresti ce ne fossero di più in giro, di quelle sentite e ragionate che danno spazio ai fermenti musicali di una scena underground, quella di Cuneo per l’occasione, che valorizza, grazie alla Tadca Records, un sostanziale gruppo di band che fin dal principio non si pongono di guadagnare con la propria musica, ma hanno l’obiettivo primario si socializzare, creare rete e trame capaci di dare speranza, valore e dignità al nuovo che avanza.

Un’etichetta punk e non solo, attenta alle avanguardie e alla musica composta di getto, priva di vincoli formali, in un’accezione notevole che si fa connubio tra improvvisazione e un essere se stessi, uno stato primordiale di musica che non ha nulla da perdere e focalizza la propria attenzione più sul contenuto che sulla facciata esteriore, in una continua ricerca di rapporti da instaurare, mantenere e far crescere.

Un pezzo di carta che mi arriva in allegato, scritto a mano, lontano dai comunicati stampa prestampati, un pezzo di carta scritto con il cuore, personale e sentito, il senso di un progetto racchiuso in una facciata a penna, sembra quasi di fare un salto di trent’anni indietro alla riscoperta del vero indie, ma il mio stupore dopo tutto questo sta nel dire che   il vero indie ce l’ho ora tra le mani, lo sto ascoltando adesso, tanto di cappello quindi.

John Holland Experience – John Holland Experience (Etichette Varie)

Rock non fine a se stesso che raccoglie gli umori e i colori degli anni ’70 per scaraventarli nel cuneese e risorgendo a nuova vita grazie alla partecipazione sonora di uno stoner che va oltre il significato stesso, per come lo consociamo e che si rende necessario per affrontare i cambi repentini temporali che sono alla base delle canzoni dei John Holland Experience.

Un nome da Woodstock per una produzione che regala cupezza e oscurità, in un basso tenebroso e coinvolgente che ben si sposa con le incursioni di una chitarra presente e di una batteria sincopata, in un disco che di per sé non porta a nessuna definizione se non ad una ricerca stilistica del tutto personale, tra le chitarre di Corgan in Gish e gli affronti sonori dei Raconteurs di White per un suono esplosivo e allo stesso meditativo, ruvido e combinato, tra la bellezza del tempo che scorre e del bruciore siderale di un nuovo giorno.

Album non facile da digerire, ma non per questo interessante; un disco che conta perché ha i numeri per farlo, tra energia e cantato in italiano che riuscirà a dare i frutti sperati in un futuro che deve ancora arrivare.

Mambo Melon – Metro Jungle (Factum Est)

10979414_10205752561111464_894890779_n

Entrare nella giungla e disperdersi nel suono fatto di voci lontane e uccelli che cantano e danzano grazie al ritmo tribale, al ritmo che di sottofondo si insinua dentro di Noi e ci rende partecipi di un qualcosa che a malapena riusciamo a comprendere.

Questi sono gli sperimentatori Mambo Melon, sono di Cuneo e soprattutto sono solo in tre, capaci di rotazioni stellari e tripudi di battiti sovracorporei che si insinuano lentamente e non ti lasciano andare via, sono capaci di quella spontaneità racchiusa nelle colonne sonore dei film italiani targati ’70 come del resto sono capaci di improvvisazioni sonore che vanno ben oltre il contagio.

Sono tre uomini questi che amano divertirsi con la propria musica, lo fanno in maniera originale e si contorcono in assetati campionamenti sbarellati da sintetizzatori in prima linea e convincente ironia di proclamazione, atta a trascinare in modo si aggressivo, ma del tutto naturale, un mood essenzialmente fatto di colori sgargianti.

Un disco strampalato e carico di vigore, leggero e allo stesso tempo metafisico, dove l’insorgere del sole tra le robuste mangrovie non è altro che un nuovo modo per gridare alla vita.

Litio – Con la semplicità (Vollmer/Audioglobe)

Ironici, divertenti e prorompenti, intarsiati e uniti da mescolanze di stili e generi che li rendono inclassificabili seppur facendo parte di quell’indie pop nostrano piacevole e scanzonato.

I piemontesi Litio sono attivi dal 2004 e dopo numerosi cambi agli strumenti la formazione si stabilizza/destabilizza portando alla luce il loro primo disco (Flo)reale nel 2011 che li vede aprire, tra gli altri, per Nicolò Carnesi, Perturbazione e Zen Circus, poi la cosiddetta maturità/immaturità li fa avvicinare a Francesco Groppo (Wherever Recording Studio e Vollmer Industries) che consente loro di registrare Con la semplicità, il loro secondo lavoro.

Ed è proprio semplice l’approccio di questo disco, diretto, comprensibile, senza ricami o richiami a quant’altro, sola e pura semplicità.

I ritmi power pop si condensano con il punk e ci lasciano trasportare verso testi freschi, sbarazzini e in vicissitudine di cambiamento.

Tanto per fare un esempio ascoltando la traccia d’apertura 16 anni si respira una sferzata d’aria fresca racchiusa in pochi attimi di gioia adolescenziale , si passa poi a Mamacita che con echi latineggianti ci trasporta con il suo ritmo altalenante a Bugiardi la radiofonica del disco.

Si passa poi velocemente a Non capisco, canzone blues sull’assenza di punti stabili e proprio prendendo spunto da queste parole Per me e Bus si affaccia su territori ulteriormente nuovi, quelli del soul e del battito in levare; La ballerina ricorda i vicentini Casa, Sergio invece è radicalità punk che si fa intendere anche nella chiusura con Dice.

Un disco pieno di spunti di osservazione ed energia vitale capace di conglobare pensieri che si alzano per creare quel vortice innovativo di cui la canzone italiana ha bisogno.