Kelevra – Cronache per poveri amanti (VREC)

Amori andati a male, amori lontani, sfiducia sull’oggi e sfiducia sul domani, intrisi di quella poesia neo natale che imprigiona la semplicità del gesto, dell’atto, in una confezione effimera di gioia, dove il tempo racchiude i segreti per un mondo forse diverso.

Al secondo album i Kelevra fanno centro, intascando una prova ricca di coraggio e di un’immediatezza strabiliante, che sa mescolare diligentemente un pop definito amaro al cantautorato più moderno,un disco tutto tranne che consolatorio dal titolo Cronache per poveri amanti.

I nostri raccontano una vita fatta a pezzi e l’essenzialità nel tentare di ricucirla passo dopo passo, mattone dopo mattone, oltre la tempesta e ispirandosi al fu fiorentino Pratolini che condivideva con loro la terra natia.

Disincanti che accarezzano l’erba e ti fanno comprendere l’ineluttabilità del tutto, con un forte gradiente e una forte percentuale di amarezza che fa gridare, che ti fa tentar di essere un uomo diverso, migliore.

Non ha gravità è il singolo di riferimento, con la presenza di Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti a farne da padre putativo, un disco che anche senza questo pezzo ha tutte le carte in regola e il pieno diritto per sfondare le consuetudini del momento, trovandosi un piccolo posto nel mondo dove poter vivere.

Tre allegri ragazzi morti – Inumani (La Tempesta Dischi)

Gli allegri morti son tornati, ma a dispetto del loro canonico tre perfetto, questo disco sembra un agglomerato di culture e stili differenti, un concentrato che va oltre la trilogia che si presta a concludersi; dopo infatti Primitivi del futuro e Nel giardino dei fantasmi questo Inumani porta dentro l’esigenza di segnare un passaggio importante nella loro e nella nostra storia musicale.

Undici tracce che coronano l’immaginario di Pordenone e riempiono i pezzi vuoti lasciati nel tempo, quasi fosse una degna conclusione di un percorso fatto di immagini e al contempo di fumetti, un omaggio a Jack Kirby e non solo, l’idea dominante, che caratterizza da sempre le produzioni di TARM e cioè di dare una connotazione sociale alla proposta pur sapendo di nuotare nel panorama underground.

Qui sta la sorpresa però, il sodalizio artistico maturato con Lorenzo Cherubini porta i nostri a dar voce ad entità alquanto astrali e fuori dagli standard conosciuti in pezzi come Persi nel telefono e il singolone ammiccante In questa grande città, passando per le chitarre preziose di Adriano Viterbini dei BSBE e i passaggi di Maria Antonietta, Vasco Brondi, Pietro Alessandro Alosi de Il pan del diavolo, Alex Ingram e la scrittrice Peris Alati senza dimenticare il charango di Monique Mizrahi e la tastiera di Federico Gava.

Un disco che si racconta, tra le malinconie di Ruggero e le psichedelie di Ad un passo dalla luna, un album di racconti quasi sempre al femminile, che non dimenticano la fragilità,  ma la utilizzano come esigenza primaria di completezza e solitudine da riscattare.

 

TARM e Abbey Town Jazz Orchestra – Quando eravamo swing (La Tempesta Dischi)

Prendici una scatola, bella, grande  e capiente, mettici dentro un po’ di fiati, qualche percussione e i tre allegri  molto meno rock, anzi per niente rock, ma con un piglio del tempo che fu, un piglio quasi sbarazzino, a sancire una rivoluzione nel loro modo di suonare e di intendere un genere.

Le canzoni sono sempre le solite, ma rivisitate in chiave swing, avvalendosi della Abbey Town Jazz Orchestra diretta dal pianista Bruno Cesselli e il tutto registrato in presa diretta nel teatro Arrigoni di San Vito al Tagliamento in provincia di Pordenone.

Il disco suona alquanto strano sin dalle prime battute, non aspettatevi nessuna e dico nessuna cifra stilistica che connotava, in passato, il gruppo di Pordenone, parliamo infatti di uno stravolgimento complessivo, una rotazione completa e un rimescolamento delle carte in tavola; chiamiamolo pure esperimento, che alle orecchie dei più però suona come elevato tentativo di portare al pubblico un qualcosa che non entra al primo ascolto e disorienta.

Le capacità musicali e gli arrangiamenti sono degni di nota, ma siamo sicuri che questo prodotto sia destinato a qualcuno? O sia un semplice e mero tentativo di dare spessore ad una band che non ha bisogno di questi ammiccamenti per essere al passo con i tempi?

Ai posteri l’ardua sentenza, il disco è ben confezionato e musicalmente è un ottimo prodotto, vede la partecipazione di Maria Antonietta in pezzi come Il mondo prima di Elvis e Occhi bassi serenade, di Jacob Garzia dei Mellow Mood in Puoi dirlo a tutti exotica, ma ripeto non è un disco per tutti e certamente suona un po’autocelebrativo.