La sindrome della morte improvvisa – Di Blatta in Blatta (Autoproduzione)

E’ lo scarafaggio che si insinua nella tua mente, è quel pezzo di giovinezza assemblata che non ritrovi più da un giorno all’altro, è quell’essere che scalpita e ti tiene inchiodato dentro ad una prigione immaginaria, una compostezza che si apre in deflagrazioni sonore, un incedere piano e sincopato per poi aprirsi al nulla che avanza.

Ep immacolato con cambi umorali degli di una rock band che sa il fatto suo e si concede trattenendo il fiato, apnea serrata e liquefatta pronta a consegnarci una prova spettacolare e distorta, quasi malata, la metamorfosi kafkiana che si ripropone a noi, scendendo sempre più negli abissi a riscoprire ciò che abbiamo perduto.

Anticonvenzionali per scelta e per necessità i nostri lombardi sfoderano quattro pezzi Blatta, Buscemi, Korsakof e Sfiati nel cranio: quattro immagini scritte nel libro del tempo a rincorrere parole che a poco a poco si concentrano su di un’essenzialità che fa da rimbombo esistenziale.

Un eco poetico, un trascinarsi di moto ondoso, fino all’oscurità, rapiti da qualsivoglia forma di vita, rapiti da una coscienza che può essere rappresentata solo dal buio dentro di noi.

Rusvelt – Milk (Bananophono records)

Nostalgia per un suono che non c’è più a scombinare attimi di vita vissuti e sbiaditi, come una fotografia, come quel mare che percepiamo in lontananza e a cui non sappiamo dare un nome, non sappiamo trovare un appiglio, uno scoglio lontano nel tempo e nello spazio.

Urbino la loro città e quella voglia di tornare indietro, di far parte di un movimento, di riuscire a creare in modo perfettamente limpido seppur complesso un mondo dentro a un mondo, La città ideale, in vicende storiche che coinvolgono, già dall’infanzia, già da quel latte, milk per l’appunto, da quell’appartenenza alla vita che ci rende liberi e allo stesso tempo legati ad un qualcosa che non sappiamo identificare ancora.

Un disco di pop raffinato, calibrato e studiato, un modo di raccontare e raccontarsi che va ben oltre le forme del già sentito, ma percependo le aperture di Battiato, passando per Baustelle e Non voglio che Clara, senza tralasciare riferimenti d’oltreoceano come Arcade Fire.

I suoni sintetizzati si mescolano in modo inebriante lungo le quattro tracce che compongono Milk, lasciando un sorriso di disincanto al tempo che è già passato e al tempo che verrà, all’abitudine di essere sempre uguali e all’abitudine di cambiare.

 

Kaos India – Stay (Autoproduzione)

Ep di sole 3 canzoni, bruciante, ammaliante che si ispira melodicamente all’eredità del grunge per trasformare il costrutto essenziale in nuovo racconto, in nuova densa capacità di stupire e collaborare alla creazione di una solida e proclamata autocombustione.

I Kaos India sono una di quelle band che fanno le cose per bene e si sente, curando i minimi dettagli, i minimi particolari e dando vita ad una forma canzone che rimane in equilibrio levitando tra gli anfratti della coscienza, levitando fra mare e cielo con potenza dosata che non fa mai male, anzi il trucco è proprio usare la propria forza sapendo di averla.

Vengono da Modena, iniziano quasi per gioco dando forma e concretezza ad un progetto di respiro internazionale che avrà come punto di svolta un album The distance between, preceduto da Kaos India ep e consolidato ora con le 3 tracce che compongono Stay, tra post grunge e alternative rock d’oltremanica, un suono personale e curato, vissuto dichiaratamente e incanalato in fantasie senza tempo.