Siberia – In un sogno è la mia patria (Maciste Dischi)

Pensare di vivere in un sogno dove tutto sta crescendo, dove tutto è in procinto di trasformarsi, noi esseri strani, divincolati dal buio della notte, cerchiamo la luce in un posto nuovo, noi che siamo parte di un tutto proveniamo dalla terra e alla terra siamo destinati, un angolo di mondo che può essere la patria, non mero territorio delimitato da confini, ma capacità di dare un senso e un nome a chi ci troviamo davanti.

I Siberia sono per metà stranieri e conoscono nel profondo il senso del termine che da valore al disco, lo apprendono giorno dopo giorno attraversando le barriere virtuali che caratterizzano il nostro vivere e lo fanno con una dimestichezza pop da primi della classe, incrociando in modo delizioso rimandi di tipi Baustelliano fino alla tradizione sonora di Endrigo, la wave mescolata alla musica d’autore, per un sodalizio che attinge le proprie radici in un vortice che non sa quasi mai di tensione, ma di territorio inesplorato, onirico e sensazionale.

Undici pezzi che sono lo sfondo dei racconti di ogni giorno, partendo con Patria e finendo con Una speranza, quasi un richiamo ancora, quasi il desiderio di convincersi che la fuori tutto ancora può cambiare, che anche  il più piccolo seme dentro di noi, un giorno germoglierà per tornare da dove è venuto, noi cenere di alberi eterni sempre pronti alla sconfitta.

Rusvelt – Milk (Bananophono records)

Nostalgia per un suono che non c’è più a scombinare attimi di vita vissuti e sbiaditi, come una fotografia, come quel mare che percepiamo in lontananza e a cui non sappiamo dare un nome, non sappiamo trovare un appiglio, uno scoglio lontano nel tempo e nello spazio.

Urbino la loro città e quella voglia di tornare indietro, di far parte di un movimento, di riuscire a creare in modo perfettamente limpido seppur complesso un mondo dentro a un mondo, La città ideale, in vicende storiche che coinvolgono, già dall’infanzia, già da quel latte, milk per l’appunto, da quell’appartenenza alla vita che ci rende liberi e allo stesso tempo legati ad un qualcosa che non sappiamo identificare ancora.

Un disco di pop raffinato, calibrato e studiato, un modo di raccontare e raccontarsi che va ben oltre le forme del già sentito, ma percependo le aperture di Battiato, passando per Baustelle e Non voglio che Clara, senza tralasciare riferimenti d’oltreoceano come Arcade Fire.

I suoni sintetizzati si mescolano in modo inebriante lungo le quattro tracce che compongono Milk, lasciando un sorriso di disincanto al tempo che è già passato e al tempo che verrà, all’abitudine di essere sempre uguali e all’abitudine di cambiare.