Là-bas – Là-bas (Lavorare stanca)

Una band che raccoglie perle nei fondali marini, cercando solo le migliori e consegnandole come un dono a noi ascoltatori intenti ad assaporare qualsiasi sfumatura della bellezza.

Una bellezza che si fa ecoverco poetico e portavoce di un’analisi della parola amore che, svalutatasi nel corso di questi anni, rinvigorisce come pioggia leggera a bagnare un popolo poco attento a questi interventi raffinati, sperando invece nella rima facile e nella canzone usa e getta da consumare durante l’acquisto della maglietta di moda.

I Là-bas non sono questo anzi sono tutt’altro: sono una band presente da molti anni nel panorama della musica underground italiana, una band che con questo disco omonimo e grazie alla collaborazione di Fabio de Min (Non voglio che Clara) segna una traccia importante nel panorama della musica cantautorale.

Ci si possono ascoltare I Perturbazione che dibattono Sartre con Francesco Bianconi, tanto è il simbolo perduto, il concetto predominante da rincorrere e tenere a se, tanto è il senso della vita, quella vita che non ha senso a priori se non è vissuta, ma acquista valore in base al senso che sceglieremo per essa.

Le canzoni dell’album sono un concentrato di amori e illusione, di apparire lontano, in fondo, per non rischiare di avere ragione; l’essere umili già nelle piccole cose il significato forse più vero del disco che in canzoni come “La fine dei romanzi” , “La sera” e “Il nostro periodo americano” raggiunge un infinito ipotetico di immagini e parole da ricordare.

Una prova di notevole struttura che mi auguro possa fare emergere questi ragazzi piemontesi all’attivo dal 2003, un album questo che dovrà raccogliere il giusto consenso all’occhio degli esperti di settore per lanciare in aria questo aquilone cullato dalla magia del vento, laggiù sul mare.

Fast animals and slow kids – Hybris (Woodworm)

Il progetto Fast imagesAnimals and slow kids è un concentrato di bravura e talento legato dal filo sottile, ma percettibile dell’armonia e del rumore, del suono pesante, ma allo stesso tempo delicato; con stile, i 4, confezionano una prova sopra ogni aspettattiva toccando vertici altissimi di vera poesia, sia nei testi che negli arrangiamenti, questi ultimi mai banali e accomunati per certi versi alle distorsioni di Gionata Mirai del Teatro degli orrori.

Un album molto maturo quindi, che raccoglie il lato migliore della prosa rock degli ultimi anni miscelando uno stile che si dava per morto, ma che con capacità rinasce nelle mani di Alessandro, Alessio, Aimone e Jacopo.

Il suono concentra il punk dei Nofx con l’indie distorto dei Sonic Youth e i testi dei Zen Circus.

La voce risulta graffiante e irriverente come in “Fammi domande”, mentre raggiunge picchi decadenti in canzoni come “Combattere per l’incertezza” e nella splendida “Maria Antonietta” dove un perdono serve a poco quando siamo già grandi.

E’ un album, questo, che si interroga sulla morte delle relazioni e sulla capacità introspettiva di vedere il proprio mondo riflesso in una società immobile e inerte.

Come Capovilla si interroga in “E’ colpa mia” qui Aimone in “Canzoni per un abete parte II” si interroga sulla colpa di non avere colpe in quanto ciò che ci circonda ha distrutto molto di buono del costruito: rendendo a pagamento anche l’aria che respiriamo, rendendo meno facile il vivere normale.

Per questo i 4 ragazzi umbri riferiscono un’urgenza nel loro esistere, un’inquietudine resa più che mai dalla cover del disco: la desolazione di una città lontana, mentre noi formiche bruciamo al sole sopra una terra che, con quel poco che ci assomiglia, ha smesso di far nascere fiori.