Fragil Vida – Papà ha detto che la vostra musica è schifosa (La fabbrica)

Un cantautorato maturo in ogni sua forma che raccoglie l’eredità dei cantautori degli anni zero per trasformare il tutto in linfa vitale per un menestrello “due punto zero” in grado di portare argomentazioni moderne coadiuvate da musicisti che sanno dedicare un giusto posto nel mondo, una giusta via dove rimanere, dove risiedere.

I “Fragil vida” raccontano un qualcosa che ci accomuna.

E’ questa la capacità principale che devono possedere i cantautori, e cioè essere in grado di raccontare in modo fantasioso qualcosa che ci tocca nel profondo, che fa parte della nostra esistenza, dei nostri pensieri e delle nostre aspettative.

“Fragil vida” con “Papà ha detto che la vostra musica è schifosa” sputa in faccia al quotidiano, sputa in faccia a tutto, ma lo fa con stile: 15 piccoli capolavori musicali che sembrano racconti, la cronaca della domenica, i temi lasciati al tempo della narrazione, le poesie scritte nei biglietti e magari accartocciate per non farle leggere da persone poco gradite.

In questo disco si respira aria di scuola, la scuola della vita però, quella che non ti da sempre la seconda occasione, dove ognuno deve ogni giorno lottare per portare a casa un sorriso, strappato da un volto che magari occhi non ha.

Ecco allora che la prosa si intensifica in bellissimi pezzi come “Ti porto con me”, “Ci hai lasciati soli” passando per l’ilarità in “Zoppo di madre”, la catarsi di “Buono il mattino” e la narrazione di “Sorpreso in fuga”.

“Davvero le mani” si identifica per quel suono tipico che si ascolta nel finale dei dischi, lasciato quest’ultimo all’ acida “Alba”.

Un album pieno di contenuti, quasi un vocabolario da portare con se per leggere in maniera diversa i fatti che ci circondano.

Una prova da lodare, per il coraggio e la capacità espressiva, in cui gli arrangiamenti sono punto cardine per un ascolto in loop continuo.

Legittimo Brigantaggio – Pensieri sporchi (Cinico disincanto)

Suoni distorti in decomposizione che si avvolgono in città che si muovono lente, lasciando gli abitanti in un’estasi continua, in bilico tra un indie rock e un brit pop inglese che si identifica per la prevalenza di testi in italiano che fanno da cornice al contorsionismo cosmico e classico che lascia un album intenso di immagini che si trasformano in piccole libellule in un bosco ricoperto di luce.

I “Legittimo Brigantaggio” confezionano una prova carica di sfumature, in debito forse con gruppi quali “Baustelle” , “Mambassa” e per sonorità alla “Sick Tamburo” in primis, ma che in qualche modo dimostrano il proprio marchio di fabbrica lungo le dieci tracce.

L’orecchiabilità è quindi un segno distintivo nel loro essere alternativi alla musica di ogni giorno.

Poco ci vuole direte voi ad esserlo, io invece mi accorgo che per far si che la trasformazione o la differenziazione avvenga si ha bisogno di una forte dose di personalità e questi cinque ne hanno da vendere.

Il pezzo “Elisa è bellissima” vede la presenza alla voce in duetto con Gaetano Lestingi anche di Andrea Satta dei “Tetes deBois”, mentre gli altri pezzi che si fanno strada sono racconti introspettivi di un’esistenza a rincorrere un sogno: ne è testimone la canzone-manifesto “Ipotesi reale”.

Un album che si fa riascoltare con una certa facilità, una prova che è il giusto proseguimento di un cammino ricco di piccole soddisfazioni, e noi, mentre la lumaca, sta procedendo verso una meta indefinita, non possiamo far altro che seguirla per vedere dove ci porta.

Karne Murta -Swingin’ taboo (Masnada records)

Istrionici quanto basta per dare un tocco di colore al grigio che incorpora giornate prive di senso, quasi un continuo cambio ritmato che ammicca a sonorità spensierate, senza però dimenticare i contenuti, legati per l’occasione ai giorni di festa che si incontrano per dare vita ad una esplosione senza fine.

Ci sono milioni di influenze in questo nuovo disco dei “Karne Murta”, quasi un mappamondo poliglotta, una torre di Babele lasciata al tempo che grazie alle incursioni musicali si apre verso mondi lontanissimi, distanti anni luce, grazie all’utilizzo consapevole di canzoni scritte in lingua e adottando l’espediente e la capacità degli strumentisti di trasformare in poesia ogni singola nota che li accomuna.

16 canzoni che spaziano da un genere all’altro prediligendo quello stile un po’ folk- swing che caratterizza chi con capacità vuol fare della musica un motore inesauribile

I testi a prima vista sembrano disimpegnati, ma a leggerli bene si colorano di quella purezza espressiva tipica di solo poche realtà italiane.

Ecco allora che il tutto si trasforma in una grande coreografia circense, in cui al suono dello swing strombettante fanno capolino i clown e gli animali; tanto simili ad uno spaccato di vita italiana, ad uno spettacolo che agli occhi di tutti risulta sempre uguale nella sua tristezza e amarezza.

Un disco anche di denuncia quindi, che si denota soprattutto in pezzi come “Clown town”, “Stooggey cat” e nel finale con “Buco nero”.

Spensierati quanto basta, questi ragazzi ci regalano un album ricco di ironia e capacità mutevole di trasformazione in divenire perenne, verso forme nuove di comunicazione.