Ludovica Burtone – Migration tales (Endectomorph Music)

MIGRATION TALES-1

Fili, legami, trame, ponti indissolubili con il passato, diventano esperimenti necessari per far dell’atmosfera sognante un punto di contatto con la quotidianità, con tutto ciò che ci sembra essere lontano, ma che in verità risiede all’interno della parte più intima di noi. Il nuovo di Ludovica Burtone parla di donne. Donne immigrate a New York. Un disco che travolge per sensazioni ricreate capaci di sposare un free jazz che ingloba le innumerevoli contaminazioni che la nostra ha saputo cogliere nel corso della propria carriera. Violinista di impressionante caratura e poliedrica nell’uso dello stesso strumento, Ludovica Burtone, assimila la lezione del tempo per dare un senso maggiore al messaggio da comunicare. Con lei, in questa nuova produzione, cinque musicisti in grado di condividere un percorso pregno di trasporto e coraggio. Milena Casado al flicorno, Julieta Eugenio al sax tenore, Marta Sánchez al pianoforte, Tyrone Allen II al contrabbasso e Jongkuk Kim alla batteria diventano punti imprescindibili di un cammino luminoso. Migration Tales segna una partenza, ma mai un ritorno. Un incedere di fatiche comuni colorate dal disegno impressionante di una musica senza confini.


Eva Kunt – Plastic era (Three Hands Records)

Cold Night - YouTube

Disegni sonori in dissoluzione spaziano all’interno di una poliedricità che fa scuola ottenendo spigolose ambientazioni che riescono nel tentativo di decifrare forme e sostanza all’interno di una scatola mai chiusa dove colori necessari diventano la chiave esistenziale per capire passi mai incerti e tantomeno sfocati. Qui, nell’avanguardia che respiriamo, ci sono le stratificazioni sonore che fanno dell’elettronica di confine un punto utile nel definire spazi e momenti. Movimenti che si fanno un tutt’uno con il corpo e con la parte più nascosta di noi fondendo nu jazz, lounge e tutta una serie di suoni sintetizzati e d’atmosfera. Plastic era racconta e si spinge, cerca nuove soluzioni nel labirinto della quotidianità e riesce ad ottenere un viaggio spaziale di sola andata verso territori nascosti che trovano nelle sfumature del tempo la chiave per comprendere la complessità che avanza. Da Inside fino a Golden bridge passando per After hate, Hurt box, Seamless, il progetto Eva Kunt progredisce nell’indefinita quotidianità grazie ad una spinta davvero convincente.