Burn the ocean – Come Clean (SlipTrick Records)

Granitici e portentosi a districare la scena grunge rock per darle nuova importanza e nuovi spunti sonori, appigli rigeneranti che consentono all’ascoltatore di entrare dentro ad un vortice di emozioni distorte, un tunnel, un oblio da cui difficile riusciremo ad uscire, per un suono che, nonostante gli anni andati, risulta alquanto attuale, tra incrociatori sonori e una semplicità di esecuzione, nonché una scioltezza nella pronuncia che grida al mondo una rabbia nascosta, canzone dopo canzone convince e come moto perpetuo intasca energia da regalare partendo con la notevole Days in November per arrivare a quella strumentale Gone away che vuole essere, vuole dare un senso maggiore alla partenza, in un crescendo sonoro, lungo tutto il disco, che strizza l’occhio a produzioni ben più blasonate.

Una band che si affaccia sul mare, loro vengono da Genova, sono i Burn the ocean, hanno appreso la lezione del tempo e con sostanza ce la spiegano in questo Come Clean, dal sapore di polvere e jeans strappati a segnare una nuova era.

Babbutzi Orkestar – Tzuper (Parruski & Makkeroni Production)

Strampalati portatori di un suono balcanico con testi non sense e disimpegnati che danno colore e calore ad una vita grigia, intersecando i sogni con l’esigenza di vivere in una spensieratezza contagiosa, ricca di approcci e riferimenti nel partorire una creatura che risiede fuori dai confini nazionali, senza dimore, senza desiderio di dimora e portatrice di quella velata ironia, come succede nel pezzo Caramella, che provoca nell’ascoltatore un senso di leggerezza a dispetto della formosa cover del disco.

Ascoltare la Babbutzi Orkestar è come assistere ad una rissa di ubriachi in un bar dove vedi le sedie volare e dove ti viene spontaneo sorridere a così tanta follia umana, anche se qui il tutto è incasellato in una ricerca notevole del suono tra rimandi a Emir Kusturica e Fanfara Tirana per pezzi caldi e irrefrenabilmente portentosi.

Un disco da ascoltare lungo l’estate che verrà, tra balli attorno al fuoco e matrimoni di un’altra terra, divisa solo da un pezzo di mare, che a dirla tutta non è poi così grande e così lontano.

Sara Velardo – 3 (Adesiva Discografica)

Sara Velardo si concede con grande stile in questo nuovo disco dalle sonorità prettamente indie rock legate ad una musica più intima, che abbraccia un’idea di internazionalità che si affaccia oltre le tempeste e oltre l’atlantico già conosciuto, non dimenticando gli insegnamenti della prova d’autore Polvere e Gas e intascando una manciata di brani che sono il compimento di un percorso evolutivo di pura sostanza, che in questo caso prende forma grazie ad arrangiamenti vividi e d’impatto, arrangiamenti che abbracciano i loop e la puntuale presenza dell’acustica a tessere trame e implementare la scena.

Sara non dimentica la componente sociale del tutto e per i testi si ispira alla quotidianità che le gira intorno, con un battito d’ali vola come un uccello sopra la città per carpirne i difetti, le ossessioni, le manie, il manierismo abbandonato per entrare in punta di piedi lungo i confini di un qualcosa di immateriale; la nostra con disinvoltura ritagli pezzi delle nostre vite per poi ricucirle in un nuovo vestito e forse sta proprio qui la peculiarità della cantante calabrese, il riuscire nell’intento di abbinare una gran bella voce e bei testi ad un significato mai scontato, ricercato, Sara mi fa pensare ad una musicista a tutto tondo, capace di prodezze sempre nuove e che non smette di stupire ad ogni nuova uscita.

Senhal – Parapendio (Dischi Mancini)

Disco di pop raffinato e contorto, calibrato a dovere ed esigente nei confronti di una scena ormai piatta, un album che è una ventata di vera freschezza tra le produzioni odierne intascando l’esigenza di raccontare e raccontarsi grazie a poesie che si fanno quotidianità sospinta verso l’alto e pronta a planare toccando prati, fiori e la vita stessa, il mondo visto dall’alto e noi consapevoli spettatori siamo li per raccontarlo, per farlo nostro, per ricreare dentro di noi l’esigenza di ritornare come eravamo, dinamici e all’interno di un tutto che ci vede molte volte i veri protagonisti della nostra vita.

Paesaggi crepuscolari che disegnano l’ampiezza e noi cullati dall’aria che ci accompagna pian piano nell’entroterra di canzoni come la title track o Panoramica a riaffermare un concetto che si esprime notevolmente soprattutto nel finale con Fiori e Bianco, per un disco che vede crescere notevolmente una band in continuo divenire e una copertina leggera e significativa come lo è la disegnatrice veneta Marina Marcolin: un tuffo nel vuoto tra i sogni del domani che deve arrivare.

The Please – Here (Maciste Dischi)

Dispersi nel deserto psichedelico dei sogni dove i The Please vogliono portarci con la loro nuova prova, ci imbattiamo inesorabilmente in costruzioni non lineari,  attraversando spunti di riflessione per poter comprendere l’origine di questa musica senza tempo e priva di confini che attinge l’idea stessa del rock e del folk in un luogo remoto e inaccessibile, penetrante e al contempo lisergico, quasi acido che si immola e concede ricordi targati ’70 e una voglia di sperimentare alla Justin Vernon su tutti, in un cantautorato luccicante e brillante.

Una fotografia che mantiene ancora i colori di quello che è stato, a ribadire le proprie origini, tra Jefferson Airplane e toccate del White Album per un disco che tutto possiede tranne che un’italianità scopiazzata, questa è una prova con l’anima di quelle sentite e rilasciate a chi verrà, in un sostanziale avvicinamento al passato che tanto ha reso importanti le prove dei gruppi moderni che ancora calcano la scena, che ancora vogliono parlare di sé.

I nostri ci regalano una prova di respiro internazionale, intensa, dove la parola QUI non significa tempo, ma significa casa, un qualcosa che va oltre le concezioni per una musica che non ha età, ma che ha trovato la propria dimensione nel condividere; poi dentro c’è tutto il resto: i rapporti che si aprono e si chiudono e la vita che prende il colore che le vogliamo dare.