La polvere – Punto (Autoproduzione/Toscana 100 band)

Virata emozionale per il nuovo progetto di Andrea Carboni e Francesco De Giorgio denominato La Polvere, un’evoluzione sonora che abbraccia la dancehall senza dare nulla per scontato anzi, inerpicandosi in territori nuovi e vibranti attese che coniugano la modernità con testi affilati, capaci, con gusto, di entrare a pieno titolo in un vortice emozionale che abbraccia La Crus e Tiromancino, Air ai Royksopp in sodalizi carichi di espressività e ispirazione. La polvere è un progetto importante, di quei progetti fatti con cura e ammirazione per la musica che ci gira intorno, un progetto di sostanza ricco di rimandi nei confronti della scena attuale, ma non copiata, anzi implementata, dando la possibilità a questo esordio di allungare le nostre visioni d’insieme per un disco affascinante e pieno di aspettative. Canzoni simbolo come la traccia d’apertura Lasciami stare o Il posto all’ermitage fanno da apripista sonoro alle sperimentazioni in accelerazione di Urlare forte per un prova composita che fa ben sperare, una prova d’esordio di quelle che non si sentivano da molto tempo nel nostro ricco panorama, un disco che si fa riascoltare facilmente merito di poesie accompagnate da una musica in stato di grazia.

Fago – Allotropo (Autoproduzione)

Incanalare lo spazio negli abissi della nostra anima, contorcendo suoni e parole d’espressione, potenza assoluta contro il nulla in un viaggio nel buio più totale e incatenante, un viaggio in perenne stato di allucinazione dove lo screamo incrocia il metal e la pesantezza luccicante che ci porta a vedere una nuova luce oltre l’oscurità, oltre il tutto, oltre il vuoto. Quella dei vicentini Fago è una prova piena di atmosfere e di sensazioni legate alla sostanza che si trasforma dentro di noi, senza lasciarci respirare, contando i passi fino alla prossima boccata d’aria e intingendo convinzioni in qualcosa che forse mai più accadrà. La band di Vicenza estrapola dal cilindro un disco composito e non lineare fatto di sogni infranti e frammenti di terra che esplodono al suolo senza un domani, come se tutto quello che eravamo sicuri di avere, da un momento all’altro ci fosse stato portato via, per sempre.

Maurizio Pirovano – Il tempo perduto (Latlantide)

 

Non è sempre facile parlare dei nostri tempi e di tutto ciò che ci circonda senza scadere nella banalità, il nostro raccontare deve essere una ricerca continua, un ozio da abbattere, un’esigenza quasi mistica di entrare in comunione con l’ascoltatore per veicolare e trasportare un messaggio, portare al fianco parole che non moriranno con il passare dell’oggi. Maurizio Pirovano conosce bene gli effetti di questa società malata e senza peli sulla lingua riesce a comunicare un bisogno di espressività che al quinto disco apre prepotentemente al desiderio di scuotere qualcosa che ci portiamo dentro, quel bisogno in grado di farci comprendere che la vita è unica e che il contorno che pensiamo possa essere rivoluzionario alla fine è solo lo specchio della nostra inettitudine. Sono undici tracce rock quelle presenti nel disco, undici canzoni che si ispirano a suoni internazionali e di ampio respiro capaci di veicolare sensazioni e giusto tiro già con la traccia d’apertura Piangeresti per me, passando per la bellissima title track e per i racconti di vita di Genova e Sedici Anni fino al finale esplosivo e lisergico di Stato di allucinazione apparente. Un disco eclettico che alza l’asticella per Maurizio Pirovano, un album che coniuga in modo efficace canzone radiofonica e quel qualcosa in più da ricercare oltre la linearità del non sense moderno.

Marco Kron – Sfere (Autoproduzione)

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Cantautore eclettico di stampo elettronico capace di protendere la realtà verso spazi infiniti e incanalare un’energia di fondo che si disperde e si contorce in sodalizi essenziali e necessari con la canzone d’autore incastonata in contesti asettici, ma pieni di sfumature, capaci di compenetrare la sostanziale ricerca del nuovo e le basi di fondo per una produzione geniale e mai banale. Marco Kron, cantautore e matematico milanese dà alla luce il suo primo album, Sfere, disco composito e mai lineare che si perde e poi si ritrova tra la luce e l’oscurità, tra ciò che è stato e ciò che deve ancora avvenire, partendo da basi di composizione digitale e portandoci delicatamente in un mondo trasformato dove qualcosa attorno a noi è più forte e sfida la morte. Sfere è un disco elegante e conturbante che parla della nostra società, che parla della nostra esistenza e lo fa senza scadere nel banale, ma piuttosto cercando una propria via d’azione che in pezzi come la stessa title track iniziale o la finale Agrodolce ci fa comprendere un punto di vista esigente capace di coniugare ed assemblare gusto, tecnica e sostanza; una prova quantomai figlia dei nostri tempi, una prova intima e simultanea alla realtà.

Figé de mar – Come un Navigante (Autoproduzione)

Omaggio nei confronti del luogo natio, omaggio a terre di mare e di conquista dove la barca della vita si inerpica lungo anfratti sconosciuti e pieni di di ricerca, pieni di attimi nel buio da dove poter concretamente sperare in una rinascita, in un cambiamento, in una costante illusione di bellezza che si affaccia prepotentemente e nello stesso tempo declina l’invito e scompare come illusione. I Figé de mar confezionano una prova assai interessante, niente di nuovo certo, ma nel loro suono colpisce la profondità nei testi per una così giovane band e soprattutto il desiderio di intraprendere il sentiero della vita attraversando una direzione concreta, cercando punti d’appoggio e velati rimandi al passato. In bilico tra canzone d’autore e pop radiofonico i nostri consegnano un EP leggero e nel contempo introspettivo già dalla prima e interrogativa Questa pelle passando per il singolo Boulevard fino all’interessante finale in La città coniugando suoni e ricerca, coniugando la passione per un tempo che non c’è più con un piglio di modernità, dagli anni ’70 ad oggi nella miglior tradizione della musica leggera italiana in evoluzione.