Nell’aria si respira il profumo delle cose migliori, un teatro sul lago in un posto dove il tempo si è fermato lasciando a sedimentare il gusto per l’eccesso e l’estetismo più assoluto in nome di una dimessa e spoglia scenografia in grado di valutare una sostanza che sembra scaturire dai sogni più nascosti e reconditi, un paesaggio in un quadro di De Chirico dove le figure nella piazza centrale abbondano di talento, un talento guadagnato in più di quindici anni di carriera e quattro album di inediti alle spalle, il primo Kings of Convenience uscito solo in Canada e negli Stai Uniti e gli altri tre, che ogni fan che si rispetti conosce nel profondo, sono dischi che hanno segnato per melodie e genere, i primi dieci anni del nuovo millennio, conquistando ad ogni ascolto, giorno dopo giorno.
Eirik Glambek Boe e Erlend Oye sono due amici dai tempi delle scuole superiori e grazie alla capacità di creare atmosfere rilassanti, con un utilizzo notevole della voce prettamente parlata e sussurrata, hanno saputo ridare un senso ad uno stile che affonda le proprie radici nel cantautorato di mostri sacri come Simon & Garfunkel, dimostrando ancora una volta, questa sera dal vivo, la potenza espressiva della semplicità, una classica amplificata e un’acustica a intessere melodie per un pop stupendo e riuscitissimo, canzoni che rimangono e non se ne vanno, canzoni che segnano il tempo nella sua introspettiva bellezza dell’incedere, riempiendo l’atmosfera di perfetta sintonia infinita.
Un’infinità però che purtroppo ha un peso e nella sua accezione terrena si trasforma in qualcosa di fuggevole e quasi illusorio, più di mille persone accorse per vedere il duo norvegese riuscito nell’intento di esprimere le proprie capacità più sincere, in un concerto della durata di un’ora e un quarto, forse troppo poco per come stavano andando le cose, forse troppo poco per chiedere ai sogni di non fermarsi.
Un’entrata commossa, loro che guardano il Lago di Garda, specchio d’acqua di mille leggende, per chi arriva e chi parte, applausi di calore dal pubblico, rivolti soprattutto a Erlend dopo il lutto della madre di qualche giorno fa, applausi dovuti e soprattutto carichi di un qualcosa di indefinibile e poi via, si inizia, grazia alla scelta di pezzi perfetti, da Winning a battle, losing the war, fino a Little kids, i nostri ci accompagnano nel loro salotto, in una formula confidenziale e testata, dove l’ironia di Erlend si scontra con l’introspezione di Eirik, uno vestito di bianco, l’altro di scuro, due facce della stessa medaglia che si completano nel susseguirsi di perle di pregevole fattura come I don’t know what I can save you from, passando, tra le altre, per The weight of my words, 24-25, Misread e Homesick.
I nostri scherzano e coinvolgono le persone, li fanno entrare dentro la loro casa, il pubblico risponde, si meraviglia e si commuove, creando la serata perfetta, quella che non vorresti finisse mai, è questa la sensazione che si respira, ma ahimè anche le più belle cose prima o poi si dissolvono; un concerto in un luogo d’incanto che ha raccolto le sensazioni di due ragazzi nordici a raccontarci la loro storia, grazie alle loro canzoni, una storia finita troppo presto, ma comunque una storia che vale la pena di essere raccontata perché forse aveva ragione D’Annunzio dicendo che la nostra vita è un’opera magica, che sfugge al riflesso della ragione e tanto più è ricca quanto più se ne allontana, probabilmente perché tante volte ci troviamo in un vortice di infinite ed effimere magie non capendo che il vero senso del nostro vivere è proprio quello di dare un significato a tutto ciò che sta nel mezzo.
Testo: Marco Zordan
Fotografie: Maurizio Andreola
La scaletta originale, con un’aggiuntiva Parallel lines non suonata.
SETLIST effettiva:
Winnig a battle, losing the war
Toxic girl
Singing softly to me/The girl from back then
I don’t know what I can save you from
Failure
The weight of my words
Love is no big truth
Second to numb
24-25
Know how
Mrs.Cold
Boat behind
I’d rather dance with you
Misread
ENCORE
Homesick
Little kids