Simone Lo Porto – Un viaggio nel magico (VREC193)

Prendi la tua chitarra e vai oltre l’orizzonte conosciuto, gettati dalle scogliere e ammira il mare da lassù, senti l’acqua che scivola e abbandona i corpi ad asciugarsi al sole di una spiaggia oltre la vista, oltre qualsivoglia forma di conoscenza, viaggia e sii padrone di te stesso, la conoscenza è caparbietà di scoprire e il bisogno di non accontentarsi mai, il gusto per l’avventura intriso di significato e per l’occasione valorizzato da queste tracce, dalle canzoni di Simone Lo Porto eterno cantautore avventuriere che grazie a questo disco incrocia il mondo e lo trasporta in un luogo onirico e carico di suggestioni, di ricordi, di realtà mescolata alla finzione, tra Venezuela, Cile, Perù, Bolivia, Ecuador: l’America latina, i suoni, gli odori e le immagini colorate, cariche di vita e di sensazioni, da Il bacio del Colibrì, fino alla citazione La fine è il mio inizio come direbbe Terzani, il nostro intasca una prova che sa di world music e di profonda conoscenza nei confronti di un mondo complesso e emotivamente diversificato, ma accomunato dalla stessa sostanziale sete d’amore.

Carmen Consoli: il canto del cigno – Live Report – Sherwood Padova – 3 Luglio 2015

Sherwood festival al Park Euganeo di Padova è sempre una garanzia in fatto di qualità e offerta dei live proposti, con l’aggiunta di un contorno fatto da incontri, bancarelle artigianali e non e quell’idea che si percepisce solo qui: far parte di un mondo diverso, una città nella città dove la comunanza di intenti vince contro qualsivoglia forma di mercificazione della proposta in atto, facendo da capofila a molti altri festival italiani.
Con difficoltà si comprende la grandezza della folla accorsa per vedere dal vivo l’aggraziata rocker siciliana, data la grandezza del luogo e la presenza di persone non solo sotto al palco ma anche nella zona antistante, popolando i tendoni/ristoranti e i vari punti d’incontro.
Ad aprire la serata la vicentina Elli De Mon che con chitarra dobro e sonagli, scuote la gran cassa facendo tremare palco e oggetti attorno, sporcando di blues la sua timidezza e incrociando l’India con sitar e musicalità d’altri mondi.
Una musicalità che trae ispirazione soprattutto nel delta del Mississippi, un genere contaminato dal punk che sa osare senza chiedersi troppo.
Buona prova tra nuovi e vecchi pezzi, conditi dall’attenzione di un pubblico numeroso e partecipe.

IMG_0556Puntuale alle 22.00 entra Carmen Consoli.
Gonna nera, maglia bianca, chitarra rosa e tacco alto, lei davanti a tutti, lei davanti al mondo, poche note e via via il suo stare sul palco cambia, è mutevole, ritrae i colori di un quadro rock perfetto che vorremmo continuare ad ammirare, Geisha, Mio Zio, Sentivo l’odore e poi la title track dell’ultimo album L’abitudine di tornare, finalmente la meravigliosa Ottobre e La Signora del Quinto Piano, i toni si incupiscono in vorticose parabole elettriche con Matilde odiava i gatti per viaggiare nel lontano oriente con il ritmo di Per Niente Stanca.
Il concerto si muove molto su tonalità che non lasciano tregua, soprattutto nell’ ascolto dei vecchi pezzi come Fiori d’arancio, Contessa Miseria, Venere per un finale che vede alternarsi l’esuberanza di AAA Cercasi ai classici Parole di Burro e al solitario epilogo nel secondo bis affidato ad Amore di plastica.

IMG_0581Carmen ama i Sonic Youth e ama alla follia gli Smashing Pumkins si percepisce quella carica e rabbia malinconica che è pronta a tagliare il bambino dentro di noi, quel bambino che con forza si ripropone in ogni momento della nostra vita lasciando le tracce per la scoperta, per il costruire, per l’abitudine di tornare.
Altre due donne sul palco con lei, Melissa Auf … no scusate Luciana Luccini al basso e la dirompente Fiamma Cardani alla batteria, praticamente un nome, una garanzia.
Un trio al femminile che non ha bisogno d’altro e che fa scuola, dirompente e preciso più che mai.

IMG_0621Carmen non fa più suonare i violini dal vento, ha un volto nuovo, più elegante e quasi immacolato, una grazia che esplode in elettricità compressa e la timidezza e la naturalità che la rincorrono nei momenti di pausa è ben bilanciata dalla forza portante nei momenti più rock del concerto, una veste acustica che non esiste più, lasciando i suoni a rincorrersi come farfalle, in un pop alternativo ben confezionato che vede la voce della nostra, profonda come non mai, penetrare nei sogni di Orfeo e vaneggiare ancora una volta lungo sentieri sincopati, tra le sue Jaguar taglienti in un continuo andare e venire, concitato e rarefatto, atteso, ma mai accolto con forza.
La sostanza c’è e anno dopo anno quella totale capacità espressiva che si esemplificava in testi e musiche da lasciare il segno, ma troppo ammiccanti e sentimentali, lascia il posto a vissuti narrati che vedono come protagonista una società che non cambia e non vuol cambiare.
Carmen si lascia raccontare come in un libro aperto, ripercorrendo una carriera che la vede ancora protagonista dopo 20 anni a segnare e ad insegnare la strada: dalla polvere di Catania ai grandi palchi italiani e non, una garanzia in fatto di professionalità, capacità espressiva e savoir faire emozionale, caratteristiche assai difficili da mantenere nel tempo, ma che la nostra coltiva giorno dopo giorno come fiore raro da proteggere.

Marco Zordan – IndiePerCui

IMG_0664Setlist:

  • Geisha
  • Mio zio
  • Sentivo l’odore
  • L’abitudine di tornare
  • Ottobre
  • La signora del quinto piano
  • Matilde odiava i gatti
  • Per niente stanca
  • Fino all’ultimo
  • Bonsai #2
  • Sintonia perfetta
  • Stato di necessità
  • Esercito silente
  • Fiori d’arancio
  • Contessa miseria
  • Venere
  • Oceani deserti
  • Parole di burro
  • Confusa e felice
  • AAA Cercasi
  • Amore di plastica

The Stash Raiders – Apocalyptipop (Hopeful Monsters)

Un disco folle per una band di folli, un’avventura tra la foresta amazzonica in cerca di tesori lontani e nascosti, capaci di cambiare il corso delle nostre esistenze in modo emblematico e duraturo.

Un disco analogico, che suona d’antico, ma che ha tutte le carte in regola per sfondare e creare una propria via personale di interpretazione musicale, un rincorrersi tra la fitta vegetazione a riscoprire le radici di ognuno di Noi.

Si perché i nostri con questo disco dichiaratamente pop si innestano abbattendo edifici inutili lasciando il verde come colore predominante, a sancire una commistione tra uomo e natura che fa parte di una visione in cui la madre terra gioca un ruolo dominante e dove l’insieme di generi diversi, dato dal background di tutti i musicisti, dona alla prova un sapore d’innovazione e sperimentazione.

Non sono incasellabili in nessun categoria i catanesi The Stash Raiders, anche se strizzano l’occhio a composizioni che si rifanno a Honeybird & The Birdies su tutti, dando un senso maggiore alla prova che si divide tra la scoperta dello spazio e giù giù fino all’interno della nostra terra.

Fresco e genuino questo disco ci accompagnerà lungo l’estate che avanza, abbandonando la superficialità in nome di una qualità che mescola fantasia e grande capacità d’insieme.

 

Claudio Palumbo – Fa che mi spii dalle finestre (Autoproduzione)

Claudio Palumbo è un cantautore che va diritto al punto.
Una scrittura immediata, gettata in superficie su dei tronchi da levigare giorno per giorno con passione verso la musica d’autore che poco spazio trova in Italia e dove ancora i cantautori degli anni zero pensano di aver scoperto come gira il mondo senza sostanzialmente dire nulla.
Claudio ci mette passione e stile, il disco è completamente registrato in presa diretta chitarra acustica e voce senza chiedersi troppo, senza curare voce, arrangiamenti, è un impulso che esce dal cuore, la musica che piace a Noi, quella suonata e vissuta, magari lontana dai palchi che esce timida, ma che evidenzia un’esigenza di dire e di raccontare storie nuove, da nuovi punti di vista.
13 sono le tracce, il disco apre con la ballata “Egocentrismi” firmata dalle parole “Gran testa di cazzo mi saluta allo specchio”, bello il folk and roll di “Mi do del tu” con l’incipit “Tu che mi hai insegnato che un vaffanculo detto bene è come una poesia”; “Tutto quello che io voglio è una capra gialla che si illumini al buio” è il titolo della successiva canzone, forse il più originale mai letto .
Il disco scivola abbastanza simile in tutte le sue parti fino alla fine, lasciando sprazzi di cielo che fanno sorridere in numerose canzoni.
La prova nel complesso è una buona prova, lontana dai canoni standard del cd da classifica, ma molto vicina a una delle caratteristiche principali che si devono trovare in un cantautore cioè la capacità di raccontare.