Fattore rurale – Raccolgo la notte (Bastione record/Pa74 Music)

Introspezioni da pianura a richiamare l’attenzione sull’intolleranza che dilaga ai nostri giorni in un perpetuo migrare di pensieri che toccano le corde più profonde del nostro venire al mondo. Il disco de il Fattore rurale avvicina il proprio stare agli ultimi di questa realtà in una sorta di sodalizio che si sposa con la canzone d’autore e il folk attraverso una capacità di parlare al cuore dell’ascoltatore con un linguaggio diretto e sincero. Dieci pezzi che si muovono tra la notte più nera incorniciando un cantato davvero riuscito e uno stile compositivo personale che non cerca le mezze misure, ma commuove per ispirazione e bisogno di gridare la propria appartenenza. Raccolgo la notte è un disco fatto di chiaro scuri umorali, un album di certo poco edulcorato, ma nel  contempo una raccolta di tracce in grado di lasciare il segno.


Duck baleno – Popa’s nightmare (Autoproduzione)

Sperimentazioni elettroniche e autorali che si fondono con una psichedelia non troppo criptica a centrare energicamente una bellezza profusa da annusare e respirare per tutta la durata del disco. Nell’esperimento di Francesco Ambrosini già con C+C=Maxigross ci sono visionari elementi inscindibili con tutto ciò che portiamo dentro a recuperare una musica fatta di riff e sostanza, di ritornelli incisivi e melodie che ti entrano in testa e non ti lasciano più. Il suono dei Duck baleno è un incrocio tra MGMT e Gorillaz, di Arctic Monkeys e di Gennifer Gentle in un brusio collettivo che pian piano prende forma per concentrare l’attenzione all’interno di canali poco usuali, ma magicamente unici. Ci sono momenti esplosivi e altri più meditativi e catartici in Popa’s nightmare, c’è il bisogno di scoperta e il bisogno, in contemporanea, di poter percepire luoghi famigliari e personali. Un disco, questo, di altissimo spessore.


Zanghi – Notes from my garden (Autoproduzione)

Copertina di ZANGHI Notes from my garden

Musica in libertà ad implementare momenti introspettivi con altri più vivaci andanti in un tessere continuo forme e costruzioni che vanno ad aggiungere qualità sonora ad un disco fatto di passione e perenne ricerca estetica in divenire. Zanghi, all’anagrafe Silvano Zanghirati, ci consegna un disco di jazz raffinato impreziosito da interventi soul, blues, funky, all’interno di un mondo, un universo, creato per stupire ascolto dopo ascolto. Otto tracce riescono a delineare una sorta di giardino naturale che perpetua visioni in grado di acquerellare la bellezza circostante in un paradisiaco momento notturno nel quale percepire la meraviglia del giorno che verrà. Da Hypnotized,  conturbante visione d’insieme, fino a Time is right, passando per Lontano da te, Strana città, Snow flake o la riuscitissima Libera il cuore, il nostro, coadiuvato da notevoli musicisti di spessore, riesce a colorare un momento, un attimo che forse non tornerà più.


Thee fuzz warrr – Emporium & Overdose (Area pirata)

Prima dei Les Apaches il duo composto da Il Santo e il Pinna si cimentava, in una sorta di albore primordiale, con una musica viscerale e psichedelica ad anticipare ciò che poi, tutto, sarebbe stato. Ascoltare il disco dei Thee fuzz warrr è come scalare una montagna altissima e imponente cercando di comprendere angolature del caso senza però riuscire a trarne nessuna conclusione. Le arcane visioni lasciate a decantare raccolgono innovazioni targate sessanta che ricordano i The Beatles sconfinare nei territori viscerali dei The beach boys, ma anche i The Stooges incanalati nei Thee hypnotics in una sorta di allegra rappresentazione del nulla che avanza. Sono tredici canzoni che si muovono con una certa disinvoltura e sfacciataggine da Pretty a Warrdance passando per All night, Into sun, Formanta in una sorta di onirica visione sotto acido che ripercuote a più non posso i mondi che via via si aprono al nostro orizzonte. Emporium & Overdose è urgenza di mettere su disco idee e immaginazione. Una tavolozza psichedelica di pregevole fattura.


Les Apaches – Lidi Sud (Brutture Moderne)

Lidi sud

Psichedelia a profusione capace di cospargere le intenzioni di fruttuose costruzioni che vanno aldilà del già sentito intensificando i rapporti e aumentando a dismisura un appeal generale cesellato e costruito grazie impalcature sghembe, ipnotiche, conturbanti e a tratti devastanti. Con Lidi sud i Les Apaches ci consegnano un disco caleidoscopico dove i colori dell’imbrunire adombrano le spiagge lasciate al tempo che verrà in una sorta di catartica visione emblematica di potenza pesata, ma fuori controllo e una rivisitazione in chiave psych di tutti i generi e i sottogeneri del nutrito catalogo che va a formare la voce del rock. Sono quattordici pezzi che diventano altrettante visioni concentriche. Canzoni destrutturate a dovere che trovano nella sperimentazione una direzione da seguire, ricordando per certi versi band come Jennifer gentle per un risultato d’insieme che ricerca nel minimalismo compresso la chiave di lettura utile a comprendere mondi sempre più vasti e ospitali. Una partenza che profuma di miracolo.