Un disco delicato lo vedi subito, fin dall’inizio, lo respiri, forse non ti serve nemmeno inserire il disco nel lettore, la copertina, il cosiddetto packaging si presenta in tutta la sua bellezza e naturalezza, un fiore rosso su sfondo bianco, qualcosa di semplice, che solo girando la nostra confezione, quel fiore che abbiamo tra le mani si trasforma in qualcosa che brucia, si trasforma in sangue, una doppia faccia, un doppio senso dato alle cose, una cristallizzazione che si schiude a primavera e con il vento caldo dell’arrivo inghiotte tutto ciò che abbiamo di più caro, tutto ciò che ci fa paura, tutto ciò che ci appartiene.
Un progetto di Cristiano Pizzuti che sa di terre lontane, conosce il rumore di qualsivoglia forma di vita e incanalando speranze e ambizioni disegna in modo maniacalmente perfetto e in stato di grazia una sorta di sentimento e di paura verso un domani, delineando con la forma canzone attimi di presa di coscienza e spontaneità in bilico tra i Wilco e i Pavement, passando per tutto il soft rock internazionale degli anni ’90 con spruzzatine di Low e atmosfera alla Portishead.
Un album meraviglia, composto da nove canzoni pronte a stupire e fatte di quell’amore incondizionato versò ciò che non c’è più, un album fatto con il cuore, ricco di perle da riscoprire giorno dopo giorno.