Novadeaf- Carnaval (DreaminGorillaRecords)

Strumentisti mutevoli e cangianti che si inoltrano in boschi di betulle inospitali per aprire l’oscurità alla passione, incanalando energia e scoprendosi capaci di sprigionare un pensiero riconducibile a diversi strati e teorie musicali, mai ben definiti, ma che abbracciano in modo elegante e anche direi con un tocco di finezza il pop, l’elettronica e l’indie folk d’oltreoceano, tornato alla ribalta con artisti del calibro di Bon Iver senza dimenticare Micah P Hinson e Bonnie Prince Billy fra gli altri.

Un disco che ruota attorno al polistrumentista e mente della band Federico Russo che per l’occasione si dimena tra basso, chitarra, voce, tastiere ed elettronica in un connubio con gli altri membri: Matteo Quiriconi alla chitarra e Matteo Amoroso alla batteria, andando oltre la concezione di power trio e riempiendo di sovrastrutture le sonorità che di volta in volta sono lo specchio dei nostri giorni, sono l’immagine di chi crede nell’evoluzione e nella maturazione data dal tempo e da tutte le forme sonore che verranno.

Con questo album i ritmi sono colorati, cangianti; si abbandonano le buone idee del primo Humoresque, anche se più cupe e misteriose, per lasciare spazio a strade in continuo divenire, dove le ombre del passato sono solo un ricordo che per ora, se non per alcuni passaggi malinconici, è giusto riporre nello scrigno della nostra memoria.

Otto canzoni in bilico tra Radiohead e Nick Drake con un occhio di riguardo alle uscite discografiche d’oltreoceano più recenti, un disco dal sapore moderno che crea una continuità di pensiero e si fa armonia cangiante per i giorni che verranno.

Tales of Unexpected – Sciame di Vanesse (Autoproduzione)

Inclassificabili se non per la capacità di creare una musica priva di confini e priva di qualsivoglia forma di incasellamento, quasi un quadro post moderno che innesta al proprio interno sfumature variabili che ambiscono a manipolare i suoni e a renderli partecipi di un fine più grande, di un partecipare alla trasformazione dell’animale solitario, le vanesse che incantano per colori, ma allo stesso tempo sono anche il sunto di un arcobaleno naturale, mai ingabbiato, ma animale libero di volare.

Il giorno come spunto di riflessione e punto da cui partire, dieci canzoni divise in cinque capitoli, partendo dal mattino fino a conglobare la notte in testi di pensieri delicati e vissuti, nostalgica appartenenza ad un mondo in divenire che si fa fine e principio del tutto in un cerchio concentrico sfumato meravigliosamente.

Canzoni rock che sfiorano il post passando per il grunge, il pop, condite da buon gusto per un concept ragionato, una musica inaspettata e prolifica, una sostanziale ricerca estetica ricca di citazionismo non solo sonoro, ma anche letterario, un gruppo che non si ferma alle apparenze, ma ricerca la propria identità, anche un poco nelle identità degli altri, un vedere con altri occhi quello che in parte ci rende ciechi.

Malarditi – Un po’ più in là (D Cave Records)

Non vogliono effetti, non vogliono manipolazioni sonore eccessive, non ricercano il suono fantasmagorico che lascia di stucco, a loro interessa arrivare al nocciolo della questione, all’essenzialità pura e semplice contestualizzata in un folk pop velato dal country che rapisce già dalla partenza di A casa mia, canzone introspettiva di velata malinconia, passando via via dall’apertura non solo visiva di Un po’ più in là e dall’inquietudine di Eroi, persone senza scrupoli che caratterizzano la nostra vita giorno dopo giorno; si scorre poi con facilità verso La ballata del tempo perso e quella Quasi ridicolo che racconta le sorti di una notte dove il pensiero senza senso vince su tutto.

Via via che il disco scorre, arriva la delicatezza testuale di Dimmi se mi vedi ancora qui, passando per la bellezza di Lunedì, il giorno dell’inizio, il giorno dei pensieri più profondi e poi via ancora con Tutto va bene così, Mia e Televisione a sancire una encomiabile e allo stesso tempo elegante presa di posizione.

Ah non li avevo presentati, loro sono i Malarditi, gruppo capace di confessarsi e di mettere a nudo la propria anima, un disco suonato quasi del tutto dal vivo, come sulla strada, quella strada che hanno imparato a conoscere, quella strada che è sacrificio e impegno, senza meta alcuna, ma con spirito totalmente libero da vincoli che li fa sentire più vivi.

Alessandro Orlando Graziano – Onironautica (Paradigma Music)

Quello di Alessandro Orlando Graziano è un disco che denota la propria capacità stilistica fin da subito perché riesce a condire un raffinato raro caso di cantautorato con un’elettronica studiata fin nei minimi particolari, un’occasione per distinguersi e cercare nuove vie d’uscita per un cantastorie che conosce alla perfezione la poesia e sa incastrare testi e musica, morte e vita in un sodalizio enigmatico quanto puro.

Alessandro non ha bisogno di molte presentazioni: nel 2003 riceve il premio De André nella sua prima edizione, nel 2007 è ideatore e produttore di Aeroplani ed angeli, ultimo disco di Carla Boni e nel 2014 è coinvolto da Antonella Ruggiero al Festival di Sanremo per la collaborazione artistica del pezzo “Da lontano”.

Riferimenti quindi precisi che fanno del cantautore un punto nevralgico di idee e sostanza, sostanza raccontata in questa ultima fatica Onironautica.

Il titolo del disco è l’esperienza onirica vissuta, il sogno lucido che si fa ricordare, l’essere vivi sognando, un mondo parallelo e talvolta inconfessabile che ci cattura e permette alle nostre idee di fondersi con un qualcosa di più importante e più reale.

Nell’album ci sono richiami all’Oriente, all’amore lontano, passando per Albero Sordi e al nostalgico ‘900; strumenti classici che si conturbano all’elettronica, generando una new wave molto personale e contaminata per finire con la sorpresa di Tripoli, coautore di Giuni Russo, che collabora alla stesura di Giardino d’inverno.

Un disco pieno nel vero senso del termine, un disco che sa emozionare fin dal primo ascolto e segna la continua strada e la continua ricerca di una persona prima di tutto che ha fatto della propria arte un vero stile di vita, tralasciando il superfluo e regalando pagine per i ricordi futuri.

Yes Daddy Yes – Go Bananas (Autoproduzione)

Se ne fregano di tutto e di tutti, arrivano elettrizzati al gran finale e con disinvoltura da navigati confezionano una prova di puro rock n roll capace di penetrare, creando quella sintonia con l’ascoltatore sempre viva e sempre capace di scatenare emozioni corali che si perpetuano lungo tutto il disco.

Sono melodie semplici, lo ammettono loro stessi, ma forse è nella semplicità che i grandi del passato hanno coniato il loro marchio di fabbrica, il tutto deve essere orecchiabile quanto basta per delimitare un confine tra ciò che potrebbe essere spazzatura radiofonica e ciò che invece diventa ricerca continua.

I nostri Yes Daddy Yes sicuramente si affacciano a quest’ultima idea unendo distorsioni e amore per gli anni ’90, reinterpretando però il tutto e esprimendo quella sana sfacciataggine proponendo un rock che sicuramente per sonorità si affaccia all’oceano più che al mar Mediterraneo.

Una musica che non si pone troppe domande, una musica che va oltre l’idea di stile preconfezionato, un mondo ridipinto e ridisegnato per l’occasione, dal singolone Noah passando per Modernize e Imagine, finendo con Inner Freak, un suono che non ha confini, tra l’amore per il passato e l’idea dominante di uno stile per il futuro che verrà.

Voina Hen – Noi non siamo infinito (Maciste Dischi)

La realtà sbattuta in faccia, la realtà che squarcia le giovani generazioni e le protende ad un ineluttabile destino, in cerca di appigli dove potersi aggrappare, dove poter sperare, in contesti fuori da ogni schema di logica comune e altrettanto disadattamento per i pensieri, quelle molecole che fanno funzionare le nostre vite e ci rendono forse ancora più liberi.

I giovani Voina Hen sanno che cosa vogliono e sono alla costante ricerca di tutto questo, ci raccontano di un’Italia che non funziona e parlano delle aspirazioni dei ragazzi di oggi, lo fanno con rabbia, rabbia contro il sistema, una rabbia però costruttiva che si confessa e ci rende partecipi dello sfacelo, partire da quell’idea di fondo che noi non siamo nulla, noi non siamo infinito, noi non siamo quello che gli altri vorrebbero che fossimo, siamo tutti diversi e soprattutto non vogliamo una vita fatta di cliché e di banalità che ci sommergono.

Ecco allora che dal punto di vista musicale i nostri incrociano i Ministri passando per i FASK e condividendo quella protesta vissuta in piazza che deve essere il segno del cambiamento, non un semplice lanciare messaggi, ma una vera e propria presa di posizione verso una cieca sovranità nazionale.

Prodotti dalle menti contorte, ma efficaci, di Manuele Fusaroli e Marco di Nardo i Voina Hen confezionano undici pezzi di puro indie rock nostrano, partendo dall’elettrizzante tempesta e concludendo il tutto con la fine/inizio del tutto Il funerale; undici brani di grande spessore che parlano di fallimento e di rinascita, di scoperta e di amore per quel qualcosa che si chiama vita.