Qualunque – Farmaci (Costello’s Records)

 

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Un QR code da scannerizzare, una simil carta Pokemon, un piccolo testo dalle sembianze di un manoscritto. Luca Qualunque, dopo l’uscita di Farmaci, lo scorso Autunno, ci entrare all’interno di un Gdr creato ad arte dove paure da combattere e mostri da uccidere sono pezzi di un’esistenza da lasciare in disparte. Soluzione assurdamente incredibile. Soluzione che stupisce quando oramai nulla, o quasi, stupisce più. Ma veniamo alle canzoni di questo Farmaci. Un synth pop emozionale dove poesie urbane post adolescenziali parlano di tempi infiniti e momenti incerti. Un disco capace di parlare della metropoli che inghiotte e del tentativo di un ragazzo di cercare il proprio punto di contatto, la propria via di fuga dalle intemperie di ogni giorno. Sono cinque canzoni per l’appunto. Molto ammiccanti e contemporanee. I suoni ricreati rimandano, a tratti,  proprio alle colonne sonore dei videogiochi a otto bit. Nell’intro di  Mafalda sembra di sentire Super Mario entrare, attraverso la tubatura, nel mondo del sottosuolo. Un risultato davvero apprezzabile sotto molti punti di vista. Le canzoni scorrono e si fanno ascoltare per un album di disagio e di orgoglio nerd dove capacità e passione si uniscono per dare vita a qualcosa di profondo.


Malkovic – Tempismo (Costello’s Records)

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Post rock emozionale deflagrante in delay puro loopato capace di scaraventare al suolo integrità e potenza all’interno di brani scavati per l’occasione. Dopo la pubblicazione di due EP i nostri tornano con un disco completo e pieno a dismisura di incontrollato bisogno di appartenenza con una musica d’ambientazione che recupera spazi e lascia coinvolgere l’ascoltatore all’interno di un mare in tempesta, all’interno di un mondo creato per l’occasione e pieno di materia da incanalare nel tempo. Malinconia introspettiva, rabbia e azione sono gli elementi necessari per comprendere una poetica che cuce addosso l’abito migliore e Tempismo è proprio un disco che calza a pennello e che riesce a parlare di questa realtà attraverso spazi e percorsi da raggiungere. Da SVP a Resra i nostri mescolano uno strumentale al cantato per un disco impattante, meditativo, coinvolgente e a tratti etereo.


Bonetti – Dopo la guerra (Costello’s Records/Labellascheggia)

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Le guerre che ogni giorno ci troviamo ad affrontare sono guerre silenziose, sono guerre che scavano come un tarlo all’interno di noi e continuano a perpetuare legami negativi con la nostra coscienza, con il nostro venire al mondo in uno stato anormale, ma purtroppo consuetudinario che ci vede non più protagonisti del nostro destino, ma piuttosto succubi di un qualcosa a cui difficilmente riusciamo a dare un nome. Il disco di Bonetti racchiude tutto questo, racchiude un senso di comunicazione davvero importante, parla di periodi intensi legati al filo del ricordo, ma gettati inesorabili al presente con il fare di chi ricerca essenzialmente un fondo, un barlume di verità o perlomeno un sentiero più sicuro e onesto da seguire, incoraggiato da testi mai banali, da musiche essenziali, ma nel contempo meditate, sognanti e concepite per essere vissute come una vita intera. Abbandonando l’inutilità di questo e altri tempi per focalizzare l’approccio sul fulcro delle cose il cantautore piemontese consegna una prova lucida, personale e nel contempo universale, un disco che ci parla da vicino, un album in cui immedesimarsi diventa del tutto naturale. 


Odiens – Long Island Baby (Costello’s Records)

Ritorna il vintage degli Odiens, ritorna con un disco intero davvero affascinante e sicuramente di grande impatto solare che ci trasporta indietro nel tempo di cinquant’anni facendoci rivivere a pieni polmoni gli stili ormai persi di una musica lontana e immagazzinata tra le balere e gli amori infiniti, i sussurri lungo il mare e le risate a rincorrere i giorni. Pochi gruppi nella nostra penisola riescono così incisivamente a dare valore a tutta questa bellezza in divenire, un approccio originalmente pop che non disdegna il surf e la psichedelia, ma a maggior ragione da valore all’idea di ballatona ammiccante senza scadere nel trash banale, ma piuttosto dando forma al ricordo sostenendo un insieme di tracce musicali che creano omogeneità e intensificano la visione con un’ironia sempre velata che però si sposa a pennello con il contesto ricreato. Canzoni come l’apertura Menage a trois (Meno due), Alka Seltzer, la stessa title track o Punjabi Surf non passano di certo inosservate. Una nostalgia che si fa arte quindi e fa degli Odiens degli stimati menestrelli pronti ad incantare raccontando di un certo vivere il mondo che non esiste più.

I miei migliori complimenti – Le disavventure amorose di Walter e Carolina (Costello’s Records)

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Parlare d’amore ai giorni d’oggi è abbastanza scontato, vuoi per gli abusi costanti del termine, vuoi che ormai ogni canzone che si ascolta ha al proprio interno questa parola o quasi che il termine stesso si svuota, perde di significato, quando dovrebbe essere motore sempre acceso nei confronti del mondo in cui viviamo. Walter Ferrari scardina il modello di canzone d’amore e con l’aiuto del suo Mac e della sua cameretta domestica da alla luce un disco davvero bizzarro e alquanto genuino che ha il sapore delle canzoni migliori di band passate come Macromeo o Francesco C in un delirio collettivo da parole semplici, ma appositamente cesellate, capaci di comporre un quadro d’insieme unico e a tratti in grado di far sorridere. Dieci canzoni in totale, cinque originali e le altre remix delle principali che raccontano di realtà urbane e di città metropolitane, tra amori semplici e eterne domande da malinconici pomeriggi sui social con la speranza, sempre dietro l’angolo che tutto il vuoto che c’è attorno un giorno si possa riempire con qualcosa di reale e che conti davvero.

WAS – Sunday (DeAmbula Records/Costello’s Records/Tiny Speaker Records)

Andrea Cherchi vive tra gli alberi intrappolando i suoni della natura e liberandoli sotto forma di impalcature elettroniche capaci di penetrare in profondità, all’interno del nostro cuore, per un pop, con la sua creatura WAS, che non passa inosservato, anzi si ricava una nicchia ben precisa di pubblico grazie ad un forte impatto sonoro che si dipana egregiamente tra le malinconie post Bon Iver raggiungendo le divagazioni di James Blake e le melodie raffinate dei Blonde Redhead in un disco che ha il sapore del vintage, del tempo passato, di tutto ciò che con il tempo acquisisce un significato nuovo, diverso e reale, stiamo parlando di otto tracce che vivono di una luce propria, nel vero senso della parola, illuminano partendo dal basso, da quella A Swamp fino ad arrivare alle vertigini di Saturn passando per pezzi come la riuscitissima Sleep in una corale solitaria di rara bellezza, calda coperta per l’inverno che verrà, magie allo stato puro in verticale memoria ascensionale che hanno il sapore delle cose migliori.