The Blacklash – Mindtrap (Autoproduzione)

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Mix perfetto e a prova di bomba per in The Blacklash che sanno unire la musica degli anni ’90 con qualcosa di più moderno, dai The Smiths fino agli Arctic Monkeys, passando per Oasis e Franz Ferdinand in un incedere di brit pop scanzonato e ben suonato che porta con sé il gusto per un’internazionalità che si ritrova facilmente oltre i confini della nostra Italia. Con Mindtrap si entra all’interno di una musica che sposa un labirinto di convinzioni da cui uscire per abbandonare ciò che è stato, tentando di elaborare un nuovo suono applicabile alla quotidianità, un suono che tende all’evoluzione personale e ad abbracciare in qualche modo un senso profondo ed essenziale che parte dal di dentro ed entra in comunione con l’ascoltatore. I The Blacklash non sfigurerebbero di certo in festival d’ampio respiro come il Glastonbury e gli stati d’animo preponderanti di questa musica dal forte impatto emozionale sono solo dei piccoli tasselli essenziali per comprendere, tra dinamiche distorte e pulite, un nuovo senso di coesione tra passato e futuro. 


gimlii – Interweave (Xo la factory)

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Intrappolata in una teca di cristallo, tra le montagne siderali e le profondità desertiche, gimlii colora di tinte allucinogene e sintetiche un quadro d’insieme a formare tracce che si dipanano attraverso questo e altri futuri possibili in una coesione e in una immortale eleganza ben scandita dall’incedere del tempo. Interweave intreccia i Radiohead di Kid A, Lali Puna, i Sigur Ros, intreccia la malinconia e l’introspezione a qualcosa di più asettico, ma comunque ben amalgamato in un’elettronica di confine davvero essenziale e da brividi, ascolto dopo ascolto. Il disco della nostra trasforma il minimale in essenziale partendo da wols fino a 0909, passando per be too kind e PLUG in una musica dell’anima che consola e riappacifica, accarezza ed eleva attraverso un cuore che ricerca la propria strada, un cuore che sembra non voler fermarsi mai, tra gli anfratti di questi labirinti che tanto ci appartengono e tanto ci allontanano dal nostro essere interiore.


Moruga – Gallardo (IndieBox Music)

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Sensazionali e compositi i Moruga confezionano una prova oltre le aspettative percependo dagli influssi personali generi e commistioni in grado di combinare indipendentemente corpo, istinto e anima attraverso un suono a profusione ben ponderato. Gallardo è una creatura multiforme, uno spazio angusto che si fa lontano e che pian piano si riavvicina contrastando le energie del momento incanalando la mente in nuvole di polvere e vibrazioni senza fine. La band bergamasca costruisce un suono partendo dal funk,  contaminandolo con il metal e con il dark in un sodalizio che esplode attraverso una poesia che lascia spazio a divagazioni ben sopra le righe. In questo insieme mistico di composizioni ci sta il bisogno di comunicare un fuoco interiore che non smette di bruciare, un fuoco che alimenta con costanza la sensazione profonda e notevole che questa band ha creato un piccolo gioiellino contemporaneo. 


Ferro Solo – Almost Mine: The unexpected rise and sudden demise of Fernando (PT.1) (Riff Records)

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Rock and roll sputato al suolo ad una velocità turbosonica ad impattare il muro di quotidianità che ci troviamo ad affrontare. Maglioni grossi, cappotti invernali fanno da scudo ad una musicalità che prende vita e ispirazione oltre oceano in un andirivieni di colori e sapori che ben fanno sperare. Il disco solista di Ferro Solo, all’anagrafe Ferruccio Quercetti, si avvale di una miriade quasi sconfinata di amici musicisti come, tra gli altri, di Sergio Carlini dei Three second kiss, Andrea Rovacchi dei Julie’s Haircut e Riccardo Frabetti dei Chow con l’esigenza di fare, delle vibrazioni in musica, un punto importante da cui partire, un punto che non definisce un confine, ma piuttosto una realtà necessaria pronta ad andare oltre le nostre aspettative. I pezzi corrono alla velocità della luce e l’anima nera e profonda che ne esce è uno spaccato punk intrecciato al rock più denso che possiamo immaginare. Un progetto più ampio questo, un progetto di largo respiro e grandi vedute dove l’immediatezza fa da contraltare alla coesione e pensare che questa è solo la prima parte. 


Nero Kane – Love in a dying world (American Primitive)

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Spogliato di ogni orpello di genere il nostro Nero Kane entra nei territori polverosi di un’America risvegliata dal rumore degli avvoltoi che si nutrono di carcasse e resti come se non ci fosse un domani, attraverso strade mai definite e territori in continuo mutamento, in territori che si fanno esplorare e che per l’occasione diventano terreno fertile per nuove soddisfazioni future. Ritorna Nero Kane, dopo la parentesi con lo pseudonimo Nero in grado di dare alla luce quella piccola perla oscura chiamata Lust Soul, ritorna con un disco minimale, quasi intimo che oltrepassa i sogni della ragione affogando i bisogni in una malinconica contornata da bellezza velata capace di subentrare le coscienze e creare un loop continuo con tutto ciò che ci portiamo dentro. Prodotto e registrato da Joe Cardamone già con The Jesus and Mary Chain, The Cult, The Stooges e Warren Ellis questo Love in a dying world è uno spaccato culturale di nuovo decadentismo che non delude, ma che piuttosto ci accompagna laddove tutto sembrava essere morto, laddove tutto in qualche modo, ora, è rifiorito. 


Desvelos – Desvelos (Floppy Dischi)

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Impressioni da cameretta che escono allo scoperto lasciando posto ad incursioni che si dipanano tra acustiche intessute di energia onirica capaci di spaziare tra mondi e mondi in immagini sostanziali di un amore che diventa ricerca, un amore che si fa punto di partenza per parlare dal di dentro di vissuti e circostanze. Il breve EP di Desvelos, all’anagrafe Gabriel Medina, racchiude al proprio interno un bisogno di comunicare che si estende oltre la concezione lineare di questa nostra realtà, è un piccolo disco che sorprende per qualità e capacità di mescolare al pop la psichedelia in visioni che ritornano come caleidoscopio all’interno di un racconto mosso dal senso profondo del vivere. Cinque brani che sono un ottimo biglietto da visita, necessario citare il singolo Kway che vale l’ascolto dell’intero disco a formare inequivocabilmente una manciata di spiragli in musica che risultano essere ben sopra le aspettative. 


Il corpo docenti – Scivoli (Libellula Music/Tempura Dischi)

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Sferzate di rock giovanile che ben seguono la potenza sonora del momento legata indissolubile a band come FASK o Majakovich in un’elettricità di fondo basata nel raccontare stati d’animo all’interno di città grigie abbandonate dal sole, all’interno di movenze strutturali raccolte e pronte ad esplodere alla minima accensione. Il corpo docenti incasella una buona prova che manca un pelo di personalità, ma nel complesso instaura con l’ascoltatore un senso di energia profonda pronta a colpire, pronta ad entrare in comunione con un’idea di complessità che via via tende ad amplificarsi ascolto dopo ascolto. Il breve EP di cinque canzoni è un buon esordio da Silenzio a Scivoli, passando per la significativa Il muro per un disco concentrico che non cerca soluzione, ma piuttosto dona molteplici vie di fuga. 


Samuele Ghidotti – L’inferno dopo la Domenica (Libellula Music)

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Sonorità provenienti da mondi lontanissimi che intersecano un cantautorato moderno ed evocativo, a tratti malinconico grazie a suggestioni che diventano colori e intenzioni, grazie a suggestioni che aprono la nebbia di tutti i giorni per ritrovarci al proprio interno pezzi di realtà che ci troviamo ad affrontare. Il nuovo di Samuele Ghidotti è un disco notturno che non risparmia le mezze parole, ma piuttosto si concentra nel dare visioni d’insieme che accarezzano e in parte consolano attraverso una musica che sembra provenire da lontano e in qualche modo sembra accompagnarci in un abisso che non trova vie di fuga. Notevoli le presenze corali che permettono di dare profondità di campo a canzoni che già di per sé convincono attraverso le storie di tutti i giorni, attraverso le storie raccontate in C’era una volta, Nuova Amsterdam, la title track o nella finale In un mondo che vi giuro esploderà. L’inferno dopo la Domenica non è un disco immediato, è un album piuttosto meditativo dove parole e musica acquisiscono un significato importante e dove tutto il resto sembra non avere peso. 


Musica ex Machina – BURP (Hopetone)

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Suoni divincolati e improvvisati che si fanno portavoce di una generazione cresciuta a false notizie e facilità virtuali, in un mondo dove tutto sembra correre alla velocità della luce mentre noi rimaniamo fermi a guardare. I Musica ex Machina sono un gruppo alquanto eterogeneo, composto da elementi provenienti da diverse forme musicali e ritrovati per l’occasione con l’intento di comunicare un messaggio, comunicare un pensiero che in questa manciata di brani diventa coscienza per le masse attraverso un jazz strumentale d’avanguardia che mira a scomporre tutto ciò che vediamo grazie ai nostri occhi. Un’improvvisazione caleidoscopica lascia il posto a virate di colori a denuncia di una tecnologia che prende il sopravvento, dieci brani che si dipanano da Saturnalia fino a Open Arms Op. passando per Babonzo, Powerchihuahua e Manji in un concentrico volteggiare che riscopre opportunità ascolto dopo ascolto. Con Burp i Musica ex Machina allargano gli orizzonti contemporanei grazie ad una capacità da primi della classe, grazie ad un linguaggio necessario di questi tempi. 


Blumosso – In un baule di personalità multiple (Xo La Factory/Cabezon Records)

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Sottili e vellutati pensieri si insinuano pian piano nella quotidianità, nella vita di tutti i giorni, intessendo trame leggere e romantiche attraverso un cantautorato finalmente diverso che parla attraverso le logiche dell’amore, un sentimento lontano dalla tecnologia e dal non sense moderno, un sentimento vicino al senso profondo di tutte le cose, dove la poesia sembra acquisire un significato diverso, un elaborato concetto di passato che ora non esiste più. Il primo disco del cantautore Blumosso ricorda lo scorrere di un mare mai calmo e mai agitato, un turbinio di normalità che si affaccia allo specchio della vita e non delude, ma piuttosto crea in modo del tutto personale e sentito, un mondo fatto di vissuti che riguardano lo stesso cantautore. Un universo di bellezza quindi racchiuso nelle parole di In un albergo di Milano, Il giorno che ti ho incontrato, Quella maledetta Estate, All’ultimo secondo per un concentrato di malinconia e di sostanza difficile da trovare e qui snocciolata per l’occasione in un disco che si fa portavoce di quella musica d’autore che sembrava in qualche modo scomparsa, ma che rivive per l’occasione attraverso la complessità della parola che sovrasta indelebilmente questa realtà moderna.