Neodimio – Urla Dentro (Autoproduzione)

Cantato italiano per un rock dal sapore d’oltreoceano che infrange le proprie onde su scogli impetuosi, granitici e stilisticamente vicini a suoni che rimandano a Foo Fighters in primis pur mantenendo una forte dose di personalità incendiaria che trasforma il tutto in un qualcosa di energico e positivamente inglobante.

Un disco schietto e diretto per la band composta da Francesco Cremisini, Alberto Sempreboni e Simone Gerbasi che lascia intendere nuovi orizzonti capaci di confondere e infondere in modo del tutto naturale e senza cercare mezze misure, nuovi suoni e colori da distribuire e gridare al mondo.

I romani con questa prova si lasciano alle spalle le troppe influenze musicali per dare un senso al tutto e stupendo ancora una volta con l’oscura cover di Elisa: Luce.

Pretenziosi quindi, ma anche portatori di umiltà i nostri si lasciano andare creando canzoni simbolo come Impossibile e Il frammento, episodi di certo riusciti, con un buon appeal di base caratterizzato da un’immediata orecchiabilità.

Disco pieno quindi e carico di energia, che sa dosare e in certi momenti si lascia anche andare al giorno che verrà, tra post grunge e rock del nuovo millennio con aspirazioni future e gioie da raccogliere.

Yakamoto Kotzuga – Usually Nowhere (La Tempesta)

Intrecci sonori contagiosi privi di lirismo, ma che inesorabilmente si fondono a vissuti che lasciano in bocca ambizioni e concetti che vanno ben oltre la realtà che conosciamo, anzi si implementano in vuoti cosmici da riempire fino all’ultimo bicchiere, reso assurdità dal mondo e dal destino ineluttabile.

Giacomo Mazzucato è tutto questo, un’opera ansiogena in divenire che affonda e lotta, si consuma e crea, lasciando da parte l’usuale per comporre avventure soniche tra stranezze celebrative di un tempo che non è poi così lontano.

Questo disco può essere precursore di ciò che verrà, la lontananza non è mai stata così vicina e il sapore che ci lasciano queste 11 tracce non è un sapore legato soltanto alla sperimentazione, ma un qualcosa che va ben oltre il nostro udito, è materia da cui trarre spunto per pubblicazioni future: un suono extraterritoriale tra moti ondosi e calma piatta portatrice di nuove esigenze che esplicano in un bisogno essenziale di continua creazione.

Ecco allora un album da cui partire, su cui fondare il proseguo di genere, una lunga lotta indefinita, ma che pone le basi per ciò che verrà, tra contaminazioni e perfetto stile mai incasellato, ma sicuramente vissuto.

Fratelli Calafuria – Prove Complesse (Woodworm/Audioglobe)

Non ci sono confini e nemmeno regole per questo disco dei Fratelli Calafuria, un’espansione sonora di colori che portati all’ennesima potenza lasciano scorrere immagini sfocate direttamente alle radici del rock, trasformati poi con il tempo in susseguirsi di vicende che si nutrono di garage punk ‘d’annata inglobato a proprio piacimento in un caleidoscopio unico.

Mix inusuale per Prove Complesse, meritato approdo dopo i numerosi successi del tempo, pur restando band di nicchia, dal sapore terreno e coltivando un substrato di energia che basterebbe a metà dei gruppi presenti nella penisola per dire qualcosa.

Sono tredici canzoni che si spostano tra testi surreali in bilico tra poesia neorealista e verismo mai conclamato, dove i testi che abbracciano le poesie di Gaetano sono catapultati ai giorni nostri, nel vivere quotidiano, tra i problemi che affrontiamo ogni santo giorno.

Pensiamo ad House in affitto, passando per Meraviglia o E’ stata estate, parole che non hanno bisogno di classificazioni, ma sono un tutt’uno con il suono, testi a volte verbosi, ma essenziali per delineare un concetto che alla fine del tutto offre numerosi punti di vista.

A livello musicale scopriamo una maturità generosa, conseguita e sbocciata in linea con la scuola americana toccando At the drive in per passare alla sfrontatezza degli inglesi The Who.

Non siamo qui per definire però queste prodezze, possiamo a malapena delinearle, tra stupore e assoluta meraviglia, esplorando il nostro cervello che assume le fattezze di un labirinto da cui non vorremmo mai uscire.