Capside – Tous les hèros (Autoproduzione)

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Suoni concentrici che abbagliano e rendono l’idea di paesaggi da esplorare che inevitabilmente compaiono lungo il fiume della memoria percependo sapori, profumi e colori di una terra lontana, di una terra da imparare. I Capside, dalla Sardegna, proiettano nel loro essere al mondo un bisogno di comunicabilità che si sposta nelle esigenze di un prog rock che ricorda molto il Banco del Muto Soccorso, attingendo vitalità dagli anni d’oro della musica italiana quando ancora la tecnica si legava indissolubilmente alla poesia. Tous les hèros rimanda ad un tempo  che non c’è più e, con stile, riesce a creare melodie strumentali che ben si intersecano con la voce di Valentina Casu a rimarcare un bisogno di comunicabilità che entra, con grazia, all’interno della mente dell’ascoltatore. L’album dei Capside è un gesto d’amore verso le cose più preziose che riusciamo a percepire grazie alla forza della musica per un disco colorato che raccoglie l’esigenza di un mare in movimento, di un mare che non smette di fare il suo corso infinito. 


Andy K Leland – Happy Daze (Mattonella Records)

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Abbracci lontani su laghi alpini che intersecano sul far della sera i nostri sogni insperati in un’intensa visione di nuvole e sereno a ricoprire di vita ciò che sembrava perduto. Il progetto solista di Andrea Marcellini, già My Cruel Goro, si affaccia sul parapetto del cantautorato solitario incasellando le visioni di Nick Drake, Damien Rice, Elliot Smith in un condensato concentrico di sei pezzi in puro stile lo-fi decompresso e pronto a stupire attimo su attimo. Sono anime che si fondono quelle di Andy K Leland, immagini pure e a tratti ruvide di vita a raccontare e a raccontarsi in un sodalizio con il mondo esterno, con la natura che accarezza e accompagna il nostro essere verso un nuovo giorno. L’omogeneità di fondo si percepisce in tutte le canzoni proposte e questo Happy Daze ha il sapore delle cose migliori pronte ad intensificarsi quando meno te lo aspetti, pronte a risplendere di luce nei boschi che risiedono dentro di noi. Visioni d’insieme quindi per il nostro, paesaggi dipinti per un’introspezione che abbraccia la bellezza nel suo punto più alto.


 

Dave Muldoon – Smoke Steel and Hope (Prismopaco)

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Suoni desertici ed enigmatici per un disco che arriva dopo nove anni dal precedente e che risulta in grado di creare atmosfere da assaporare sul far della sera, accovacciati su di una sedia a dondolo che si muove scandendo regolare il tempo. Dave Muldoon si fa attendere, ma nel contempo dà vita ad una prova davvero importante e a tratti granitica in grado di osservare attentamente i cambiamenti del nostro essere, in grado si soverchiare l’ordine precostituito per dare vita ad un album in continuo divenire ricco di citazioni e di solitudine, di velata introspezione e malinconia che attanaglia, prende allo stomaco e ci conduce verso un’altra realtà. Si vola facilmente nei territori di un Springsteen solitario, passando per il Tom Waits migliore e per qualche paesaggio dipinto per l’occasione da Nick Cave e Bob Dylan pur mantenendo una costante di fondo che si muove tra originalità e leggera sperimentazione. Un disco scritto per la gente, un disco fatto di quotidianità e piccoli drammi che colpiscono l’uomo da vicino, dieci canzoni che, ne sono convinto, almeno un po’ vi cambieranno dentro. 


Timothy Cavicchini feat. Ostetrika Gamberini – Nudi e perpendicolari (Klasse uno edizioni)

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Rock emozionale che parla vicino al cuore forse con troppa enfasi, ma di sicuro con forti intenzioni di ricondurre la forma canzone ad un gesto semplice che nello scorrere del tempo trova la sua dimestichezza e il suo mondo all’interno delle complicate relazioni che la vita ci mostra e che ci invita ad affrontare. Il disco del frontman dell’Ostetrika Gamberini, Timothy Cavicchini, è un album di classic rock che guarda alla canzone sanremese legata a format precostituiti, basti pensare al secondo posto del nostro al The Voice of Italy e che in questo Nudi e perpendicolari rincara la dose con sonorità abusate senza proporre nulla di nuovo nel nostro panorama italico già saturo. Un album che sembra legato più all’apparenza che alla sostanza, un disco patinato ben suonato e ben cantato con canzoni che appartengono ad una quotidianità radiofonica che oramai sembra andare per la maggiore. 


Frank DD & Friends – Sos Kaos (VREC 243)

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Ritorna il mondo disincantato di Frank DD & Friends, ritorna con un disco colorato e ricco di sfumature contaminato dalla forma mutevole e cangiante di pezzi che intersecano svariati generi, ma che mettono sempre in primo piano il ritmo in levare, il suono contagioso di territori d’oltreoceano. Pop e reggae, musica d’autore e hip hop sono i marchi di fabbrica di uno dei più rappresentativi gruppi di genere della penisola, per un album che come rompicapo si affaccia alla vita moderna raccontando di una contemporaneità malata, di una vita che nel caos quotidiano ricerca sprazzi di cielo oltre l’inutilità di tutto ciò che può essere materiale ed effimero. La band di Prato stilisticamente abbraccia culture lontane, ma dirompente si rivolge a questa contemporaneità come in Spara, Sos Kaos, C’è chi, Inconsapevolezza, il tutto all’interno di un disco cangiante e mutevole che facilmente si fa riascoltare e dirompente misura al millimetro le parole valorizzando una prosa metrica di sicuro effetto e sicuramente convincente. 


The last drop of blood – The last drop of blood (VREC 239)

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Atmosfere desertiche abbracciate ad un rock che si spinge oltre i confini conosciuti atterrando granitico e nel contempo quasi psichedelico a rimarcare un territorio concentrico e a lento rilascio dove a farla da padrone sono i suoni provenienti da lontano, da un’altra dimensione. Le sette canzoni che compongono il disco dei The last drop of blood sono indice di una capacità intrinseca nel riuscire a creare brani dal forte appeal emozionale e a tratti distruttivo mescolando il rock più classico con l’elettronica e le atmosfere cinematografiche di un film che non vuole finire. Imponente e monumentale il singolo Thorn, senza dimenticare l’apertura affidata a Cut Wire e finendo un intenso lavoro con la title track che ridona emotività creativa ad un disco strutturalmente ineccepibile che scava nella memoria dei bisogni passati alzando la polvere della quotidianità e guardando oltre il disincanto della vita moderna in un’apertura sonora in stato di grazia pronta a lasciare il segno. 


Artura – Drone (New Model Label/Matteite)

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Macchine pensanti che fanno capolino in una scena elettronica fatta di tappeti spaziali che inglobano un pensiero, una voce, una parola restituendo il tutto in suono approfondito e legato a qualcosa che indissolubilmente guarda al passato, ma che come approccio ricorda inevitabilmente la nostra reale quotidianità. Il progetto di Matteo Dainese conosciuto ai più come Il cane in collaborazione con Tommaso Casasola e Cristiano Deison arriva a ricompattare l’arte dell’analogico per trasformarla in modo quasi dirompente grazie ad un digitale di buona fattura che permette di vagare nella stratosfera dell’alternativo in un’eterogeneità di sfondi che in questa musica diventa essenza vitale e soprattutto predominante. La diversità dei palchi ricreati, per queste canzoni da cinema in divenire, ci costringono a guardare il mondo da un’altra angolazione, da un altro punto di vista ricercando sempre e comunque un punto innovativo e inusuale, compatto, ma nello stesso tempo vitale. Ciò che ne esce è un disco ambizioso che trova nella visione dall’alto il proprio stato mentale costringendo l’ascoltatore a guardare sempre e comunque un po’ più in là del proprio orizzonte. 


Chris Agnoletto – s/t (InLoop Music)

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Album d’esordio per il cantautore pugliese trapiantato in Veneto, disco d’esordio dalle tinte teatrali e potenti in grado di attraversare decenni di canzone d’autore italiana incasellando e incastrando a dovere uno stile che si concentra nel condividere di pari passo contenuti ed emozioni, quasi da grande di un tempo che non c’è più. Incrociatori esistenziali accoppiano la poesia di Fiumani con i Baustelle, passando per il vicentino Fabio Cardullo e per il maestro De André in un vortice di polvere dove la siccità sembra non esistere più, ma sembra prevalere quel senso di necessario da spiegare, da far proprio e custodire. Le canzoni acquistano valore e importanza ad ogni minuto che passa e se Sono ancora qui è prova generale all’interno di un disco dalle molte sorprese, pezzi come Basta così, Canzone per un amico, Carlo e Sara, Il mondo è morto, Sopravvivere controvento sono l’esemplificazione di un amore per la musica che va oltre le barriere quotidiane e ci consente di percepire a fondo il nostro credo, oltre le nuvole disintegrate di questa società. 


Mala – Totocaos (Autoproduzione)

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Duo esplosivo, ma che ama nascondersi nei conforti di una cameretta a scrivere e a registrare canzoni contagiose che parlano di noi, dei nostri mondi e di tutto quello che lasciamo sempre più in disparte. Totocaos è un disco aperto a soluzioni innovative, un album che non si accontenta di apparire, ma che piuttosto trova nelle intelaiature generose e sostanziali degli spiragli d’aria raccolta a confluire su ciò che sentiamo sfiorarci giorno dopo giorno. L’approccio dinamico al tutto permette una narrazione fluente e l’illusione del vuoto fa da contraltare ad una pienezza che possiamo ascoltare in pezzi come Carla, Asterischi, Islanda, Ma se e Sicilia a riscoprire una natura matrigna e in grado di cambiare il corso delle cose, una natura emozionale che nelle tappe della vita si immedesima nel ritorno a casa, nel ritorno a quel qualcosa che custodiamo nell’angolo più segreto del nostro paradiso e che sovente ritorna come cielo azzurro in una giornata di pioggia. Un disco narrativo e ricercato, un album da riascoltare in questa contemporaneità. 


Malkovic – Buena Sosta (Costello’s Records)

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Suoni a profusione che si intrecciano attraverso un teletrasporto spazio tempo in grado di relegare l’inutile e dando un senso alle esplosioni circostanti. I Malkovic ritornano con un nuovo EP fatto di canzoni suonate a dismisura e cantate altrettanto bene in un vortice di parole che si muove attraverso una quotidianità che distrugge e che con rabbia trascina con sé la parte migliore che possiamo portarci dentro. Cinque pezzi soltanto, questi, ma in grado inevitabilmente di cambiare l’assetto strutturale di un intero disco per un post rock di pura goduria cosmica, impegnato quanto basta per portare i nostri ad un livello davvero importante. Da Colossus fino a Chitarrina passando per la riuscita title track i Malkovic con Buena Sosta architettano un meccanismo che pone le basi, spero, per soddisfazioni future ancora più vere e reali.