Fenriver – Delta (New Model Label)

Oltre l’heavy-psych che conosciamo i Fenriver al loro esordio intascano una prova davvero interessante che coniuga elementi di post hardcore con un qualcosa di più sotterraneo e tecnico, un heavy oscuro che abbraccia la passione per il prog e le sovrastrutture stratificate all’inverosimile tanto da far suonare il pezzo come una canzone dentro ad un’altra canzone senza fine. I quattro veneti si concedono ad attimi lisergici che scoppiano poi di esplosioni sonore distorte tanto gainizzate e compresse da far scervellare risalendo la corrente dei nostri incubi peggiori e raggranellando influenze su influenze, dai Black Sabbath ai Kyuss, passando per i Melvins e i contagiosi Led Zeppelin in un vortice di quattro canzoni, cantate in inglese e italiano che arroventano i ferri del mestiere e si concedono nel finale alla potenza sonora totale di In solitude, suite di otto minuti che comprime e dilata il tempo a proprio piacimento. Una prova d’esordio davvero importante questa che sottolinea non solo la forte capacità tecnica del gruppo, ma anche e soprattutto le doti di comunicazione della band che utilizzano un registro vintage avvolgente che incontrerà il piacere di molti puristi della prima ora.

Riverweed – Full Moon (New Model Label)

Nati sulle rive del Sile e pronti a sfociare nell’Adriatico e oltre i Riverweed, duo composito fatto di chitarra e batteria, amplifica le visioni lagunari ed estende la passione musicale con occhio di riguardo nei confronti del delta del Mississippi, blues concentrico, garage rock e amarezza bruciata dalla rabbia capace di creare vincoli da scardinare in un approccio immediato e distorto fatto di rimandi al passato e concretezza da vendere fin dal primo ascolto. Un Ep di sei pezzi, un album che ha il sapore del presagio e che si differenzia per una spontanea attitudine a ricreare suoni di superficie che ben disorientano su di un palco legnoso e ricoperto di luci da far vibrare fin dalle prime battute, da The mole fino a Flower dust, passando per inni come Barefoot blues o l’altra centrale Homo Sapiens. I Riverweed consegnano agli ascoltatori un mix di sudore ambivalente per palati esigenti, ma non solo, il gruppo trevigiano ci lascia il sapore di un qualcosa che sta esplodendo come sassi di granito gettati al suolo.

Pivirama – Senza Rete (New Model Label)

L'immagine può contenere: una o più persone, spazio all'aperto e sMS

Continua la ricerca stilistica di Raffaella Daino, cantautrice siciliana che con il nuovo disco Senza Rete si tuffa negli abissi della discografia contemporanea dando alla luce una prova originale e intrisa di cruda realtà. Un album di pop rock cantautorale sospeso tra progetti che accarezzano la realtà circostante e fanno presa grazie ad una voce delicata e sospirante, fluttuando tra leggere derive elettroniche e suoni d’atmosfera che fanno capolino guardando lontano e cercando di raccontare ciò che accade con occhi critici e nel contempo con occhi da eterna sognatrice in un gioco di luci e ombre che si attestano a chiarificare territori ambiziosi e talvolta incontrollati. Canzoni in apertura come Sassi di vetro e Nuvole giocano con le dicotomie e i colori per poi assemblarsi in quotidianità sospesa in pezzi come Jungle, frontiere chiuse e Arida per arrivare alla Title track ricca di fascino che ci conduce via via verso composizioni personali come Asimmetrie e Alter Ego in un bisogno di comunicare la propria appartenenza ad un mondo in subbuglio dove la lotta sembra essere rimasta l’unica e sostanziale via di fuga. Senza Rete è un disco completo sotto molti punti di vista e conferma la capacità di Raffaella di narrare vicende che ci toccano inevitabilmente da vicino giorno dopo giorno.

Forestale Val d’Aupa – Dorsale (Ribéss Records)

Folletto dei boschi reali che imprime sugli alberi le voci di questi giorni, farciti e conditi da testi che ripercorrono poesie ermetiche e registrate in baite montagnose che danno al tutto un senso di contorno davvero speciale per una bassa fedeltà d’intenti voluta in grado di sottolineare con grande capacità la noncuranza per le mode e la totale estraneità ai mezzi di comunicazione di massa, social ovviamente compresi. Bruno Clocchiatti è uno spirito libero, di giorno distribuisce bibite, di sera registra lo-fi le proprie condizioni umane. Il disco in questione è ripreso grazie ad un microfono di un tablet e il risultato che ne esce è un insieme di canzoni davvero ispirate in bilico tra la canzone d’autore e un vinile di un tempo passato che suona ancora e proietta sui propri solchi il gusto per una poesia attuale e vetrata quanto basta da disegnare profondamente le intelaiature delle finestre per i paesaggi che ammireremo da qui al domani.

TIR – CLIMA (Ribéss Records)

Evoluzione sonora di quello che era il gAs, gabinetto di Alchimia sonora, costola di improvvisazione che aveva come punto d’incontro la sede della Ribéss Records, un disco composito fatto di astrazioni questo CLIMA, un processo continuo di fare e dismettere, maneggiando con cura l’intero spazio che abbiamo a disposizione e ricoprendo di apposite e dovute precauzioni quel senso di ambiente sonoro elegante e pieno di sfumature, capace di inabissarsi e poi condurci verso lidi lontani, mirabili come gli orizzonti che solo al tatto possiamo immaginare. Moltitudini di generi che si affacciamo alle nostre orecchie sono solo accenno alle strutture che possiamo percepire in questa produzione, nulla è dato per scontato e tutto sembra aprirsi ad un mondo in dissoluzione per dare vita ad una colonna sonora del nostro tempo che è si fuga dalla realtà, ma anche e soprattutto amore per il tangibile, quello stesso amore che segna le nostre esigenze e ci conduce nel vortice infinitesimale di pezzi come Kobane, Eternebra, Munduruku. Dalle astrazioni concettuali dei Casa di Filippo Bordignon passando per l’evoluzione di un post rock elettronico TIR è la candela che ci fa osservare da vicino la profondità degli oceani, della terra e dei cieli che abitiamo.

Crowdfunding per sostenere il progetto:

https://www.musicraiser.com/it/projects/8108

Pieralberto Valli – ATLAS (Ribéss Records)

Il punto di forza di questo disco è la capacità di raccontare il nostro tempo con delicatezza e leggera distorsione della realtà in un quadro tanto criptico quanto comprensibile tra il bisogno nell’attingere linfa essenziale e quell’arte per l’arte fatta di prodezze sempre più necessarie al giorno d’oggi. Pieralberto Valli, già leader dei Santo Barbaro, gruppo conosciuto per prove alquanto sublimi e importanti nel panorama della musica indipendente italiana dà vita ad un concept che ricopre spazi di interezza risultando per complessità narrativa fuori dal tempo, fuori da ogni vincolo precostituito e ricco di phatos atmosferico che coniuga alla perfezione il pop-piano di un ritorno malinconico e l’elettronica in sovrapposizioni non preponderanti, ma piuttosto ritmiche che compensano un’anima capace di esprimere in dieci pezzi un condensato di introspezioni inizio secolo. Per parallelismo mi viene da pensare all’ultimo disco di Paolo Cattaneo poi mi fermo un attimo e mi convinco che questa musica è un organismo a sé, capace di vivere di vita propria, basti pensare a pezzi come l’apertura Atlantide, Frontiera che cita Luca Barachetti e i suoi passati Bancale, passando per il Rumore del tempo, Esodo e nel finale Non siamo soli per comprenderne la cura sonora e gli spazi interposti da qui al futuro in una grandezza tangibile e in evoluzione. I social abbondano di schifezze e di diatribe continue, dai TheGiornalisti passando per Motta, nessuno escluso, mercificazione e sponsorizzazioni in abbondanza, discussioni sulle ultime inutilità di questo tempo, poi così dal nulla ti arrivano dischi come questo, in copie numerate e dal packaging così prezioso e ti riscopri in qualche modo lontano, diverso, più maturo, con la sicurezza che quello che stai coltivando, abbandonando tutto il resto, è solo necessario.