Dario Piccioni – Carpet Stories (Auand)

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Elementi dell’infanzia intersecano la contemporaneità e alternano ricordi e presente attraverso uno stile che ci porta immediatamente con la nostra coscienza all’interno di quei meccanismi arcani che inevitabilmente e difficilmente riusciremo mai a scordare. Carpet Stories raccoglie spunti riflessivi in grado di attraversare il tempo per consegnarci uno spaccato di vita caro all’autore abbracciando in senso ampio un mondo sotterraneo per riemergere in un unico e sentito splendore. L’intera prodezza di Dario Piccioni mescola elementi jazz con musica da lounge club mediterraneo. L’odore del mare e il colore dei tramonti amplificano elementi di terra, di acqua e di aria. Tower of silence, Dounia, Canto di restanza uno e due, la stessa title track sono pezzi chiave per comprendere un’eterogeneità di fondo pronta a colpire. Carpet Stories è un diario aperto. Un diario di vita imprevedibile e sincero.


Ananasnna – Veloci come in 500 ( Auand)

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Pezzi di storia incastonati tra le lamiere solubili di una musica che non conosce tempi di scadenza, ma che piuttosto è un continuo rimando al vintage di classe, un continuo rimando ad un tempo che non c’è più. Ascoltare gli Ananasnna e il loro progredire musicale porta il cuore e la mente dell’ascoltatore al tempo passato del grande cinema italiano, delle commedie di un certo spessore, del bianco e nero e di un modo di fare i film che ora non esiste. Allo stesso tempo però in Veloci come in 500 analizziamo echi di corse poliziesche che ricordano i Calibro 35 e le scelte stilistiche intraprese di certo sono simbolo di qualità intrinseca davvero importante. Da Scatta il rosso passando per Spariglio, Il Gran San Bernardo, Arearitroso i nostri riescono nell’intento di dare vita ad una musica che non ricopre un ruolo effimero, ma che piuttosto diventa colonna sonora portante di un passato invidiabile.


Big Monitors – Knots and notes (Auand)

 

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Soluzioni per nulla scontate per un’improvvisazione sonora compatta e fluida in grado di spaziare, aprirsi e ricomporsi. Il disco dei Big Monitors rappresenta una sorta di summa free jazz dove incipit e personalismi fanno da contraltare ad una vibrante esibizione di immagini composite e unite che non lasciano indifferenti, alternando chiaro scuri e pezzi di concatenazioni dove la fantasia regna sovrana. Knots and notes è un insieme di appunti che scorrono via via ampliandosi. Una sorta di bolla d’aria pronta ad aprirsi che trova nel disintegrarsi della misura un punto da cui partire, un punto da cui fuggire per poi ricominciare a stupire. Un omaggio a William Parker, una solida concezione esistenziale dove i tredici pezzi proposti alternano visioni mai definite, ma cariche di quell’improvvisazione necessaria nel ricreare nuovi mondi possibili.


Urban Fabula – Movin’ (TRP Music)

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Concentriche visioni jazz impressionano per freschezza introspettiva che ha il sapore delle cose migliori, del tempo che passa, della vita che matura. Una storia di amicizia centrifugata attraverso visioni e impressioni da colonna sonora cinematografica capace di  perpetuare il ricordo attraverso fraseggi in divenire di calma apparente, di mutevole follia e dolce carezza. Gli Urban Fabula ci regalano otto tracce in bilico tra improvvisazione e meditazione. Uno squarcio sempre aperto all’interno di possibili scenari che amplificano l’essenza e si concentrano nel creare tappe nel cammino umano. Tappe che ritrovano nel senso del percorso un punto di raccordo non trascurabile. Movin’ è una sorta di concept che mescola voci e musica, eleganza e dinamicità, bellezza stilistica e quel pizzico di invettiva che non guasta, ma che guadagna punti sul palcoscenico della vita. Gli Urban Fabula, con questo album, riescono a dare voce alla parte più nascosta di noi grazie ad una musica eterogenea, imprevedibile, a tratti unica.


Moltheni – Senza eredità (La tempesta)

Ritrovare i cocci del passato e sintetizzarli all’interno di un disco emblema capace di catturare fotografie in bianco e nero in grado di accogliere la bellezza del tempo che passa e la sostanza metaforica del nostro essere vivi. Ritorna, dopo dieci anni, lo pseudonimo Moltheni a riempire di lirismo elevato una somma concentrata di episodi leggeri pescati nello scatolone del tempo e registrati e suonati con l’aiuto di musicisti importanti come Riccardo Tesio, Egle Sommacal, Massimo Roccaforte, Carmelo Pipitone ad impreziosire la scena. Ciò che ne esce è un album di buone canzoni. Ieri, Estate 1983, Nere geometrie paterne sono solo piccole parti di un disegno complesso che forse non riesce a prendere forma completamente, ma che nell’insieme regala una qualità intrinseca davvero invidiabile. Umberto Maria Giardini ritorna come fantasma di una vita passata per dare voce a quella parte di sé indimenticabile attraverso una sentita visione di ciò che è stato, di ciò che è.