Sara Piolanti – Farfalle e Falene (Autoproduzione)

Sara è una creatura notturna che si nutre di stelle e di sogni ad occhi semi chiusi, un piccolo essere delizioso che si posa di fiore in fiore per carpirne i segreti e le profondità, ingigantendo gli occhi e respirando a pieni polmoni l’aria rarefatta di un mondo nuovo, decostruito, un camminare leggero sopra ai campi metropolitani, lasciati incustoditi e abbandonati a riprova del fatto che qualcosa qui intorno non funziona e che quel qualcosa deve essere rimodellato e ricostruito, partendo dal passato, partendo da ciò che eravamo.

Sara, già cantante dei Caravane de ville e dei New Cherry, ora in veste solista ritorna a rimarcare la propria bravura in un’intimità serale da tapparelle abbassate, dove il clamore è lasciato ben fuori e dove ogni canzone è anche uno scavare dentro all’animo di chi non riesce a sentire, un processo in fase mutevole, in continuo cambiamento: Muore di me è apertura elegante passando per la meraviglia della title track e giù a rincorrere i pensieri in Io ero fino all’ultima e pregevole perla di un Endrigo d’annata, rivisitato per l’occasione nel pezzo Canzone per te; un disco che accoglie il profumo del cambiamento, in punta di piedi, circoscritto e dimesso, un’involuzione che sa di evoluzione, tipica caratteristica di chi ha tanta classe da vendere e Sara, di certo, possiede tutte le carte in regola per trovare, in una dimensione più contenuta, la propria via di fuga.

Stella Burns and The Lonesome Rabbits – Jukebox songs (Love&Thunder)

Immaginate che proprio nel bar sotto casa vostra ci sia ancora quell’armamentario pesantissimo chiamato jukebox, coperto magari dalla polvere degli anni, laggiù nell’angolo più nascosto dove la luce filtra sempre meno e dove le carezze del silenzio si affacciano al clamore dei passanti e delle macchine sulla strada, ecco immaginatevi che proprio dentro a quel juke box ci siano le rivisitazioni eccellenti di Stella Burns e dei suoi The Lonesome Rabbits, un concentrato di poesie sotterrane che mescolano sapientemente i The Handsome Family, Piero Ciampi, Calexico, i Radiohead, per citarne alcuni; pezzi polverosi per cuori infranti e introspezioni nascoste che si accavallano sul far della sera in un disegno equatoriale che si prepara al gelo impellente dell’inverno, una voce poi che scalda la nostra tazza da tè raffreddata, lì accovacciata timida su quel tavolino da cui ascoltare l’ intimità che si apre e ci porta via silenziosa, quasi fosse un respiro a cui non possiamo rinunciare, un nuovo volto acustico per un omaggio che sa di vita vissuta, una moneta spesa bene all’interno di quello scatolone di metallo che racchiude tutti i nostri sogni di gioventù.

Mike Spine – Forage&Glean (Global Seepej Records)

Listener

Album di consacrazione che incrocia il miglior folk passato e presente con un parte più oscura e cupa per il nuovo doppio volume di Mike Spine a raccogliere la testimonianza di tutto ciò che è stato dopo dieci album e più di venti anni di carriera in giro per il mondo ad aprire concerti di Mike Watt, Los Lobos, Stef Burns solo per citarne alcuni tra un mare di nomi in una biografia sterminata.

Le canzoni sono racconti di vita, sono le grida di una classe operaia tra i mattoni in costruzione dei quartieri industriali, sono i suoni che inglobano un paesaggio metropolitano e periferico, nella solitudine di un folk raccontato per immagini tra ingiustizie di ogni sorta e il desiderio di riscatto, il desiderio di difendere gli ultimi e i più deboli, senza chiedere nulla in cambio, ma piuttosto rinvigorendo una pura esigenza che si scontra con le necessità della vita di ogni giorno.

Due capitoli che virano quindi dal cantautorato più solitario, al contorcersi al suolo in un rock più oscuro che ricorda Jimmy Gnecco e i suoi Ours, parallelismi non scontati, per vicende in divenire pronte ad entrare nel cuore di chi ascolta; un ottimo modo per celebrare le avversità della vita, un ottimo modo per chiamare in causa grandi pezzi che per l’occasione sono stati raccolti in un unico, grande disco.

Abbracci Nucleari – Abbracci Nucleari (Autoproduzione)

Perdersi tra le braccia contaminate del futuro e scoprire che siamo cambiati, diversi, coscienziosamente lontani, ma fisicamente vicini, una carne che si strappa dolcemente per prendere un posto nell’immateriale vero, puro, per un suono leggero, calmo, introspettivo, un racconto che si fa narrazione per immagini, la volta celeste che si fa scenario al divenire e in fondo una strada da seguire.

Gli abbracci nucleari confezionano un EP stratificato e notturno, ricco di incursioni soul mescolate al cantautorato e all’elettronica, quella musica fatta per il cuore e con il cuore, che non riesce a stancare, ma che si immola in mescolanze dubstep e portatrici di ritmi corposi, seppur minimali, per quattro canzoni che sono un piccolo mondo da assaggiare, da scoprire.

Cinque pezzi soltanto, ma che pezzi, troviamo in apertura la bellissima Prenditi Cura di me ad aprire paesaggi decostruiti, passando per Neanche questo basta e le solitudini di Il giardino delle emozioni, per completare il cammino con l’importante Brucerei  e il finale di luce lasciato a Notte pluristellare, per un disco che porta con sé il sapore di ogni soddisfazione futura.