Davide Peron – Inattesi (New Model Label)

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Le parole di Davide Peron entrano sottili come una lama e si insinuano attraversando le montagne e le pianure tra attimi di vita vissuta e bisogno di comunicare all’esterno un senso di appartenenza con un territorio che via via sembra essere sempre più vasto e irraggiungibile. Inattesi comunica un amore per il mondo che il cantautore vicentino esprime attraverso disegni vividi e immagini senza confini. C’è più introspezione rispetto ai lavori precedenti, le canzoni sembrano quasi dei notturni da apprezzare su posizioni privilegiate, guardando magari dalla cima di un monte le luci flebili di una città in dissolvenza. Sette pezzi che sono l’esemplificazione di un lavoro certosino curato nel corso degli anni, brani che si lasciano ascoltare dando sempre maggior risalto ai testi, spogliati questi dagli orpelli musicali, salvo qualche rara eccezione dove l’elettrica fa la sua parte solista e dove l’intimità raggiunge apici notevoli che si infrangono volutamente contro il silenzio devastante di una società malata. Abbiamo pensato a giocare riassume per certi versi l’intero lavoro e Un silenzio, nel finale, è degna conclusione di un percorso che fa della condivisione un punto di adesione verso un qualcosa che non possiamo vedere, che non possiamo comprendere ancora, ma che riesce sicuramente a formare solide fondamenta in grado di trovare nelle radici di un fiore un punto di contatto con il nostro venire al mondo. 


Gli Archimedi – Forvojagi (New Model Label)

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Sperimentazione sonora che concentra elementi classici con le derivazioni del folk e del jazz in una musica che gioca con le sovrapposizioni creando composizioni inusuali che prendono il passato, quello già scritto e reinterpretandolo in modo del tutto originale attraverso l’uso di strumenti a corda che segnano il susseguirsi delle canzoni, attimo dopo attimo. Gli Archimedi giocano con i termini e con le parole anche se i loro brani diventano delle vere e proprie suite musicali dove l’incontrarsi e il fondersi di diverse sonorità crea un equilibrio sempre costante, quasi sul filo invisibile di un rasoio che sa tagliare se governato. Forvojagi incorpora canzoni tradizionali reinterpretate, pezzi di anima che in qualche modo entrano in discussione con il nostro essere ed escono dal concetto di musica di facile digeribilità per nuove forme di esemplificazioni che sostengono un trio di rara intensità. Un violino, un violoncello e un contrabbasso capaci di creare ponti tra passato e futuro grazie ad una musica reinventata e insita nel midollo di ogni cosa. 


Tosches – Finding Myself Ep (Seahorse Recordings)

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Urgenza di esprimere in musica sogni di carta abbandonati alla velocità della luce per riscoprire un pensiero lineare che trova nel cantautorato il proprio punto di svolta, il proprio segno d’autore immedesimando l’attimo attraverso un’esigenza di parlare da vicino di tutto ciò che riguarda la quotidianità. Tosches, all’anagrafe Nicolò Vignolo, confeziona un dischetto essenziale, conciso, ma pieno di rimandi con il passato per un autore che trova nello sperare la propria personale interpretazione di questo nostro essere al mondo. La concentricità di Finding Myself Ep si percepisce già da Here I am che getta le basi per tutto ciò che può arrivare e che possiamo ascoltare in pezzi come Rain o Rosemary, fino all’omaggio nella classicità di Wish you were here dei Pink Floyd. Tosches, in questi cinque pezzi, esprime una parte del suo essere essenziale; in attesa di un full length un ulteriore ascolto ci permette di percepire sensazioni care all’autore e che a tratti riescono a farci cullare.  


Casa – L’inottenibile (Dischi Obliqui)

L’inottenibile

Spogliato di ogni orpello di genere, sempre difficile comunque da etichettare, ritorna il progetto Casa con un disco che mira direttamente al senso materico del tutto, in un vortice concentrico di impressioni gettate sulla tavolozza della vita attraverso suoni sintetici, oscillanti e privi appositamente di ogni forma strutturale concessa. Suoni scarni quanto basta per creare un unico ambiente lineare che in trasposizione evolve e ritorna sui suoi passi. Filippo Bordignon in questo nono album e quasi in solitaria, compie un’evoluzione che rispecchia un senso di origine del tutto soggettiva. Non ci sono le improvvisazioni avant jazz, non c’è più l’art rock degli inizi, c’è piuttosto una capacità intrinseca nel delineare un paesaggio solitario, un digitale che irrompe nella natura e buca la tela di ciò che può essere esplorato per concentrarsi sulla forma uditiva del tutto per un rigoroso suono monocorde che nella tecnica dell’essenza trova la propria via di fuga. Trenta tracce e poco più di trenta minuti di disco a creare un album che non si fa ascoltare, ma che piuttosto va compreso nella sua complessa profondità.