Nuju – Pirati e Pagliacci (Latlantide)

L'immagine può contenere: sMS

Folk disinibito e quotidiano che ripercorre le produzioni dei nostri giorni in modo semplice, ma nel contempo ragionato e spiritoso, apprendendo dai maestri di genere come Bandabardò una formula del tutto ballabile e nel contempo agguerrita che si sposa bene con la dicotomia del titolo Pirati e Pagliacci a ricordare le parti in gioco, i modi di vivere, la vita stessa che si dipana in canzoni ben tinteggiate e ricche di sorprese per un disco ricco di rivisitazioni e collaborazioni con band e musicisti del calibro di Modena City Ramblers, Musicanti del vento, Brace, Santino Cardamone tanto per citarne alcuni ad infittire una produzione che in primis parte dal cuore e si apre proprio con quella Menestrello che ci rende partecipi di un qualcosa di grande, condiviso e spensierato, merito di un gruppo affiatato nel tempo, merito di una bellezza che si snocciola canzone dopo canzone, in un album che chiude bene questo anno in musica, tra le tragedie della vita moderna e un nuovo modo per sperare; ecco se proprio devo dirla tutta i Nuju sono la speranza in questa fine.

Alessandro Sipolo – Eresie (fasolmusic.coop)

Alessandro Sipolo si muove in direzione ostinata e contraria, contro il vento che inonda la faccia del tempo vissuto e contro ogni forma di mercificazione che la letteratura musicale ormai ora ha raggiunto pur di riuscire nell’intento di stupire o attirare nuovi discepoli.

Parlo di letteratura musicale perché Alessandro è un cantautore che riesce a dare forma sostanziale alle parole, non semplici frasi lasciate li per caso, ma piccoli pezzi di poesie che incrociano le orecchie attente di chi ascolta e sanno comunicare un concetto di libertà e soprattutto di mondialità.

Una mondialità priva di barriere che viene narrata con l’utilizzo di luoghi geografici in molte canzoni, le citazioni territoriali servono a far immedesimare l’ascoltatore con i luoghi che per quest’ultimo hanno un valore, sono pregni e carichi di significato e questo si può definire tranquillamente un valore aggiunto di certo invidiabile.

Le mani sulla città vede la collaborazione del chitarrista e compositore Alessandro Asso Stefana, mentre in Arnaldo spunta l’acustica del bandabardiano Alessandro Finaz Finazzo, la batteria è curata da Ellade Bandini mentre al basso è presente Max Gabanizza a sottolineare l’importanza della prova stessa, in un miscuglio eterogeneo di complessità e colori.

Prodotto artisticamente da Taketo Gohara e Giorgio Cordini, questo disco ha tutte le carte in regola per fare un salto di qualità meritato e ricercato, nel mare di produzioni nostrane, nell’oceano della musica italiana.

Riserva Moac – Babilonia (Galileo MC)

Mescolare le lingue i gesti e le passioni quotidiane, entrare in un ricco giardino pieno di varietà che spaziano tra il già visto e l’innaturale sorpresa di essere al cospetto di un qualcosa che prende forma pian piano e alcune volte riesce di prepotenza sempre ben calibrata a ricondurre i vari passaggi ad uno stile, si già conosciuto, ma che è carico di novità continue e afferrate, bellezza e rinascita, capacità espressiva e pura esigenza narrativa che fa del villaggio globale un bisogno di compiutezza che si avvale per l’occasione di nuove e preziose collaborazioni.

Questi sono i Riserva Moac e questo e il loro nuovo Babilonia o almeno è l’idea che i nostri si sono fatti di una Babele che riesce a sfiorare il cielo e nella sua complessità lancia messaggi universali, comprensibili e anche di denuncia verso ciò che nel mondo è sbagliato, verso ciò che ancora ci trattiene e ci rende miseri davanti al prossimo, davanti a chi ci sta davanti confermando il fatto che un’azione pratica la si deve fare al più presto.

Sotto l’aspetto musicale i nostri incorporano un global folk che fa ballare e non permette ai piedi stanchi di fermarsi nemmeno per un momento, un concentrato di energia coadiuvata da strumenti inusuali e la presenza essenziale di Marco Capaccioni, Alberto Brizzi e dal musicista programmatore Francesco Bruni.

Un disco perfetto in ogni sua forma, registrato magistralmente e ricco di incursioni che vanno da Master App, Salia, Big Roma, White Widow, passando per Erriquez della Bandabardò; musica in evoluzione, musica che non si stanca di far sentire la propria voce al mondo intero, una musica che supera i confini e ci regala un messaggio importante più che mai in questi tempi colorati di verde sulle pareti dell’Expo.

Fabrizio Pocci e il Laboratorio – Il migliore dei mondi (VREC)

Fabrizio Pocci assieme al Laboratorio crea un disco solare, ritmato e ben congegnato per la stagione che deve arrivare, tra altalene di colori e sprazzi di vivacità contagiosa che si esprimono lungo tutte e sei le tracce che vanno a comporre l’ep.

Il quarantenne cantautore toscano confeziona una prova convincente che si imbarca verso lidi lontani e conquista per morbidezza d’approccio e sostanza da dispensare.

Tra strumenti prettamente folk: lap steel e mandolino, contrabbasso e tastiere i nostri ingaggiano un duello con il tempo che deva ancora arrivare, un duello con il quieto vivere che si fa via via sempre più complesso e poco delineato, in un avvicendarsi di forme che prendono il sopravvento tra sussulti reggae, ska e cantautorato alla vita assaporando il vento.

Un buon equilibrio quindi, che ci ricorda per spirito la Bandabardò anche se a volerla dire tutta il frontman della band toscana Erriquez si intravede alla produzione e nel cantato di Le stagioni di una vita.

Disco quindi ben studiato e riuscito, ricco di sfaccettature e di intenso savoir faire letterario.

Pensa ad una giornata di sole riscaldata attraverso un vetro che dipana le ombre e si lascia al tempo che verrà in un turbine segreto fatto di amori lontani ed esigenze da condividere in un saliscendi vorticoso legato al filo dei ricordi, pensa a canzoni strutturate in modo magistrale dove le contaminazioni sono evidenti e percepibili, pensa al contrario del buio e alle foglie mosse dall’aria: tutto questo è Fabrizio Pocci.