We are waves – Promixes (MeatBeat Records)

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Non è un disco remix, questo è un disco risuonato da capo, dove la coda diviene spaventoso e ipnotico inizio e dove le canzoni si fanno lasciapassare verso mondi che intercedono e non classificano, mondi che tendono a recuperare il tempo perduto, anche se qui il tempo riprende forma e sostanza e si caratterizza per lasciare spazio a versioni che marcano la loro importanza nella forma canzone precedentemente accolta, qui ancora scoperta e non più fragile, ma martellante sonorità cupa, martellante compressione di sogni inesauribili per un EP che abbandona i ricordi e abbonda, affondando le promesse in tetri antri fatti di pioggia e solitudine esistenziale, abbandono e declino; ricercata forma di poesia applicata all’era moderna.

Chi preferisce il primo chi questa rovesciata mescolanza di suoni quasi live, sta di fatto che il carattere della band è ben marcato e se si permettono il lusso di accedere a questa forma di promozione, il materiale proposto è materiale scottante, portante nuova luce.

Bosco – Era (Autoproduzione)

Raccontare e raccontarsi, nudi allo specchio in un continuo nascondersi e celarsi attraverso i sogni che ci hanno costruiti, quei sogni che ci hanno fatto sperare di essere migliori, un continuo cercare il palazzo immaginario dalle enormi vetrate azzurre che in un attimo è pronto a crollare sopra di noi e sopra le nostre speranze.

I romani Bosco al loro esordio confezionano un disco fatto di sguardi alle finestre in una giornata di pioggia, una ragazza dai capelli lunghi che fissa il vuoto, là, oltra la brughiera, oltre il castello nel cielo, oltre l’immaginazione del tempo passato, un cercare luoghi migliori in cui stare grazie alla musica.

Una musica che fa ecco al pop sintetizzato dei primi Baustelle e notevole è l’avvicendarsi della voce maschile e femminile a rendere omogeneo quel tutto carico di significato profondo, quasi fosse una melodia proveniente da lontano dove le tastiere non predominano, ma fanno da sfondo autunnale al bel tempo che verrà.

Un album quindi fatto si sogni perduti e amori lasciati, dove il raccontare la vita di periferia è un modo raffinato e sincero per chiudere il proprio spirito dentro a un cuore solitario che si sta ancora cercando, remore del vuoto che gira attorno e dove il domandarsi è costrutto necessario per costruire e costruirsi.

Dieci canzoni che parlano di amori e di viaggi Me ne andrò a Berlino, perché così mi piace chiamarla, anche se il vero titolo è Il disertore, parte sulla scia dell’abbandono per concedersi poi aperture nel meraviglioso singolo La mia armata, via via Amòr e il Tempo per la dolce timidezza di Il susseguirsi degli eventi e poi ancora il viaggio, le vacanze estive con Malaga, passando per Se e finendo con l’ineluttabile Esedra.

Parlare di raffinatezza non è sempre facile ai giorni nostri, anche perché con i potenti mezzi che abbiamo per fare un buon disco ora più che mai contano le idee e l’idea di eleganza non strillata in questo album ricopre gran parte delle tracce e lascia quel senso di appartenenza simile a un ricordo lontano, a un’immagine di un tempo passato, dove le giornate duravano una vita.

Discoforticut – Femmes (Autoproduzione)

Un viaggio nell’universo femminile fatto di musica che si ingloba poeticamente alla frenesia dei giorni lasciando evaporare concettuali astrazioni in divenire che sono esemplificazione totale di un’elettronica studiata fino ai minimi particolari, che si racconta e si lascia raccontare.

L’esordio del prima trio torinese rimasto duo affascina per concretezza e solidità di base, ascoltare Femmes è come entrare all’interno di una colonna sonora di un film inglobante che mescola culture diverse, dai freddi polari ai deserti colmi di siccità, trasportando un sentore comune, un desiderio non innato, ma maturato con l’intelligenza: quello della condivisione di spazi e di esemplificazioni sonore che divagano tra lounge soul e chill out da atmosfera, uno spaziare tra territori inospitali per concedersi ancora una volta e facendo del citazionismo per immagini una strada da seguire.

Due quindi le attuali menti del progetto Discoforgia, già produttore di musica elettronica su label inglesi e americane e Ut! polistrumentista e videomaker, due anime quindi che fondono e confondono le proprie sapienze per dare un giusto significato al contesto in cui viviamo, raccontando una società, mettendosi in gioco.

Ecco allora che osare sembra rimasta la sola e unica cosa da scegliere e da fare, in un progressivo innalzamento dei costrutti le vicende sonore raccontate si dipanano tra chiaro scuri esistenziali che parlano della donna, in modo disinvolto; una musica per l’anima e un sospiro al cielo, disegnando nuvole di immacolato candore e di immacolata bellezza.

Pablo e il mare – Respiro (Libellula/Audioglobe)

Respiro è il racconto di una donna, è il racconto di un tramonto sul mare che dona grazia ed eleganza, è un narrare disincantato e leggero di sogni estivi velati da una tiepida malinconia che avvicina l’autunno e si divincola prepotentemente dall’onda uniforme per ricreare un suono etnico e contaminato, un folk d’altri tempi impreziosito dal pop d’autore che ingloba nostalgie e riporta il pensiero al respiro in un batter di ciglio, quasi fosse farfalla mossa dal vento.

Pablo e il mare è un gruppo che conosce i risvolti della canzone e al loro terzo disco non sbaglia appeal e fornisce attimi emozionali da intrappolare in una fotografia scavata dal tempo, scavata da quel bisogno di uscire allo scoperto, relegando il tutto al passato e evolvendo in concretezza ciò che prima era solo pensiero.

Canzoni di pura introspezione che toccano necessità di ampio respiro in connubio e in simbiosi con un mondo in continua evoluzione, un gelido inverno da spazzare per essere se stessi ancora davanti al mare.

Quel mare che parla di speranza, quel mare che porta alla città e quindi ecco che si scioglie il racconto urbano in Di più per proferire necessità vivendo sogni di gioventù in Ferdinandea, passando per la meraviglia di Ammanta brano avvolgente e cantautorale fino all’amata Giappone che porta alla dolce conclusione di Sottovoce.

Guardiamo alla finestra lontano, guardiamo le tende mosse dal vento e quel sospiro caldo d’estate che sta arrivando è il sorriso di una donna, che danza su di una spiaggia deserta coccolata dai raggi del primo sole.

Sotto il cielo di Fred – Tributo a Fred Buscaglione (F.E.A., Libellula, La Stampa, Audioglobe)

Il premio Fred Buscaglione nasce a Torino, nasce per ricordare e nasce per valorizzare e sostenere la musica d’autore emergente.

Omaggiare Buscaglione è un onore dato e affidato a poche persone, le quali hanno saputo dare il proprio stile personale ad ogni pezzo interpretato con qualsivoglia capacità espressiva e intuito prettamente soggettivo che non sfigura, ma anzi dona veridicità in più ad un’opera tesa al confronto tra generazioni e stili abbandonati che pian piano vengono riscoperti.

Le raccolte non mi sono mai piaciute, ma questa è in grado di avvicinare in modo del tutto naturale persone lontane per scelta stilistica accomunate da uno spirito di solidarietà e di ammirazione verso chi in Italia si è sempre opposto ad uno stile e ad un ordine prestabilito esule da qualsivoglia forma di corrente da seguire.

Nel disco compaiono ben amalgamate forme e sostanza sviscerata e decostruita, di canzoni completamente stravolte e reinterpretate per l’occasione da chi, nel corso del tempo è stato vincitore dello stesso premio: Brunori con l’introspettiva Nel cielo dei bars, Dente romantico gatto che sospira in Guarda che luna, Benvegnù nel sodalizio ben eseguito di Love in Portofino, Bugo nella minimale Eri piccola così, passando per la meglio riuscita del disco Mi sei rimasta negli occhi cantata da Niccolò Carnesi e poi via via la caciara dello Stato Sociale con Teresa non sparare, la malinconica Sigaretta dei Perturbazione, la ritmata Noi siamo duri de Il pan del diavolo, fino a Juke Box cantata dai The sweet life society e poi le nuove leve Etruschi from Lakota e Eugenio in via i gioia con rispettivamente Porfirio Villarosa e Buonasera signorina, chiudendo in bellezza con i Venus in Furs che si contorcono saltellanti in Voglio scoprir l’America.

Un album di omaggi che guarda il mare lontano, guarda verso un’altra direzione, tra le stelle di altre galassie nell’intento di capire fino in fondo un cielo che forse è anche il nostro, un cielo azzurro che alle volte si tinge di grigio, che ha però la capacità sempre e comunque di lasciar filtrare un filo di luce.

 

I Nemici – Canzoni sbagliate (Autoproduzione)

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Canzoni pop gridate e sussurrate che si fanno incursione sonora, racconti di vita vissuta che si stagliano tra alti e bassi chitarristici accompagnati da fisarmoniche lucenti e pronte per iniziare la festa.

Parliamo di un duo I Nemici, piccola band di Torino, nata dalle balere improvvisate nelle feste di amici e non, per deliziare il pubblico con pezzi stile primo Jannacci che narrano di indipendenza e bisogno di libertà, incappando però nell’inesorabilità della vita che non sempre sa essere gentile, ma come natura madre e matrigna ci lascia sognare ad occhi aperti per poi sbatterci addosso la vera realtà.

Sono 15 canzoni, tante direte Voi, essenziali però per ricondurre il tutto ad un filo conduttore intenso e compiuto, quasi fosse un concert house di poco più di un’ora dove distendersi e lasciare la mente altrove per trovare nella convivialità un rapporto sincero e reciproco.

Un disco intenso quindi, ma soprattutto ironico, che incrocia Gaber a Gaetano in un vortice di cantautorato sghembo, ma ben riuscito.

Ottima prova quindi, che allieterà di certo qualsiasi tipo di palato, dal festaiolo al sopraffino, in una accurata di ricerca che non si esemplifica nella forma, ma va diretta alla sostanza.

TuttoNERO – Tuttonero (I dischi del minollo)

I torinesi TuttoNERO al loro album d’esordio colpiscono per vivacità della proposta e capacità espressiva, cantautori stralunati che si concedono e lasciano da parte le cose serie per raccontare, sorridendo, di un’Italia che non c’è più, di un ambiente desertico dove le incursioni garage blues si diffondono tra chitarre taglienti e leggermente gainizzate dove al sole si sciolgono speranze e passioni, amore verso un qualcosa che non c’è più da riconquistare, da fare proprio.

Ecco allora che i testi sono parte fondante della canzone, sono ricerca di un comune sentire che si fa forza nelle attitudini quotidiane, canalizzate come vittorie, come vincite sonore che stupiscono ed estraggono pensieri per dissacrare una popolazione allo sbando tra attimi di luce e vuoti cosmici di tunnel in decomposizione.

Un disco che parla di Noi in modo completo,  un racconto psichedelico che prende vita grazie ai cinque, tra oscurità e bellezza nelle tenebre  attraversate da suoni ben impostati e sicuramente di gran impatto.

11 canzoni che sono anche consigli, brani che ti entrano facilmente nella mente per donare in qualche modo speranza nel cambiamento, attesa e pensiero che nella veridicità della proposta si fa protesta ora e sempre.

Brani che scorrono veloci da La gente media a Nero, un buco oscuro che si riempie di linfa vitale ed energia, melodrammatica messa in scena di una vita che è anche la nostra.

Eugenio Rodondi – Ocra (Phonarchia Dischi/Audioglobe)

Questo disco sa di terra, di sabbia, quella che calpesti nelle giornate al mare, bagnata leggermente da secchielli sparuti e poco interessati a dare linfa vitale ad un terreno troppo caldo per essere compreso.

Eugenio Rodondi al suo secondo disco si appassiona al cantautorato febbricitante che esce direttamente da un film di Morricone, tra pietre scaldate al sole e lucertole che cercano un leggero refrigerio all’ombra di qualche foglia d’erba.

Il cantautore torinese sancisce definitivamente la propria maturità con un progetto artistico che spicca per talento e capacità vocale, la prima forse a farsi notare, tra ballate ironiche e meditative come solo il migliore Tom Waits sa confezionare.

Un album che tocca i campi, i cieli azzurri e i prati, che parla in prima persona della difficoltà di trovare un posto di lavoro, quest’ultimo preda quotidianamente di classismo sociale, dimenticando la vera essenza del tutto, tra ignoranza e un mondo fatto di finzione.

Una prova quindi che denota carattere solare e riflessivo, colto e mai banale, un risveglio  naturale che sa di giallo carico, tra note di acustica a marcare un territorio fatto di colpi di scena e sostanza.

Quasi come essere dentro ad un film quindi, dove i protagonisti siamo noi alle prese con i piccoli e quotidiani misteri della vita che per quanto piccoli alle volte sembrano inconcepibili.

Loris Dalì – Scimpanzé (Autoproduzione)

Cantautore torinese che con un gusto alquanto sottolineato per la musica d’autore italiana si cimenta in una prova completa, intima e veritiera.

Un disco in presa diretta per sottolineare l’eleganza e l’entusiasmo di un progetto che vede la collaborazione di numerosi musicisti, suonatori di strumenti come il violino e l’udu, lo scacciapensieri e il basso tuba, fino ad arrivare alla fisarmonica: una commistione di generi che intinge le radici nel De André più introspettivo per raccontare come si vive in Italia.

Un racconto fatto di pensieri e di speranze racchiuse da 12 preziosissime perle che alle volte fanno riflettere, altre invece fanno sorridere, perché Loris conosce molto bene il significato della parola disincanto e la sa utilizzare al meglio in ogni occasione.

Un disco quindi quasi autobiografico, ma che potrebbe narrare tranquillamente la storia di tutti, tra disillusione  e perdita del lavoro, tra conformismo e inutilità del materiale.

Un album magistralmente suonato e inusuale che si avvicina di molto, soprattutto nei live, al cabaret, sognando di amori impossibili e stelle da raggiungere, senza forse sapere che tutto questo alla fine è dentro di Noi.

Ila Rosso – Secondo me i buoni (INRI)

Un tuffo in avanti ad occhi chiusi, le speranze lasciamole al domani, ora è il tempo di vivere, di costruire, di tentare di capire i rapporti, di essere quotidiani nel quotidiano e reali nella realtà.

A Ilario Rosso piace giocare con le parole, ma la sua derivazione non è semplice questione di stile, ma è anche  e soprattutto capacità intuitiva di comprendere situazioni per poi raccontarle in modo del tutto personale; un cantautore consegnato ai giorni che cambiano, un cantautore di sogni da raggiungere e mete da conquistare.

La scrittura originale porta a compiere un’impresa soggettiva nel raccontare eventi della città in cui abita ne è l’esempio la sotterranea Canzone dei Murazzi passando per Casi popolari, denuncia sottile dell’era asociale.

Si passa poi velocemente a Filastrocca dei mesi che porta in primo piano il pensiero del ’68 e ricordando che tutto ciò che successivamente si è creato è nulla; contestazione si respira in La storia è sempre quella che porta al collegamento quasi d’obbligo tra Galeotto e libertà e I morti.

Notevole poi l’accoppiata parole/musica in Tango dei puri che lascia posto nel finale a Rap_porto canzone sulla fragilità dei deboli, capaci si di sopravvivere, ma anche capaci di essere travolti.

Questo è un disco sociale, un disco che parla della società, in maniere emblematica, quasi divertente, in un modo che contagia e fa riflettere, esito di una ricerca voluta e conquistata.

Ila Rosso è un cantautore spassionato che convince e stupisce, stupisce grazie alle piccole prodezze che riesce a mettere in piedi, in un continuo vivere che è matrice essenziale di ogni sua canzone.