John Malkovitch! – The irresistible New Cult of Selenium (I Dischi del Minollo)

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Quattro canzoni, brani, pezzi per quarantasette minuti di ascesa e ritorno in un mondo sommerso da crisi esistenziali, un mondo dove nulla è ciò che appare e dove l’energia viscerale nascosta si trasforma in evidenza, abbondanza, necessità e desiderio di sconfinare attraverso un post rock che ingloba silenzi, tranquillità fino a sconfinare e ad aprirsi in cosmiche avventure siderali che non lasciano posto alle mezze misure, ma piuttosto trovano un punto di incontro nell’avvicendarsi verso un bisogno di sintonia che in poco tempo i John Malkovitch! riescono a trovare. Scomposizioni geometriche si fondono nella realtà dando però un senso psichedelico al tutto toccando vertici di rarefazione con un mondo creato ad arte e pieno di sfumature che possiamo comprendere lasciando l’ultima parola all’implosione finale, quella prima della tempesta, quella in grado di creare un senso di calma apparente e consolazione che solo chi si farà trasportare per l’intero viaggio potrà comprendere. The irresistible New Cult of Selenium è un disco che in primis è un’avventura esistenziale attaccata ad una corrente in deflagrazione continua.

Snow in Damascus! – Unconscious Oracle (DGRecords/StoutMusic)

Apici raccolti ed esplosi in un disco maestoso e impressionante per una band italiota, un album che ha il profumo dell’internazionalità ad ogni nota e si sposa in maniera quasi maniacale con una ricerca ricca di soddisfazioni e protesa ad un futuro difficile da spiegare a parole. Gli Snow in Damascus! hanno, dal nulla, gettato al mondo musicale un disco cangiante, psichedelico nella sua trama folk intersecata all’elettronica, un insieme di canzoni elettrizzanti nella loro pacatezza, un fiume in piena necessario confermato da incursioni che dividono il mondo a causa di una sottile crepa. Una crepa da cui vedere l’esistenza in quattro dimensioni, ogni singolo momento, ogni singolo attimo vissuto qui dilatato in concentriche visioni a farla da padrone. Dalla title track fino a Make me blind i nostri ricordano le derivazioni neo folk di Bon Iver passando per i The Barr Brothers, dando forma ad una prova completa che dimostra capacità di osare e obiettivi da raggiungere in modo liberatorio. Mi auguro veramente di sentire parlare ancora di così tanta bellezza raccolta in un concentrato di autenticità così difficile da trovare.

Il Gentiluomo – Sole (Cane Nero Dischi)

Lo-fi ad alto tasso emozionale capace di stupire e di creare costantemente emozioni da cameretta che rendono a meraviglia atmosfere ovattate in un mondo fatto di giocattoli spezzati ed entrato a pieno diritto nell’età adulta tramite una ricerca sostanziale di sussurri, parole calibrate e melodie che di certo non passano inosservate. Erano Sole Serena e Costanza, ora però sono in tre con l’aggiunta di Simone alla batteria, per un progetto che trova nel pop più essenziale ed efficace un proprio trasporto, una chiave per entrare in un mondo che sfiora melliflue sostanze e si lascia intorpidire dal freddo della realtà, da tutto quel freddo che attanaglia e che priva l’uomo e soprattutto la donna di quell’essere umani oltre ogni categorizzazione. Figli di bronzo è una degna apertura per un disco davvero interessante sotto molteplici punti di vista. La semplicità di fondo si sposa a pennello con la bellezza dei testi, con la bellezza di canzoni che scorrono come l’acqua e si lasciano ascoltare. Il disco de Il gentiluomo è una chiara dichiarazione nei confronti dei sottili legami che uniscono le persone, è un provare a rispondere alle nostre domande guardando le cose che ci circondano in modo semplice e diretto, a tratti elegante, a tratti scomposto in una formula di certo originale.

Luis Leo – Dell’essere liberi (La Sete Dischi)

 

Strutture lineari, parole che si deformano, incantano e parlano di quotidianità sparsa alla velocità della luce, alla velocità del tocco di un gesto, di una carezza, in un insieme di canzoni prettamente pop sintetizzate a dovere da riff divertenti e ben congegnati dove architetture concentriche si sposano a meraviglie con il sapore delle cose più genuine. Il progetto solista di Leonardo Borrelli è un fare e disfare la materia, è essenzialmente un affacciarsi alla finestra della vita osservando da più punti che cosa ci possa riservare il futuro che cosa ci aspettiamo dalle nostre azioni e che cosa manca ancora per sentirci reali. Pezzi come l’apertura Schemi su schemi intrecciano melodie baustelliane contagiate da band come Arcade Fire per proseguire con canzoni importanti dai titoli esistenziali come Che senso ha, Io resterò, Frenetica; brani questi legati al filo invisibile dell’indie rock spruzzato dal cantautorato meno appariscente, ma comunque in grado di donare al progetto una dimensione di alta comunicabilità. Dell’essere liberi è un uscire allo scoperto dalle prigioni del nostro essere, è una manciata di canzoni che vanno oltre il pop impacchettato a dovere nella forma e nella sostanza. Un piccolo lavoro di ricerca quindi e passione che Luis Leo sa conformare a proprio piacimento e interesse. Un disco leggero solo in apparenza.

Eloisa Atti – Edges (Alman Music)

Sperimentazioni sonore su deserti emozionali carpiti ed elaborati in una formula internazionale carica di aspettative dove piccoli affreschi che fanno parte dei pensieri si snocciolano uno dopo l’altro in una musica folkeggiante dall’animo blues, una musica che d’impatto trae le origini da Billie Holiday per poi identificarsi con un suono più moderno, pur mantenendo per certi versi quelle origini jazzistiche che contraddistinguono la cantautrice bolognese e che per l’occasione si spolverano di un country fumoso, essenziale che gioca con pochi strumenti, ma che di rimando confeziona emozioni che non passano di certo inosservate. Edges sono le estremità, ma anche dei punti di unione, sono i confini, ma anche le prosecuzioni di un qualcosa che va a colmare il nostro essere, il nostro venire e perpetuare nel mondo. Brani come l’apertura Each man is god, The rest of me, Without you, Cry, Cry, Cry vanno a dipingere questi quadretti d’insieme e sono l’esemplificazione di un pensiero che tenta di ricucire le voragini aperte con il passato, consolando con melodie a volte graffianti a volte malinconiche dove l’insperato può ancora essere reale, dove le lacrime che scorrono potranno trovare, forse un giorno, la strada verso il mare.

Guignol – Porteremo gli stessi panni (Atelier Sonique)

album Porteremo gli stessi panni - Guignol

Suoni completamente diversi che si trasformano da spigolose sferzate elettriche del precedente a musica folk d’autore in questo Porteremo gli stessi panni, una visione concettuale e poetica che prende spunto dal titolo di uno scritto dell’attivista e poeta lucano Rocco Scotellaro e che per l’occasione fa da contenitore al mondo creato da Pier Adduce e dai suoi Guignol. Un mondo musicale dove l’assonanza e la facile rima viene dimenticata in nome di un costrutto esistenziale che si lacera dall’interno e narra di un mondo a tratti decomposto dove gli attimi di vita si fanno essenzialità pesante ed emblematica, un apporto famigliare disgregato e ricucito, infarcito da un lessico di un tempo antico, ma nel contempo fluttuante nell’etere e carico di quel verismo esistenziale che come pugno allo stomaco ammanta l’ascoltatore attraverso visioni e immagini di una campagna in dissolvenza. Padre Mio, Diversi e Opposti, Sei fratelli, 1979 sono solo alcuni dei momenti più alti di questa band in trasformazione. Sdoganamento dell’elettricità quindi per un polveroso guardarsi dentro cercando di rimettere tutto a posto attraverso le lande desolate di un folk blues che con occhi torvi ripensa al passato con vibrante sana rabbia accesa.

Kerouac – Ortiche (Granita Records)

album Ortiche - Kerouac

Poesie metropolitane che parlano da vicino e guardano negli occhi l’interlocutore raccontando di questa ed altre avventure urbane con lo sguardo di chi non ha nulla da perdere, ma che piuttosto fa esplodere in un sound moderno le impressioni da cameretta della post adolescenza. Ortiche è il disco d’esordio del giovane cantautore Giovanni Zampieri, in arte Kerouac, un primo album cesellato dai suoni elettronici, dal trap che impazza e dall’ hip-hop che mescola il soul in una fusione gradevole e ben distinta, dove forse le parole di vita riempiono di messaggi il nostro stare al mondo. Ortiche di fondo crea un senso di disagio, il titolo forse non è stato scelto a caso, il disco racconta di quel malessere tangibile all’interno di una città opprimente che consuma e non si interroga, ma piuttosto inesorabile continua la propria decrescita di pensiero, la propria decrescita morale in nome di un qualcosa che non c’è, ma che assomiglia molto alla nebbia padana che tutto nasconde e nulla fa vedere. Kerouac riesce nell’intento di dare voce a tutto questo male di vivere, l’evoluzione delle canzoni da acustiche ad elettroniche sono passi da giganti per soddisfazioni future rendendo questo piccolo concept moderno una rilettura in chiave analitica-contemporanea di questa nostra realtà.

Riccardo Gileno – The Curse EP (Autoproduzione)

Rialzarsi dalle cadute quotidiane, lottare contro l’indefinito e contro quella capacità dell’essere umano di creare ambientazioni non più adatte alla vita, ma piuttosto luoghi, zone, dove perdersi e lasciarsi affondare e dove lottare ancora sembra l’unica cosa necessaria per poter vivere nel nostro tempo. Riccardo Gileno dà alla luce un piccolo disco di quattro tracce, quattro canzoni fatte di chitarre acustiche e voce in primo piano, un cantautore sensibile al mutare della marea, allo stravolgimento del nostro essere, alle fasi lunari che ci interessano da vicino. Quattro pezzi in solitaria che aspirano a trovare la luce laddove la luce sembra disperdersi nei punti più bui della nostra coscienza, un EP che si snoda tra atmosfere alla Nick Drake, passando per le solitarie immagini sofferte di Damien Rice pur custodendo un animo intrappolato nella musica degli anni ’70 e nei cantautori più introspettivi che hanno fatto grande la storia della musica. The curse parla di maledizioni in musica, di tutto quello che conosciamo e che da un momento all’altro può trasformarsi travolgendo pensieri e illusioni perenni in stati di verità sospinta. Un cantautore dell’animo umano Riccardo Gileno, un musicista che attende con speranza illustrazioni di vita che saranno prima o poi le immagini perenni e fondanti di nuovi dischi, di nuove canzoni.

May Gray – Ritorno al sereno (Manitalab/Private Stanze)

Copertina di May Gray Ritorno al sereno

Maturità artistiche nei già conosciuti May Gray grazie ad un disco profondo nella superficie del pop sognante e in grado di attraversare il nostro stato umorale trasformando una grigia giornata in qualcosa di ammirevolmente accecante. Le canzoni di facile appeal a cui ci avevano abituati continuano in una solidità della proposta davvero interessante. Una proposta vista con gli occhi di chi tenta giorno dopo giorno di dare fantasia ad un mercato saturo di inventive, ma come in questo caso in grado di confezionare una musica che non ambisce a delimitare confini, ma piuttosto evapora sognante nei flutti dell’immediatezza da assaporare nell’attimo che trascorre giorno dopo giorno. Canzoni come Camilla, Testa in tasca, Tra di noi, Via Pennisi non passano di certo inosservate scardinando un rock alla Foo Fighters che incontra i nostrani Ministri e i FASK in suoni che si prolungano a dismisura in cavalcate elettriche davvero energiche e invitanti al pogo sfrenato. Ritorno al sereno è il bisogno di guardare verso una direzione, scegliere una continuità captando odori e profumi di un attimo da custodire e quando meno te lo aspetti con quello stesso attimo avere la possibilità di cogliere ogni percettibile sfumature dello scibile umano.

Antarte – Isole (Megaphone Label/Goodfellas)

album Isole - Antarte

Strumentale d’atmosfera che si inerpica su scogliere lambite dal mare e capaci di penetrare gli anfratti oscuri, gli anfratti della nostra coscienza in un vortice compresso di musica che dissolve le certezze e trascina le nostre ambizioni nei territori inesplorati della nostra anima attraverso un rock che ha il sapore del post e della musica d’oltremanica in connubi davvero potenti e sognanti, oniriche visioni di pace dei sensi e traguardi importanti e sublimi da raggiungere. Contorni quindi oscuri e cupi che si aprono in un disco davvero ben congegnato, strutturalmente mirato ai grandi concept del passato e imbrigliato all’interno di una luce salvifica e immortalata nell’istante, canzoni che sembrano dipinti materici pronti a stupire, Turner pittore che incontra l’eterea immaginazione della musica islandese e delle suite sonore dei primi ’70 congegnando ad arte stelle che brillano fino all’ultima nota. Isole è un concentrato di difficile spiegazione, è un viaggiare nei territori umani dove quello che costruiamo sarà bisognoso di apporti sempre nuovi per tessere le trame dei nostri cuori, trame collegate da vene, arterie, capillari pulsanti vita, trame riscoperte per l’occasione all’interno di un album davvero importante.