Japan Suicide – We die in such a place (Unknow Pleasures Records)

Stelle che cadono al suolo e come frammenti di un’unica galassia si trasformano e lasciano intravedere un campo di battaglia cosparso dal fumo di un orizzonte lontano.

Intrappolati nella rete e in tutto questo, con sonorità in bilico e oltraggiose, tra Joy Division e tutta quella dark wave che influenzò negli anni ’80 milioni di ragazzi in tutto il mondo, i Japan Suicide raccolgono l’eredità per dimostrarla ai posteri con una certa classe ed eleganza, che non si cura soltanto dell’aspetto estetico, ma anche e soprattutto dei contenuti.

We die in such a place è un disco che ama raccontare storie viste da una finestra lontana, storie di un’oscurità lacerante che si immedesima con un mondo in continua contrapposizione con le nostre speranze, con i nostri sogni di libertà.

Ecco allora che la band di Terni si concede di entrare prepotentemente nella mente di chi con inquietudine vive una vita di privazioni, un modo per essere veri narrando lo stato di disagio e le apparenze che ingoiano inesorabili ancora una volta.

Il basso in primo piano per un cantato che si evolve da lontano porta i cinque ad una commistione che si esplica in modo esemplare lungo le dieci tracce del disco dalla vergogna di Shame alla follia esistenziale in I don’t exist.

Un disco cupo, ammaliante, direttamente da un’altra epoca, fatta però di menti che sanno sognare.