Clowns from other space – Zeng (BoleskineHouseRecords)

Vengono dallo spazio profondo, dalla storia di fine ’80 e inizi ’90, dove il grunge era ancora distante e dove l’uscita di scena della new wave portava l’ingegnosità e la scoperta di un rock fatto d’atmosfere crepuscolari, malinconiche e di sicuro effetto.

I nostri clowns hanno raccolto l’eredità del tempo e per l’occasione si vestono di nuova linfa facendo della loro musica un veicolo introspettivo che parla proprio di quei tempi andati incrociando fedelmente i primi U2, i The Smiths e i Radiohead di Pablo Honey in un eterno passaggio concentrico di luci e ombre, di possibilità mancate e di rabbia repressa pronta ad uscire e convogliare  in distorsioni che anticipano il post rock e le lisergiche gradazioni di colore che riempiono il nero che vive attorno a noi.

Un disco pieno e misterioso che si fa ascoltare più volte e forse per nostalgia verso quel mondo ricrea sentimenti di voracità e solitudine, di fame musicale e di costante ricerca di sovra strutture da interpretare costantemente, tra l’apertura di Shifted fino al finale obliquo e portentoso di Scenes, fatto di cambi di tempo e continue aperture, un album per nostalgici che si proietta egregiamente in questi anni aperti all’indefinito.