-LIVE REPORT- Thom Yorke – Tommorow’s Modern Boxes Tour – 17/07/19 – Villa Manin Passariano di Codroipo (UD)

Bombarde sonore che ti arrivano dentro e difficilmente ti lasciano attraversando decenni di musica sperimentale raccolta e imbrigliata ad arte per regalare sostanziali riferimenti con un mondo in dissolvenza, ma così vicino a noi.

Thom Yorke ha sempre fatto quello che ha voluto. Con i Radiohead e anche da solista. In solitaria si perde il senso unitario di una band per lasciare posto alle interiorizzazioni in elettronica di un apparato lisergico di riferimento in grado di esplodere grazie a contraccolpi sonori intensissimi e davvero importanti. A Villa Manin quel senso unitario, a tratti eterogeneo, diventa simultaneità da assaporare.

Ad aprire il concerto Andrea Belfi, compositore, polistrumentista italiano, ma residente a Berlino, voluto da Thom Yorke e soci per aprire i live del loro tour europeo. Trenta minuti di ambient musicale capaci di percorrere, con energia maniacalmente calcolata, un viaggio sonoro che si sposta a varie latitudini toccando a tratti un post rock d’avanguardia sposato ad arte con un’elettronica jazz di confine. Ineccepibile dal punto di vista tecnico e nella cura dei suoni.

A seguire Thom Yorke. Il musicista, conosciuto ai più per essere il cantante, chitarrista e pianista della band in attività più importante del mondo, i Radiohead. Thom si dimena, fissa il pubblico, a raffica concede canzoni serrate. Sul palco con lui ai campionamenti, alle tastiere e all’elettronica il sempre fidato produttore, dai tempi di My Iron Lung EP, Nigel Godrich mentre l’arte visiva viene affidata a Tarik Barri che canalizza uno show difficile da dimenticare.

Singoloni dei vecchi album si alternano alla nuova fatica Anima, un volere alzare l’asticella della qualità sempre più alto, lassù dove pochi sanno arrivare. Incrociatori trip hop si mescolano ad un funk profuso nell’etere, innovazione dance legata al filo mutevole dell’improvvisazione, versatilità e pura necessità di comunicare un senso claustrofobico di abbandono e riscoperta.

Il cantante inglese, con il nuovo disco portato dal vivo, magnetizza il pubblico grazie ad uno spettacolo fatto di proiezioni visivamente canalizzate in flussi di coscienza che creano un tutt’uno con la musica circostante. Il Tomorrow’s modern boxes tour prosegue in un susseguirsi emozionale davvero imprevedibile e discostante. Due ore di concerto, nella splendida Villa Manin, imbrigliate queste in un’altra dimensione per un’estensione profonda e interiore del nostro io abitata da persone capaci di percepire l’arte come costruzione possibile di mondi futuri.

Lefter – Lefter (Autoproduzione)

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Duo composito e sperimentale che distorce il suono a dismisura comprimendo stanze vaporose, ingabbiando nuove forme di decostruzione provenienti da numerose fonti incontrollabili e ricche di pathos e atmosfera che si dipanano lungo le sei tracce proposte. Il disco ha una potenza incalcolabile, le canzoni scivolano attraverso un parlato indistinto con la musica che impatta, scoperchia e rimanda ad uno stoner sporcato da un alternative che trova sfogo nel post rock degli anni ’90 per un insieme di pezzi fuori dal tempo, un insieme di brani che convince sfuggendo ad una categorizzazione di genere in un istinto psichedelico per l’arte che inchioda e fa di questo piccolo esordio una voce importante nel panorama underground italiano. Canzoni polverose e inscindibili con il mondo quindi attorno che trovano nell’attesa immediata la loro vera e unica fonte di sostentamento e ispirazione. Bravi.

ZEMAN – Non abbiamo mai vinto un cazzo (To lose la track)

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Soffermarsi nel mezzo, nel sudore e nella fatica, magari nel rimpianto, ma anche in mezzo alla possibilità di vedere sorgere dalle ceneri qualcosa di duraturo, di bello e di reale. Gli Zeman al secondo disco sembrano recepire una per così dire deriva nichilista anche se la loro sostanza sonora e poetica viene rappresentata grandemente ne dalla vittoria ne dalla sconfitta, ma piuttosto dal simultaneo vivere tutto il resto, abbracciando sconfitti e vincitori e valorizzando le lotte della gente comune per riuscire ad emanciparsi da una società che vede solo il bello e l’apparenza, abbandonandosi ad un bisogno di ricerca che proprio nel non vincere un cazzo ci fa essere unici soggetti in grado di intraprendere il proprio cammino. Il disco della band di Udine è un disco composito che mescola il post punk con un indie sotterraneo, apprendendo la lezione del tempo e intercalando pezzi che sembrano estrapolati dal migliore repertorio di band come Zen Circus in un sodalizio con la musica d’autore che proprio in questo disco è necessaria per esprimere un concetto duraturo, universale e necessario per tutte le band che vogliono e che tentano di diventare qualcuno o qualcosa perché la felicità è un traguardo che solo noi possiamo valorizzare.

Silvia & The fishes on Friday – Under Water (Sign-pole Records)

Raccontare con velata introspezione un paesaggio dai colori acquarello, dalle tinte rimesse a nuovo in una stanza priva di finestre a narrare un viaggio, il viaggio di Silvia & The fishes on Friday verso mondi lontani.

Il disco racconta l’ignoto, un guardarsi dietro solo una volta e lasciarsi trasportare dal vento invernale, da quel gelido paesaggio azzurro che circonda le anime più solitarie, raccontandosi con una poetica di leggiadre parole a ricucire cuori infranti, a lasciar trasparire la minima emozione pur di raggiunger l’obiettivo, pur di dare un senso composito al mondo che gira attorno.

Un album, che suona giapponese, come l’etichetta che lo produce, un acustico quadro melodrammatico fatto di alberi e strade che non sono in evidenza, ma che si caratterizzano per essere al centro di un pensiero condiviso, che si prefiggono di essere un teatro per le rappresentazioni della vita che sarà, un’essenziale ricerca di nuvolosità variabile a racchiudere il pensiero della notte, tra sostanza e concretezza in ballate acustiche e minimali in stato di grazia.

5 canzoni che raccontano le malinconie, 5 pezzi d’amore e di neve, di sospirate attese e tiepidi addii tra la Canzone invernale e quel Non lasciarmi andare via, a dimostrare ancora una volta che siamo fatti prima di tutto di sentimenti a cui non sappiamo rinunciare, volendo raccontare l’amore disperso e ritrovato ancora una volta, come fioca luce nel bosco della nostra anima.