Esterina – Dio ti salvi (Le Arti Malandrine)

Pensa ad una foto in bianco e nero posta all’interno di una cornice di legno con i tarli su di un comò lontano dal tempo e lontano dal mondo, una trottola di latta che gira all’infinito e il sogno che ti sputa in faccia la realtà, quella foto, quella trottola: sostanze materiche di un mondo vissuto a metà, di un amore che si consuma e prega un dio che non esiste, oppio per un popolo incantato e incantatore che utilizza i propri stratagemmi giorno dopo giorno per vivere e per sperare.

Gli Esterina sono tornati e fanno commuovere, ricordano la migliore uva lasciata a maturare, hanno il sapore dei campi e il colore del grano, hanno la tristezza dei giorni e le rughe della vecchia realtà pronta a inglobare speranze, le rughe di un tempo andato fatto di rapporti e di ricordi, di lacrime che non vogliamo asciugare per forza e di strade che se fossero ancora strade non sarebbero di cemento, ma polvere su polvere  in continuo legame con la vita terrena.

Si perché i nostri odiano la città, amano il bosco e il mare, ma nel comporre si nutrono proprio di quella città che è realtà ed è emarginazione, le storie di paese si fondono per relegare la speranza e dando sfogo al rimpianto: l’aver lasciato alle spalle qualcosa di immemorabile per cambiare e cambiarsi ancora.

Dio ti salvi è un disco che ti fa percepire la realtà come non mai, ricordando gli Intercity, ma con una poetica meno compressa, meno ermetica, più diretta e ricca di immagini mentali che via via si creano già nell’ascolto dell’iniziale Pantaloni corti per passare con il capolavoro di Dio ti salvi e la scena teatrale dei cieli appartamenti, ogni canzone ha la sua capacità di imprimere e segnare, pensiamo a Puta e Stanno tutti bene inno al coraggio mancato e alle maschere che indossiamo quotidianamente per poi finire sulle Stesse barche altro intreccio sonoro tra poesia e realtà.

I toni sembrano farsi più sereni, ma anche nella seconda parte del disco l’oscurità ammalia con Canzonetta passando per Sovrapporre e Mutande per un finale degno di questo nome con Fabula Sangue.

Un quadro fatto di oscurità, quella foto in bianco e nero che racchiude un senso, quella foto che a pensarci bene sembra un quadro, un quadro di Ligabue pittore, nella sua desolata esistenza: siamo esseri in cerca d’amore, ci cantano gli Esterina, siamo esseri in cerca di qualcosa, un qualcosa che si esprime nella fisicità della vita, nel tocco concreto di un mondo diverso.

 

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