Alia – Giraffe (Pippola Music)

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Alia è il profumo della Primavera e del disincanto, della voglia di uscire a correre lungo i prati lasciando indietro i pensieri più neri, il bisogno di lasciare indietro le tenebre per dare un senso nuovo alla luce che ci circonda. Giraffe è una bellezza da scoprire ascolto dopo ascolto, un insieme vivido di immagini lucenti che nei fiori del mattino riscoprono con magia la bellezza del momento, del racconto, dell’essere noi stessi oltre le apparenze solcando i mari contro il vento dell’omologazione e abbandonando l’inutile presa di una realtà troppo artificiale per essere assaporata appieno. Il nuovo di Alia è un inno alla vita che trova nelle collaborazioni un punto importante d’approdo. Pensiamo alla title track di una bellezza sopraffina cantata con Patrizia Laquidara o Alessandra con Francesca Messina per poi scorrere attraverso Sei donne con la voce recitante di Elisabetta Salvatori fino a Verso Santiago cantata con Martina Agnoletti. Tracce che si sovrappongono e rinfrancano grazie anche alla presenza di musicisti d’eccezione come Fidel Fogaroli, Giuliano Dottori, Cesare Malfatti solo per citarne alcuni a dare peso ad un progetto di pop sognante oltre ogni barriera. Alia racconti di viaggi e di persone, racconta di un mondo idealizzato che sembra visto con gli occhi di un bambino, per un disco che va oltre il cantautorato contemporaneo per come ora lo conosciamo ricavandosi un piccolo posto d’onore tra le migliori uscite di questi ultimi tempi. 


Ozzo – Pastislost (Autoproduzione)

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Potenza sonora compressa e rigettata al suolo come fulmine a ciel sereno, fuoco che rinfranca, aria che respiriamo in una espressività di fondo che ha il sapore della magia e delle cose migliori in un’internazionalità sospinta davvero stupefacente di chi conosce nel profondo i meccanismi concentrici per far emozionare attraverso una musica che ha diretti richiami con il nu metal, lo shoegaze, il metal sinfonico. Ozzo, all’anagrafe Ivano Tomba, costruisce una prova che si muove attraverso l’ossessione del tempo che passa, di ciò che perdiamo e che non possiamo più recuperare, un disco fatto da sei tracce che incantano per immediatezza e fruibilità, per sensazionale bisogno comunicativo e per capacità di manipolare i suoni a proprio piacimento con l’intento di creare contrapposizioni tra buio e luce attraverso mani chiuse che incontrano radici in una responsabilità da primo della classe. Da As fast as you can fino alla cover di Seal, Crazy, il nostro costruisce attimi di immediatezza pop in un disco che non sfigurerebbe nelle classifiche di mezzo mondo. 


Emotu – Meccanismi Imperfetti (Autoproduzione)

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Suoni elettronici e vagamente new wave che intercorrono attraverso le emozioni e le vicissitudini di questo disco compresso in poetiche industrial pronte a rinfrancare l’animo romantico di una musica dal facile ritornello, ma dalle intersezioni mai banali che trovano nel vissuto del momento attimi per raccontare una storia da vivere in primo piano. Gli Emotu creano atmosfere davvero importanti per un album concentrico che sembra quasi parlare vicino al cuore, ma in maniera del tutto inusuale, Meccanismi imperfetti parla di noi e dei nostri fallimenti, Ogni cent’anni, la canzone d’apertura nonché primo singolo estratto è un gioiello di pura necessità che si fa ascoltare più volte per poi proseguire processi di installazione sonora con pezzi come Vento a Monastir, Eva su Marte, Actarus o la bellissima, nel finale, Vertici precipizi. Gli Emotu ci consegnano una prova matura e stilisticamente importante che sicuramente non segue le mode del momento, ma piuttosto si rifugia in un passato che vedeva ancora la forma canzone come punto fondamentale e di di sicura valenza nel lanciare un messaggio. Meccanismi imperfetti è una sorta di strada da seguire in questo labirinto chiamato vita che trova nel ricordo un filo necessario per la nostra libertà. 


GDG Modern Trio – Spazio 1918 (Brutture Moderne)

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Saliscendi emozionali su asteroidi introvabili e carichi di velocità espressa attraverso forme alterate di poesia urbana incrociata ad un free jazz sporcato dall’elettronica e dall’improvvisazione per un risultato di chiaro stampo conteso e lisergico. Ascoltando i GDG Modern Trio sembra quasi di fare un salto ai tempi di Amnesiac dei Radiohead quando le sperimentazioni erano in funzione di una canzone che poteva diventare pop o comunque di facile fruibilità, mai estrema, ma piuttosto in grado varcare la soglia dell’astrattismo per portarci in una comunione unisona con gioielli di rara bellezza e di rara intensità. Spazio 1918 porta l’ascoltatore in una dimensione parallela e ben studiata grazie all’esemplificazione di undici microcosmi sonori e interstellari che permettono un viaggio che si spinge su strutture architettonicamente ineccepibili e cariche di appeal in un processo magnetico che trae soddisfazione dal connubio reale-fantastico di una musica da assaporare in ogni sua più piccola sfumatura. 


Dead cat in a bag – Sad dolls and furious flowers (Gusstaff Records)

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Sguardi che si incrociano oltre il futuro che conosciamo portando parallelismi di luce oscura pronta a rinfrancare la scena, a stabilire una comunione unica e irripetibile con l’ascoltatore e con il mondo più buio che questo può abitare per anfratti celati alla quotidianità che percepiscono cenni d’amore in una furiosa vibrazione che ha il sapore delle cose migliori. I Dead cat in a bag sono tornati con un disco bellissimo capace di racchiudere al proprio interno meccanismi strumentali che hanno il sapore e il vigore di un’opera, di un concept album studiato a tavolino dove i suoni sono profondamente innovati e capaci di incrociare un folk introspettivo con un rock che racchiude i nervosismi sonori di Nick Cave e di Tom Waits per parallelismi d’intersezione con  la musica tradizionale mossa dal bisogno di comunicare, di penetrare la carne, di scendere fino all’inferno più tetro per ritornare inesorabile sotto forma di carezza prima dell’attesa sera. La voce di Luca Swanz Andriolo costringe le tenebre a fermarsi per un momento creando una bolla d’aria di inequivocabile bellezza inalterata pronta a stupire ad ogni passo circostante e se Thirsty può essere una grandissima traccia Le vent racchiude al proprio interno una poetica essenziale che fa di questa band qualcosa di impressionante nel panorama della musica italiana. 


Alberto N. A. Turra – It is preferable not to travel with a dead man (ChantRecords)

Elucubrazioni notturne in solitaria capaci di scavare all’interno del nostro io una voragine profonda una notte intera a tessere trame d’argento che si sfaldano con l’arrivo del sole, con l’arrivo delle belle giornate, portando però con sé un senso di abbandono, di pensieri in dissolvenza, di capacità melliflua, ritorta e continua nel dare adito a speranze e a sogni infranti. Il disco live di Alberto N.A. Turra è un viaggio nei pensieri e nelle improvvisazioni che si trasformano in musica da cinema per palati sopraffini e naturali, mossi da quell’idea sospesa nel galleggiare attraverso pareti che percepiamo da vicino che sentiamo nostre, ma che non possiamo afferrare. Dentro a questo disco ci sono i luoghi dei live, ci sono i profumi di quei posti, le chiese sconsacrate, i masi d’alta montagna, le case abbandonate allo scorrere dei giorni, ci sta una poetica ermetica e filiforme in grado di farci entrare perentoriamente attraverso le ferite dell’umanità, rimarginandole però con cicatrici che parlano di noi, con cicatrici che parlano d’amore.