Il disco dell’emarginazione per eccellenza; siamo abituati a pensare che tutto quello che vediamo è sorto per qualche strano meccanismo che non possiamo comprendere, un album che parla della realtà in cui ci troviamo, una realtà fatta di sogni infranti, di possibilità che si tramutano in sogni e la ricerca costante di un pertugio sul muro è solo pura sensazione di vita, non quella vera, semplicemente un’idea che ci siamo fatti del nostro domani sempre più oscuro, sempre meno vero, ma purtroppo sempre più reale.
Andrea in queste tracce racconta il peso della vita, lo fa con introspezione delicata, lo fa attraverso tracce verbose alternate ad uno strumentale che si divincola dalle produzioni moderne per cercare una propria via di fuga e di rilascio costante di una nuova idea di sviluppo personale, un cantautore che ricerca la propria essenza nelle quotidianità e soprattutto nelle illusioni che la vita costantemente ci riserva.
Attore, musicista, ma anche cantautore aggiungerei, di quelli con l’anima cupa e nera, di quelli che sanno costruire impalcature sonore raccontando di un’Italia che non c’è più, partendo con La deriva della Rai fino a comprendersi in Piccino, monumentale attesa di un futuro sperato, fuori dai vincoli della tv, fuori da costrutti indegnamente precostituiti.