Iacopo Fedi & The family Bones – Over the nation (Cabezon Records)

Cantautore post moderno che raccoglie la pesante eredità di Lou Reed e Bruce Springsteen per mettere in musica un blues contaminato dal rock anni ’70, tra un’oscurità che avanza e ci ingloba, raccontando di un mondo teso a comprendere culture, relazioni e vivere quotidiano.

Proprio di questo parla il nostro e la sua è una ricerca che parte dal basso, dalle radici di una musica dannata che si contorce e rende l’esperienza del cercare abile ragione intesa come passo necessario per scoprire e riscoprire qualcosa che è andato perduto, l’idea dell’ interrogarsi, quel bisogno intrinseco di scoprire e dare un senso maggiore all’esistenza trasformando un’abbozzata idea in un vero e proprio concept di un Don Chisciotte errante che cerca la verità, cerca di capire quella vita fatta di sogni infranti e futuri ancora da visionare.

Le canzoni allora prendono forma in un eco floydiano fatto di cori e ricordi, un disco solista che attendeva di uscire, attendeva l’attimo propizio per segnare la via con pezzi come la title track Over the Nation, fino a Sr Napoleon passando per l’incisiva, in grado di raccogliere la sfida per comprendere l’ignoto, This hard War.

Facciamo parte di una guerra quotidiana che ci vede unici protagonisti in grado di cambiare quel poco che abbiamo.

La nostra vita come una dura lotta per la sopravvivenza, in un mondo dove purtroppo i sentimenti sono sempre meno importanti e dove il nostro Iacopo cerca di ridare valore e senso ad un qualcosa di perduto per far riflettere, per farci sembrare migliori.

John Mario – Per fare spazio (Cabezon Records/Audioglobe)

Grande passione per i suoni anni ’90 in questa nuova prova di John Mario, musicista veronese, ai natali Mario Vallenari, già indiscusso e carismatico esempio di personalità musicale a tutto tondo, artista poliedrico che spazia dal cantautorato italiano alle incursioni blues folk del progetto parallelo Dead Man Watching fino alla compiutezza nella gestione di una piccola etichetta la quale ha dato alle stampe i dischi di Veronica Marchi e The Softone, passando per Nicola Battisti e Facciascura citandone solo alcuni.

Per fare spazio nasce dall’esigenza di trovare un proprio posto nel mondo e di riscoprire la bellezza nella quotidianità, un viaggio introspettivo che accarezza le corde dell’animo fino a concentrarsi su ciò che occorre veramente fare e su ciò che effettivamente occorre tenere per essere ancora esseri pensanti e indipendenti.

Un disco dall’impostazione indie rock che regala piccoli sprazzi di sperimentazione sonora targata ’90 incrociando chitarre smithesiane e inglobando orizzonti sonori con drum machine sincopate, battenti e un’elettronica accennata a impreziosire gli undici brani del disco.

In un attimo in Dalla tua Ford si incrociano gli Smashing Pumpkins di 1979,  passando per Counting Crows e abbracciando, nella maggior parte dei pezzi presenti, un cantautorato puro, cristallino che ammicca al naif, sincero e organizzato a tratti scomposto, ma sempre al centro del tutto in una prova che conquista e che convince per fruibilità immediata.

Un album quindi, forse un concept album, dal sapore agro dolce, che accosta ballate sonore ad altrettante trovate musicali che stupiscono e confermano la capacità di questo ragazzo di dare vita ad ogni parola pronunciata.

Facciascura – Stile di Vita (Cabezon Records) SuperAnteprima!!!

Facciascura – Stile Di VitaPotenza e illusione del volo, capienza di stili che vanno a confluire in unico corpo fin dentro le ossa di un cercatore di tesori nascosti.

Ci sono band che colpiscono al cuore e alle viscere, che ti lasciano senza scampo colpendo precisamente i punti vitali, i punti emozionali e lasciandoti a bocca aperta per un bel po’ di tempo.

Tra questi ci sono i “Facciascura” band veronese che al secondo album, prodotto da Andrea Viti ex Karma e Afterhours, mette la firma per entrare a pieno titolo nel circuito indie italiano.

Rock e psichedelia, cantato sporco e attitudine punk contornata da suoni studiati a tavolino e cori impeccabili.

Il disco vanta 3 partecipazioni importanti: “Uragano” con Paolo Benvegnù, “New songs are no good” con Shawn Lee polistrumentista già collaboratore di Jeff Buckley, Amy Winehouse, Alicia Keys e Kylie Minogue ed infine la presenza di Alessandro “Pacho” Rossi nella bella rivisitazione di “Maggie M’Gill” brano degli storici Doors.

Il tutto suona come un enorme vortice scomposto e ricomposto per creare una trama indefinibile e inarrivabile.

I 5 veronesi Carlo Cappiotti, Francesco Cappiotti, Christian Meggiolaro, Simone Marchioretti e Philip Romano si arrichiscono di suoni di canzone in canzone culminando il tutto nella bellissima “Alaska”.

Un disco profondo, intenso e velato da quella tristezza nel nulla che avanza.

Un preciso istante, un balzo verso la luce e poi tutto si ferma nella parte scura della luna.

Nicola Battisti – Nicola Battisti (Cabezon Records)

Nicola Battisti è un cacover-Battisti-600x600ntautore atipico.

Atipico non come cantautore, ma come cantante di un’epoca a cui i paragoni stanno stetti.

La sua opera è racchiusa in 12 canzoni che mirano al riappropriarsi minuto per minuto di quella melodica canzone italiana che da anni ormai, se non con qualche rara eccezione vedi Non voglio che Clara, sembra abbandonata verso lidi nascosti perché accusata di essere mielosa e soprattutto retorica.

E invece no! Nicola grazie a dei testi semplici e una voce calda e coinvolgente al battere del piede ci fa scoprire che il belcanto deve essere riscoperto anche per concorrere in modo efficace al padroneggiare di talent show dove tutto risulta ridicolo e manovrato.

Nato sotto la stella protettrice di un cognome importante, il veronese per l’occasione si lascia andare verso territori conosciuti reinterpretandone forma e gusto estetico.

Ecco allora che l’album risulta orecchiabile quanto basta per riuscire ad apprendere testi diretti senza che risultino banalizzati dal saliscendi di note e chitarre sovrapposte da strumenti rigorosamente vintage come Rhodes, Mellotron, Wurlitzer e Hammond.

Canzoni come “Formula d’amore” o “Dove sei?” racchiudono lo spirito dell’intero disco: scanzonato e ritmato, semplice quanto basta per gridare al miracolo, perché di questi tempi ascoltare buona musica pop d’autore, senza scadere nell’ovvia ovvietà, risulta impresa impossibile.

A Nicola il merito di aver riportato in auge uno stile e un gusto retrò dimenticato da tempo nell’attesa che qualche artista sanremese navigato lasci il posto a veri cantautori.

http://www.nicolabattisti.com/

Dead Man Watching -Love, come on! (Cabezon records)

Dead man watching è poesia su distese immacolate di verde primaverile, è prato con vento, sole che riscalda creando atmosfere di un giallo variegato marrone in cui anime si incontrano per scambiarsi fiori sbocciati sotto una neve scioglievole a chiazze, lasciata dall’inverno.

Questo sanno fare i tre ragazzi e dead-man-watching-cover2013questo ce l’hanno dimostrato con codesto gioiellino: canzoni genuine, strumenti ad un primo ascolto semplici, ma allo stesso tempo che denotano un interesse per la ricerca e per l’attenzione alle sonorità come l’ukulele, hammond, il rhodes, l’orchestron e il mellotron, inoltre inusuale anche l’uso di archi quali la viola e il violino in canzoni come la commovente “Bad teen movie”.

Il trio veronese viene dalle più svariate esperienze in ambito musicale.

John Mario è un cantastorie di musica indie pop che per caso incontra Gio polistrumentista a cui piace sperimentare suoni analogici legati al mondo musicale americano degli anni ’60, Astor Cazzola invece è il più propenso dei tre a lasciare aperta la sua mente a nuovi incontri con generi diversi.

L’album, Love, come on, è il primo a superare la soglia delle 4/5 canzoni, precedentemente la band aveva fatto conoscere al pubblico la loro indole musicale grazie alla pubblicazione di due EP.

Questo invece è un disco che si ascolta tutto d’un fiato, senza tornare indietro prima di non avere ascoltato la canzone che scorre e fugge via, come il “soffione” in copertina quasi ad indicare un passaggio ancora possibile tra il 68 e il 2013.

Ecco che in “The badlands” le atmosfere slow si aprono con chitarre defragmentate, mentre “Jesus christ wannabe” è tipico folk con organetto alle calcagna, “August burn” si concede romanticismo ad ogni secondo, al contrario “Give it a sound” rilascia uno scossone iniziale che poi riprenderà ad ammaliarci per il resto della canzone con vocalizzi percussionati.

“Bite” forse il pezzo più country-slide-delta-blues, “Ten dead songs” è melodia che non si dimentica, “Here the night comes” è raccolta da un battere beattlesiano che si affaccia all’ultima grazia “Love, come on”.

Canzoni da giornate estive in bicicletta potremmo chiamarle, senza togliere nulla di importante a questa ultima fatica anzi, valorizzando al meglio il concentrato di intro e outro, di interventi precisi e colorati, di suoni sempre nuovi; un disco per la stagione buona insomma che ci porta alla scoperta di un mondo innovativo dal cuore vintage.