La perfezione del suono torna stasera sul palco del Vittoriale, qui a Gardone Riviera, ospitando per l’occasione una band che è riuscita a rimanere indie fino al midollo, mantenendo un forte grado di rispettabilità nel mondo musicale, sia tra i critici che tra gli appasionati, una band newyorkese che porta il nome di Blonde Redhead, riuscita nel corso del tempo a far proprio un certo tipo di linguaggio, una forte dose di coraggio e intraprendenza che ha permesso di scardinare gli incasellamenti musicali iniziali, relegati soprattutto a similitudini d’appartenenza con gruppi come Sonic Youth, per dare nuova voce ad un genere che abbraccia la musica d’autore e la profonda ammirazione per il dream pop e lo shoegaze.
Una band che ha conquistato schiere nutrite di intenditori dopo l’uscita di due album fondamentali dei primi duemila, quel Melody certain damaged lemons, caratterizzato proprio da una sorta di melodie in stato di emergenza, capace di scavare le profondità siderali nella miglior introspezione mai sentita e quel Misery is a butterfly, proposto per l’occasione proprio stasera per un tour a ricrearlo con archi annessi, per un disco che è opera complessa e composita in stato di grazia, tra chiaro scuri e stratificazioni chitarristiche tipiche della band americana, in grado di rappresentare al meglio le trasposizioni simultanee e dilatate di una voce sognante sorretta da una base musicale levitante e leggera, ferma nel tempo e nello spazio, a raccontare angolature e nuove prospettive, una voce acuta quella di Kazu che ben si amalgama alle sovrastrutture dei due gemelli Pace, Amedeo e Simone.
Sul palco raggiungono un grado di intimità che poche band al mondo riescono a trasmettere, una maestosità che si apre quando ascolti il primo movimento dell’arco ad incentrare una bellezza nascosta, recondita, racchiusa e vibrante in divagazioni e basi in loop elettronico che colpiscono per ermeticità e capacità nel destreggiarsi e far uscire un suono il quanto più perfetto possibile, merito anche degli strumentisti presenti sul palco, merito di un’acustica pressoché immacolata e ripagante delle attese, tranne forse che per alcuni problemi di amplificazione di viole e violini nei pezzi iniziali; attese che si specchiano in canzoni sciolte in divenire, grazie ad una proposta mirata nel riproporre un album che ha fatto la storia della musica per come la conosciamo, dalla suadente Elephant woman, passando, tra le altre, per le bellezze cosmiche che si incrociano in contrappunti e aprono a Falling man, Doll is mine e Magic mountain, incursioni chitarristiche di alieni paranoici e il mellotron atmosferico che insegue il suono della batteria capace di veicolare un finale, in piedi, sotto il palco a cantare.
Un live degno di essere ricordato per una band che fa della perfezione interpretativa un modo per svincolarsi dai colleghi internazionali, un live speciale che ha riproposto per intero quel disco tanto caro a Guy Picciotto, loro produttore del tempo, nonché membro dei Fugazi, per una serata che non segna sulla carta il pienone, ma consegna agli ascoltatori una realtà immaginata e rispecchiata nel presente vissuto, concentrando l’attenzione su di un album tormentato, malinconico e quasi ossessivo, riproposto nella sua intera sostanza in un luogo che racchiude tutto questo; emblema dell’arte per l’arte, lontano da simulacri ultraterreni e donato, questa sera, per dare un senso diverso al raffinato e conteso vortice di emozioni.
Testo: Marco Zordan
Fotografie: Giovanni Vanoglio