Public – Isole (Dischi Soviet Studio)

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Isole è il netto contrasto di un posto da occupare, di un posto da fare nostro intersecato da architetture geometriche e spigolose in grado di attraversare generi su generi, contaminazioni e valichi da affrontare in una musica che esplode in tutta la sua bellezza e noncuranza delle mode, ma che piuttosto ricerca un evidente grado di personalismo dopo anni di lunga attesa. I Public sono tornati, dopo quasi sette anni, con un disco impressionante dove il pop si fonde e confonde con il rock, il funk, il blues, in un approccio nervoso, immediato, diretto facendosi amare maggiormente dai predecessori e unendo alta capacità musicale con un assetto che assembla e scompone in un cut up emozionale capace di interagire con i singoli membri sino a creare qualcosa di originale, completo. Brani come Sciami, Apnea, Chiamami nel pieno della notte, Immagino, la finale Spopola sono solo alcuni pezzi del complicato puzzle che alla fine del disco si incastrano alla perfezione donandoci una visione d’insieme, un’immagine contrapposta in evoluzione che per la band veneta resta qualcosa di strepitoso e unico nel suo genere. Beraldo, già voce dei compianti North Pole, regala una timbrica coinvolgente, da assaporare soprattutto in chiave live creando saliscendi atmosferici e garantendo un risultato finale che rende Isole uno dei più bei dischi italiani usciti in questi ultimi anni. Impressionante.  


Red Lines – Paisley (Autoproduzione)

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Sonorità d’oltreoceano in grado di mantenere il filo teso della bellezza dalla prima all’ultima canzone, una musica matura per certi versi che incrocia il pop elettronico a suoni psichedelici concentrando l’azione tra lo stupore che tutto questo sia stato creato da una coppia giovanissima di musicisti e il risultato certo di un complesso che nella sua pienezza possiamo analizzare dalla prima all’ultima fatica. Paisley è un album che suona maledettamente bene, gli echi di band come Alt-J, Radiohead, Florence and the machine sono evidenti e l’impressione di fondo, ad un primo ascolto, si raccorda all’interezza di sensazioni che canzoni come l’apertura Talk to me, la sognante Tomorrow, lo sdoganamento in Control III e la finale Together lasciano intendere, in saliscendi emozionali alternati a soffi di pienezza percepibili. Paisley è un album prezioso, il primo di tanti spero, un disco capace di trafiggere in profondità attraverso una voce sottile, un mood disinvolto che è alla ricerca di una propria personalità, ma che getta le basi giorno dopo giorno per sempre nuove soddisfazioni. Bravi.

Lady Ubuntu – Signore se esistessi non sentirei più il ritmo orrendo del pensiero che si avvita (Cloudhead Records)

Profondità scardinata da grida e potenza incontrollata, ironia a sorte e traguardi imprescindibili da raggiungere sono forma e costanza di una band spettacolo che si diletta a rinvangare psichedelia e amore per un art rock d’annata complesso quanto basta per sperimentare ancora un bisogno di procedere al repentino cambiamento che ingabbia, costruisce e smantella modi di vita stravaganti in un’ampiezza di fondo che più di tanto non si domanda, ma che nel vagheggiare errante umano perquisisce a fondo le tasche della nostra mente e incasella una prova astrusa e irreplicabile.  I Lady ubuntu sono tornati con un disco che li vede ancora al fianco del Il Re Tarantola, questa volta nel pezzo He resigns per passare alla collaborazione con I Camillas e il loro pop minimalista, per un album a fasi alterne capace di aprire e chiudere il respiro, interagire con l’ascoltatore scuotendo un di dentro che è naturale prosecuzione di tutte quelle band che hanno sicuramente qualcosa di vero da dire. 


Scogli di zinco – Scogli di zinco (Autoproduzione)

Gli Scogli di zinco sono amore per gli spazi siderali a contemplare l’alba dopo un notte che noi chiamiamo oscurità in una ricerca, un tentativo di creare un’originalità di fondo che prende in prestito le lezioni dello shoegaze per approdarlo a melodie intessute di musica classica a riempire terre islandesi in un post rock che trova spiriti affini e similarità preponderante in band come Sigur Ros alla ricerca costante di emblematiche visioni che raccontano di terre lontanissime, di alberi, foreste, boschi e radici che sembrano non trovare punti di partenza e tanto meno di arrivo. La band di Macerata approda, con questo disco, in un altro pianeta, approda con originalità di fondo davvero impressionante, senza troppe contaminazioni, ma intessendo dal proprio interno uno stile importante che trova nel bisogno di uscire e di correre lontano un senso necessario per questa e altre scoperte. Scogli di zinco è un album maturo, un insieme di pezzi da rimanere abbagliati. 


Aurora D’Amico – So many things (800A Records)

Velati suoni soppesati dalla luce del sole entrano in contatto con un eterea visione tangibile di sogni abbandonati, di sogni da perseguire in un’incessante attesa che dura un’eternità e lascia dietro di sé polvere mattutina di bisogni da rincorrere e assaporare. Aurora D’Amico esce con il suo primo full album, canzoni acustiche edulcorate e piene di bellezza da sentire, passi leggeri all’interno di stanze vuote fanno da contorno ad un bisogno di comunicare con voce un paesaggio, un mondo lontano, partenze e abbandoni, ritorni e ancora amore per le proprie storie, quelle stesse storie che ora ritroviamo in questo So many things sotto forma di diario in musica. I riferimenti più diretti si rivolgono all’oltreoceano, Christina Courtin e Nerina Pallot su tutte, in un suono che passa dal folk al rock con immediatezza mai conclamata, ma piuttosto rende omogenea una proposta che snocciola con maturità dieci perle da collezione, dieci brani da ascoltare quando siamo alla ricerca di un qualcosa che forse non vedremo mai, ma che desideriamo con forza ogni ora, ogni giorno. 


Nimby – Nimby II (La Lumaca Dischi/Overdrive Rec)

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Suoni provenienti direttamente dagli anni ’90 per il nuovo dei Nimby in un concentrato atmosferico di psichedelia ben ponderata e post punk che si esprime grazie ad un suono anacronisticamente fresco, un suono davvero ben posizionato all’interno di un costrutto vissuto davvero eccezionale. Testi onirici e intrappolati in una realtà parallela poi fanno da contorno essenziale alle trovate di questa band in evoluzione che raccoglie ciò che di meglio è stato per trasformarlo, da veri artisti, in qualcosa che possa restare o perlomeno lasciare un segno tangibile di questo, loro, passaggio. Ad aiutare nell’impresa Manuel Fusaroli alla produzione artistica già con TARM, Nada, Il teatro degli orrori per un insieme di canzoni che in qualche modo si fa racconto di anni irripetibili. Gli Smiths o meglio i The Smiths perché magari qui qualcuno si incazza, sembrano attirare ricordi di suoni preponderanti, passando per i The Cure e i più recenti e italianissimi Stella Maris, senza dimenticare poi rarità underground del nostro panorama targate 3000 bruchi. Il disco dei Nimby è spettacolare sotto diversi punti di vista, fresco e diretto con melodie incalzanti, introspettivo nel contempo quanto basta per gridare al miracolo. In Nimby II c’è la fusione di qualcosa di bellissimo che ha il sapore del viaggio e delle cose belle da ascoltare, una fusione necessaria segno di maturità e capacità di condensare, in meno di un’ora, un pensiero cangiante e soprattutto libero.