Marian Trapassi – Bellavita (Adesivadiscografica)

Marian Trapassi, già vincitrice del Premio Ciampi, dopo un lungo silenzio, ci presenta il suo quarto album in studio, prodotto da Paolo Iafelice, Bellavita.

E’ un album silenzioso, leggero e allo stesso tempo un disco che suona sobrio ed elegante accompagnato da sprazzi jazz, ma che ricava la propria matrice esistenziale attingendo fonte d’ispirazione nel cantautorato di Dylan e di Cohen, cercando appigli nei confronti di  un’italianità scomparsa e priva di cantautori da leggenda come il primo De Gregori o il compianto De Andrè.

Il tutto suona morbido e sospeso, quasi ad incrociare l’estetica con il buon gusto, il bel canto e la leggerezza dell’essere che si innalza oltre ogni barriera.

E in fondo in questo disco si parla anche di barriere da sovrastare ed ecco che entra in gioco il tema del viaggio, tanto caro all’autrice, che percorre, attraverso i suoi occhi, una serie di immagini da cartolina, pronte ad essere confezionate nella mente di chi ascolta.

Bellavita racchiude il pensiero dell’intero disco mentre L’arancia invece fa da trait d’union tra Siviglia e la Sicilia, rispettivamente il luogo di ispirazione e il luogo dei ricordi, da dove tutto parte e dove tutto ritorna, poi le canzoni si fanno portatrici di una vena più ritmata con Giovanni, passando per la malinconica My Love e proseguendo in un sol fiato sino ad arrivare alle funamboliche incursioni di Finimondo per concludere con il sospirato ritorno A casa.

Una cantautrice matura e moderna, capace di sorprendere con le parole e portatrice di quella capacità, non comune, di racchiudere un’idea, quella del viaggio, non sempre facile da sviluppare; un savoir faire emozionale carico di esigenza di espirmersi, di fuga verso l’ignoto e ritorni inaspettati.

Antonio Firmani & The 4th Rows – We say goodbye, we always stay (Slow Down Records)

Sofficità espressa nel cotone, sognante trasparenza che ti fa tornare bambino, una miriade di suoni acustici che spaziano dall’utilizzo di pianoforte, xilofono, trombe e altre amenità che riscopri quando forse è passato il tempo di giocare, quando il tempo per i sogni ha virato il suo colore.

I nostri però, ai sogni, ci credono eccome e questo disco ne è la rappresentazione.

Un delicato esordio per Antonio Firmani e la sua band, un esordio che va oltre l’eleganza e consegna 10 tracce di melodie folkeggianti ricordando in primis Kings of Convenience e Iron and Wine.

Soventemente vengono accostati a band come Mùm e Sigur Ros, io invece ci vedo poco di quest’ultimi, se non l’attitudine easy nel trasformare i loro pezzi più post-rock in piccole perle acustiche da consegnare alla storia.

Provenienti da Napoli e nati nell’Autunno del 2013 gli Antonio Firmani & The 4th Rows, confezionano prima di tutto un’esperienza sonora che va ben oltre la forma canzone e invitano in modo non conclamato ad ascoltare per intero il loro disco, quasi fosse un viaggio alla riscoperta di noi stessi, delle nostre abitudini, del mondo fanciullesco che abbiamo lasciato per catapultarci in una realtà che non sempre è adatta a noi.

Il ritorno quindi, ma anche il futuro che senza il passato, ce lo spiegano proprio loro, non ha senso di esistere.

Ecco allora che le canzoni si fanno concretezza in No fly zone, nella efficace The 4th row o nella bellissima ed emozionante The givin’tree.

Un disco pieno di solitudine e delicatezza, abbandoni e ritorni, una complessa trama di situazioni da vedere con gli occhi di un bambino.