Lush Rimbaud – L/R (Bloody Sound Fucktory & fromSCRATCH Records)

Lush Rimbaud è il suono della poesia elettronica, quel salire sul palco e immaginarlo ricoperto di luci crepuscolari che ci sommergono e ci indicano la via da seguire, un paesaggio buio e qualche fascio perpendicolare alla nostra testa che ci porta verso il cielo, verso l’ignoto; evocazione sonora di un tempo criptico e introspettivo, dal sapore martellante della new wave e dalla sincope continua che caratterizza produzioni più moderne.

I marchigiani si rinnovano e si concentrano sulla formula less is more, partendo dalle cose semplici, quasi togliendo l’inutile e dilatando i tempi verso concetti che si fanno via via sempre più ampi e divulgativi: Massive Attack che incontrano i Portishead lanciando sguardi glaciali verso la poesia islandese anche se a fare da tema portante del tutto è l’oscurità con i propri sogni e i propri incubi.

Incubazione quindi perfetta, gestazione e cambio in divenire di stile e sostanza che parte con Marmite per raggiungere alte vette sonore con il finale Dark Side Call in un perpetuo atollo solitario che si domanda e racconta nei testi ciò che si vede nell’aldilà, dopo la fase rem, un dipinto di De Chirico che si muove tra chiaro scuri esistenziali e concentrici.

Ecco allora che il vuoto viene riempito dalla spazio circostante e l’atterraggio versò ciò che non conosciamo sta per avvenire, le mutazioni sono dietro l’angolo e ciò che ci aspetta oltre il sonno si racconta e si fa raccontare quasi rendendoci partecipi di questa meraviglia a occhi aperti.

St.Ill – The Kingdom is coming (Factum Est Records)

Image of St.Ill "The Kingdom is coming"

St.Ill come in una fiaba il regno sta per arrivare, quelle favole del passato riportate nel presente e per l’occasione rese più acide e incomprensibili, richiamando stagioni e uccidendo ansie che opprimono, ritrovarsi tra le molecole d’aria e creare connubi e sodalizi che non sempre riescono tra le band, ma si concedono e traggono profonda capacità di improvvisare e soprattutto sperimentare.

Continua la produzione da parte della Factum Est, parte essenziale della Jestrai Records, di dischi molto underground, quelli che piacciono a noi che si appropriano di un pensiero e lo esprimono attraverso molteplici significati, che radiosi come aurora luccicante si scambiano impressioni prima lasciate al caso ora lasciate quasi all’improvvisazioni se non altro per l’uso di strumenti inusuali e conditi da voci in delay furioso e impastato amalgamando la scena dietro a tende coprenti.

Il regno sta per arrivare, noi siamo il regno ci dicono gli St.Ill, ci fanno contorcere con dissonanza e ci portano in un mondo tutto da scoprire, lisergico, che ingloba la psichedelia anni ’70 e approda ai giorni nostri toccando Sycamore age, comprimendosi fino all’incendio finale di _54.

Un disco che a volte suscita stupore, deformando lo specchio della vita e consegnandoci ballate degne del Bianco dei Beatles, un album che riesce ad ogni ascolto a pervadere l’aria di nuove forme sonore, costruendo strutture anacronistiche ed estemporanee, fruibili e coscienziose.

 

Daniele Leoni – Piccoli segreti (Autoproduzione)

Aprire lo scrigno dei segreti, lo scrigno dell’infanzia, quella parte di bambino che è dentro ad ognuno di noi e si concentra, si fa viva, raccoglie l’eredità di pianisti come Einaudi e si pone a metà strada tra il conterraneo Andrea Carri e il campano Bruno Bavota, sia per scelte stilistiche, sia per approccio minimal pianistico, dolce e rarefatto a ricreare onde in divenire, in costante abbraccio con il nostro essere, con il nostro stare, esigenza quindi di comunicare e far riemergere un insieme di ricordi, passioni e vita dentro ad ognuno di noi, cogliendo l’attimo, soppesando le note, facendo chiarezza interna.

Velata malinconia il marchio di fabbrica di Daniele Leoni, una malinconia buona a ricoprire pensieri, a fare da sfondo alla purezza del cuore, un morbido abbraccio adolescenziale che racchiude titoli alquanto significativi per una poetica che per una volta non colpisce con le parole, ma corona l’insieme di note: Portami via con te, Il primo bacio, Nel profondo dei tuoi occhi, istantanee di vita vissuta e poi giù giù a scorrere l’Infinito.

Potrebbe essere la colonna sonora per un film Piccoli segreti, invece fa parte di quei dischi che sono colonna sonora della nostra vita, quelli che attacchi al mattino in auto o quando torni a casa la sera e ti fanno allontanare per un momento dal grigiore, ti fanno ricordare l’infanzia e quel bimbo ancora vivo dentro ad ognuno di noi.

Le urla tra gli alberi – S/t (Autoproduzione)

Canzoni nella nebbia, sfocate e lasciate inumidire pian piano fino a comprimersi, esigenza sonora che parte dal passato, che si fa generazione, che raccoglie gli stimoli degli anni ’90 soprattutto nel campo italiano con i Kuntz su tutti per sancire una raccolta di profondità attesa, sperata e vissuta, ammaliando per dissonanze arricchite e chitarre da tappetto Gishiano di fine ’80 per tre canzoni che parlano di attimi e sensazioni parallele in costante mutamento e ricerca spasmodica di sostanza da rendere viva.

Le urla tra gli alberi si confessano Iride, Danni sul precipizio e Coma ricordano qualcosa dei primi Verdena, in fatto di suoni accumulano lo sporco tra le corde della chitarra e abrasivi come non mai si lacerano in una contemplazione cosmica che cede il passo al futuro che verrà, ricco di soddisfazioni certo, grandi rimonte e stimoli sempre nuovi; l’essere sulla buona strada alla volte non vuol dire nulla in questo caso però vuol dire tanto.

Diana Winter – Tender Hearted (BProduzioni)

dian winterRitorno di gran carriera per Diana Winter, ricordata dai più per qualche talent show in passato, esplode con questo nuovo disco Tender Hearted a ricucire il tempo perduto e a lasciare spazio ad incursioni introspettive che rendono l’ascolto dell’album una sorta di viaggio dentro le emozioni contrastanti di ognuno di noi, un bene e un male assoluti che si amalgamano a comprimere sogni, elargire speranze, dare nuove possibilità.

Forte capacità espressiva dunque e grande lavoro di cesello per questo disco prodotto tra l’Italia e l’Inghilterra, frutto di un’opera e di un lavoro non indifferente ed esteso fin qui per sottolineare una forte dose di coraggio ed esperienza che oltre ad essere voce importante non solo per la Giorgia nazionale è anche un abbraccio alla musica d’oltremanica e d’oltreoceano; una chitarrista con una voce stupenda e graffiante che mescola le carte in tavola e sa conquistare al primo ascolto, un ritmo incalzante condito dall’intimità di alcuni passaggi fa di queste dieci tracce un’esperienza da vivere e rivivere.

Supportato da collaborazioni importanti come Phil Gould dei Level 42, Neil Black, Rupert Brown e Al Slavik questo disco sembra ricondurre al passato ammagliando il futuro, un utilizzo della voce sopraffino e i cori sempre presenti e puntuali ricchi di quel contrappunto canoro che con vivacità colora l’iniziale A better me fino alla chiusura che si impone di essere anche critica sociale nei confronti del nostro Paese, affidata ad April Line.

Un disco vissuto, un’anima che si racconta senza mezzi termini, la convinzione di essere utilizzatrice capace delle proprie possibilità; ammirevole gesto di eleganza in questo mare musicale tante volte privo di punti stabili e di fari verso cui andare.