Succede spesso di incontrare gruppi che hanno un buon tiro, registrazioni impeccabili e andirivieni di fraseggi chitarristici da cori da stadio.
Capita però con meno frequenza di imbattersi in band con un sound maturo, seppur al secondo disco, portanti di un’energia che involontariamente esplode come fosse un modo per assistere ad un live nella poltrona di casa.
I The Singers nel loro omonimo regalano 10 canzoni di incrocio tra pop e new wave, a tratti sembra di stare dentro al film Kellyano “Donnie Darko”, altre nella colonna sonora di “Beverly Hills” o “Dawson’s Creek”, il che non ha nulla di negativo anzi il gruppo è sempre alla ricerca della canzone alternativa perfetta: orecchiabile, ma allo stesso tempo con appeal underground.
I cinque mantengono quindi le promesse, sanno cosa vogliono e lo sanno fare bene, canzoni che colpiscono sono certamente “Toronto” e “Flowers in Navona” altre ricordano invece evocativi ricordi come in “Maestro” e “Alice”.
Un miscuglio quindi eterogeneo di stili da “Spandau Ballet” a “Tears for fears”, dai più attuali o quasi Placebo alle cavalcate potenti di Nickelback.
Unica pecca dell’album a mio avviso, è che ad un certo punto le canzoni suonano un po’ tutte uguali: l’originalità nel complesso si sente eccome, un po’ meno manca la canzone che emerga in modo preponderante rispetto alle altre.
Resta comunque una bella prova, velata di rosa e conturbante quanto basta: creata per far innamorare.