Chicken Queens – Buzz (La Clinica Dischi)

Duo spaccatimpani e psichedelico che spara a mille sui volti nascosti di chi tenta di osservarli, non si lasciano dietro nulla, non si lasciano dietro il tempo e creano una commistione di sudore e rumore che si avvicina per molti versi al primordiale rock sviscerato da Hendrix per passare al Jack White dei nostri tempi in un’altalena piastrellata di forme e colori dove la melodia non esiste, ma la forma e la sostanza sono elementi imprescindibili per la buona riuscita di questo disco.

Impatto notevole quindi che lascia lo spazio a qualcosa di primitivo che ti entra nel corpo e non ti lascia andare, quel qualcosa che sa di ruggine e tempo perduto, di maturità sonora, ma anche di punk alla vecchia maniera, quando il marcio che era dentro, si esponeva ed usciva con tutta la sua rabbia carica di significato e d’altronde i nostri non sanno contenersi e creano sfacciatamente un modo diverso di approcciarsi alla musica, un modo più diretto, meno elaborato, ma di sicuro effetto.

 

Panda Kid – Scary Monster Juice (Autoproduzione 2011)

Il vicentino Alberto Manfrin, in arte “Panda Kid”, già da un po’ di tempo calca i palchi della scena underground provinciale e in parte regionale con il suo progetto one – man – band attorniato da chitarre elettriche vintage e grancassa tuonante, creando atmosfere surf, garage e punte di lo-fi.

In questa prova intitolata “Scary Monster Juice” si fa aiutare dagli amici “Miss Chain and the Broken Hells” “I Melt” “Il buio” e “No Monster club”.

Panda Kid, come nei precedenti album, è una miscela fisica, scanzonata che non si chiede troppi perchè su quello che scrive e suona, nella sua musica si possono trovare e ascoltare echi di “Beach Boys” nelle parole ridondanti di “Junkie girl” o “Your Candy”, in “Garage on the Beach” invece abbiamo un inizio alla “The Who”, ma batteria molto più cupa alla “The Cure”.

La canzone “Long long summer” sembra chiedere alla bella stagione di rimanere in posa per una fotografia fuori dal tempo.

“Surfer girl”, invece, ricorda i “Pavement” di Stephen Malkmus, una voce con cori in lontananza quasi confusa dal vociare di chitarre in secondo piano. Forse quest’ultima la canzone più incisiva del disco.

Un Lp che si conclude con la quasi stonata“Cookie Weed” e con la chitarra acustica che ricorda “White Stripes” dei tempi migliori.

Un progetto alquanto originale che ti porta la spiaggia fuori dalla porta di casa.

Un’estate sotto l’ombrellone sorseggiando cocktail e guardando belle ragazze.

Un’estate insomma che non vuole finire.