JoyCut – PiecesOfUsWereLeftOnThe Ground_ (Pillow Case Records, Irma Records)

Per noi di IndiePerCui un album indispensabile.

Abituati come siamoAdobe Photoshop PDF a parole senza sostanza, magari troppo gridate per contornare note sparse nel mondo che non ci appartiene, ci lasciamo trasportare da esotiche cavalcate di puro lirismo elettrico senza mezze misure.

Con questo album i Joy Cut si amano o si odiano.

Un salto in avanti di decine d’anni per suoni ricercati e manipolati fino a convogliare in momenti di catarsi post-tramonto che incediano in defrag le ultime ambizioni di un essere umano stanco delle parole arrotolate come sigarette bruciate e gettate per terra.

I colori si mescolano al nero, le tinte di rosa indicano segnali dal futuro e solo un completo ascolto ti riporta al clamore del viaggio nascosto tra distese di stelle.

Un album incomparabile e inclassificabile, se poi il classificare rende meglio l’idea, ascoltare i nuovi Joy Cut è come cucirti addosso un completo di seta pianistica mescolata al post più geniale e creativo.

3 gli atti, un enorme rappresentazione teatrale, incrociatori di Editors e Mars Volta, una voce che si fa strada fino all’ultimo respiro in Funeral: colonna sonora per un maestoso film dal sapore dolceamaro.

Un itinerario segnato questo PiecesOfUsWereLeftOnThe Ground_, dove intrecci narrativi si sciolgono in visioni oniriche di viaggi ultratterreni e dove la parola suono acquista sempre più valore.

 

 

Esercizi base per le cinque dita – Dalle Viscere (Mia cameretta Records)

dalle viscereQuesto è un cantautore anomalo, uno venuto dalle cantine dove la musica sa di umidità e stanze chiuse, un cantautore che si trasforma in gruppo , voci che barcollano ubriache di vita e scale da fare ogni giorno per guadagnare un respiro essenziale.
Salirò queste scale per gettarmi sul viale cantano i tre, racchiudendo in 10 canzoni un malessere condiviso tra le liriche di Dino Fumaretto e i fumi post alcol di Vinicio Capossela.
Il tutto suona vaporoso come in scatole ermetiche dove il cantatutore si fa sub per coprire profondità già di certo toccate, ma in questo caso rispolverate per un’occasione di gran gala dove il funerale può rappresentare una festa per tutti.
Vicini al primo De Andrè, i laziali, si avvalgono di liriche proiettate in questi tempi, con problemi da affrontare ogni giorno, osservando un mondo che corre veloce, troppo veloce.
Anomali e impegnati, fuori da qualsiasi circuito mainstream e al contempo capaci di entrare dalla porta principale.

“Mia Cameretta Records” regala agli affezionati un’altra band su cui puntare, un lo-fi finalmente di grande qualità, “Esercizi base per le cinque dita” conferma che la musica prima di tutto passa dal cuore poi dal calcolatore.

Lawra – Origine (RougePurple)

lawraRegalare emozioni di altri mondi lontani non è facile, soprattutto per chi si approccia alla musica indie come forma di underground commerciale e orecchiabile, pronta ad emergere nel suo splendore.

“Origine” è immergersi in forme musicali che si ascoltano in radio quotidianamente, ma selezionando una matrice del tutto originale che porta all’ascoltatore più attento  un prodotto di indubbia qualità artistica.

“Lawra” è lo pseudonimo di Laura Falcinelli, presenza Sanremese nel curriculum e artista dalla voce roca e profonda  ricca di variazioni e speranze di riscatto.

“Lawra” è anche città ghanese conosciuta per la produzione di strumenti musicali.

Ecco allora che tutto torna, quella ragazza poi divenuta donna compie un viaggio solcando i mari e portando con se tutto quello che il grande continente nero può offrire in fatto di ritmi e “good vibrations” .

Laura riesce a mescolare numerosi generi quasi ad essere lei stessa una città nella città, cosmopolita e allo stesso tempo villaggio tribale, variazione interna di soul, rap, hip hop, funky e blues con tocchi di elettronica a esaltare una base ritmica sempre  puntuale e battente.

Presente anche in collaborazioni con Jovanotti e Negrita, in questo album caratterizzato da un bel mordente, la cantante Toscana si avvale della presenza del cantante italo-congolese B.B. CICO”Z: i pezzi quindi si riempiono di suoni significativi e brani come “Welcome to my country” e “Underground soldier”   si materializzano in un groove notevole, quasi elettrizzante, a sancire un imponenente ritorno in scena.

Un disco sicuramente d’impatto, un prodotto ben costruito e pronto a concorrere con i grandi nomi della musica internazionale: partendo dalle origini, dalle cose più semplici ci si ritrova solitamente molto in alto.

Mimmo Parisi – Quando non sei Totti o Ligabue (Autoproduzione)

mimmo-parisi-artista-musica-download-streaming-quando-non-6-totti-o-ligabueMimmo Parisi nel suo primo album “Quando non sei Totti o Ligabue” confeziona una prova di stile rock classicheggiante condita da numerose sferzate di improvvisi cambi nell’approccio e nella musicalità.

Il cantautore Bolognese per stile e simpatia si avvicina a sonorità legate al rock d’annata vedi alle voci Scorpions, Brian Adams, acuti sopraffini strizzano l’occhio agli italiani Nomadi, mentre l’incedere del basso e della batteria ricorda a tratti la new wave anni 80 di Gang of Four e Joy Division.

I testi sono un concentrato di temi quotidiani conditi da un linguaggio a tratti diretto e immediato alla Vasco Rossi, a tratti invece più meditativo e pensato in cui le parole risultano scrigni criptici da aprire e gustare a poco a poco.

Un cantautore quindi schietto che fa della sua immediatezza un trampolino di lancio per arrivare con facilità anche al pubblico più lontano.

Uno stile e una voce poi che riuniti regalano viaggi di sola andata verso anni passati; una DeLorean del futuro proiettata nel tempo.

King Suffy Generator – The fifht state (I dischi del minollo)

I King Suffy Generator ritornano alla grande con una musica che ricopre pianure cementificate e uomini grigi che camminano con la 24 ore e il cellulare in maquintono.

Un incedere frenetico lungo le strade delle città affollate, ricreando un mondo caotico e privo di respiro, dove l’anima non trova un corpo in cui abitare e dove gli uccelli fanno i nidi sulle antenne della televisione.

Sei tracce di pura improvvisazione con sprazzi pinkfloydiani e chitarre post rock che schizzano in assoli ben pensati e stratificati quasi a fuzzeggiare su prati inesistenti.

I  cinque regalano grandi prospettive armoniche in canzoni complesse come la notevole “Derailed dreams” e l’innocenza perduta di “We used to talk about emancipation”.

Un continuo andare e tornare di controrif dipendenti da una linea ritmica solida che si fa strada nel prog pensato e ragionato.

In copertina immagine appuntata di Giorgio da Valeggia che da il nome al disco “Il quinto  stato”, masse cadaveriche che guardano il vuoto, privi di esistenza reale.

Un album marcatamente maturo con piglio internazionale, pronto a spiazzare qualsiasi purista di genere.

Nima Marie – Wollen Cap (Orangehomerecords)

Un berretto rosso e una strada da seguire, un lungo abbraccio che non può avere fine lungo la storia della musica folk al femminile americana.

Nima Marie songwrinimamarieter italiana fin dalla nascita,  ci regala con questo primo e vero album di 10 tracce, un affresco spensierato e solare di pomeriggi fatti di passeggiate e corse lungo il fiume.

Il sole bacia i belli e in questo caso i raggi filtrano sugli occhi di chi ascolta lasciando una sensazione di disorientamento e leggerezza.

Legata molto alle sonorità cantautoriali più folk e rilassate ricorda per certi versi il debutto solista della violinista Christina Courtin sia per approccio musicale, sia nel cantato.

Le canzoni scivolano veloci contro il tempo, con incursioni alla nostrana Lubjan e all’oltreoceanica Morisette.

Il suono è delicato, ma allo stesso tempo pieno, strumenti acustici e leggeri pianoforti ad incedere e corde pizzicate in arpeggi infiniti.

“Forgive me” “Morning moon” e il singolo “You know i do” sono pezzi che si fanno sicuramente ricordare.

Un album che ti fa volare in un’estate che non si fa ancor vedere con il piglio della goccia che cade, sistemandosi su di una foglia verde che sarà da nutrimento per qualche essere vivente.

Madame Blague – Pit-a-Pat (DreaminGorillaRecords)

madame-blague-musica-pit-a-patDall’accensione del fulmine, al temporale in arrivo, dalla giostra che gira fino all’assolo più distorto; generi così lontani che solo grazie a un concentrato di capacità riescono a trovare il proprio punto di sbocco in una musica che si fa a tratti serrata e a tratti più cantautorale, se così si può definire.

I “Madame Blague” non scherzano e con questo loro primo disco sottolineano l’importanza della ricerca senza mezzi termini e mezze misure.

I 4 liguri confezionano un album che, già impreziosito da una bellissima cover, dell’ormai noto “Cikaslab”, si divincola in sentieri brit pop , blues, hard rock con sferzate swing.

Il sentimento che accomuna le 10 tracce è l’incontro di un’ape con il proprio alveare, il rincorrere le radici di un cuore vivo e ricco di linfa vitale dove attingere direttamente dalla natura il significato più profondo della musica che i “Madame Blague” riescono a inventare.

Sonorità  che riescono ad infilare punti a dismisura si scoprono pian piano in “Tell me” o nella scanzonata “Under a Varazze sun”, mentre gli altri pezzi si lasciano andare a derive più prog stoner.

Un disco d’esordio sicuramente promosso a pieni voti, un concentrato di follia e capacità di osare notevole, con l’aggiunta di quella sfrontatezza che alle volte riesce ad essere incisiva  fondamentale più che mai.

Le Laite – L’estate è già un ricordo (Autoproduzione)

“L’estate è già un ricordo” prima fatica del cantautore asiaghese Paolo Silvagni è un album di colori tenui che suona come un disco malinconico del passato.

Tutto porta alla nole laitestalgia, un viaggio sull’altipiano, tra silenzio e neve, canti di animali e versi quasi sussurrati a ricordare in modo fine e delicato il concetto del tempo che sfiora barriere immaginarie fino a contorcersi attorno ad alberi secolari immobili.

Il disco “home made” prodotto, si identifica nel vortice dei cantautori anni zero, dove parole e musica sono legate dal filo dell’accordo chitarristico scarno, ma ricco di pathos, essenziale e allo stesso tempo controllato da arrangiamenti vocali.

Il tutto somiglia a un Vasco Brondi, che al posto di trovarsi nel grigiore di città abbandonate allo scorrere dei giorni si incammina su sentieri freddi e desolati in cui solo la natura può essere fedele amica degli anni che verranno.

Canzoni come “Coperte” o il singolo “Tre lune” sono l’esempio di questo concetto, mentre pezzi come “A metà” o “Un’altra Irene” raccontano senza mezze misure un male costante di vivere.

Buona prova quindi quella del nuovo cantautore, confidando in un prossimo disco leggermente più suonato, abbandonando la formula: diario di pensieri, per lasciare spazio a un disco in cui musica e parole riescano  ad amalgamarsi in modo più incisivo.

GTO – Little Italy (Music Force)

Prendi un aereo e vola sopra le palme di un deserto d’acqua dolce.

Prendi un gruppo che gto-club-musica-little-italynella realtà regionale e non solo, ha fatto storia con un genere tante volte valutato solo sul campo dell’intrattenimento da balera estiva, che riparte invece da testi impegnati e sonorità altrettanto ricercate con suoni che strizzano l’occhio all’elettronica ambient e che in certi passaggi ricorda un’ottima commistione tra De Andrè e Bandabardò, tra De Gregori e Cisco.

Questi sono i GTO, band storica umbra all’attivo dal lontano 1993, che ha fatto del folk rock un’esigenza di vita.

“Little Italy” è un album quasi ironico, anche se c’è poco da ridere, sulla nostra Italia delle parole al vento e dei sorrisi troppo facili; un’Italia legata ai favoritismi e alla furbizia:  esempio neoclassico di democrazia decadente e di facciata.

In copertina il gallo canta, qualcosa muore: il nostro Paese.

A posticipare il canto ecco la prima canzone “Barabba”, tra le più riuscite del disco, contornate da atmosfere sognanti e di libertà.

Altro pezzo degno di nota  lo troviamo nella title track “Little Italy” e nella successiva “La via del mare” tra visioni di spiagge infinite e amori lontani.

“Granelli di sabbia” si apre al rock flangerato, mentre la chiusura in “Festa popolare” è biografia di un momento.

Un album di 11 pezzi suonati a meraviglia dove l’esperienza segna una traccia netta rispetto ad altre simili proposte sul territorio nazionale.

I “GTO” sono riusciti nell’impresa di creare un disco che faccia ballare e allo stesso tempo pensare: credete non è cosa da poco.

 

Family Portrait – Lontano (Autoproduzione)

Questo è un disco magico.

Una cofamily portrait_lontano_ copertinammistione di suoni elettronici e suoni classici che prende al cuore di chi ascolta regalando emozioni sintetizzate e lasciando spazi a profumi di elettricità metropolitana condita da basi ritmiche sostenute e cori mozzafiato.

Il nuovo disco dei “Family Portrait” è una mescolanza di tutto ciò, un regalo inaspettato che il trio di Macerata scaglia tutto d’un fiato per raggiungere un’altezza infinita di rumori e suoni filtrati magistralmente.

Il gruppo si avvale in questa ultima fatica di strumentisti classici che prendono il sopravvento in canzoni come la bellissima “Tracce” o la commovente e leggera “Saturno”.

Il resto sono sintetizzatori e batterie in loop, organi e pianoforti deflagrati da una voce che ricorda la migliore Meg dei tempi andati.

Suoni che abbracciano sostanza, gatti – umani che rincorrono topi – umani, l’assenza colmata da un circuito elettronico scelto all’orizzonte mai per caso.

Un disco totalmente ben suonato e posso dire tra le più belle novità di quest’anno.