Simone Piva e I Viola Velluto – Fabbriche, polvere e un campanile nel mezzo (Toks Records/Music Force)

Periferie cariche di ecomostri, fabbriche sempre aperte che si stagliano all’orizzonte grazie a fumi inquinanti, luci abbaglianti che trasformano il nostro stare al mondo in una pubblicità continua, in una desolante discesa verso il nulla totale. Fabbriche, polvere e un campanile nel mezzo è l’incontro con il nostro stare al mondo. Una polaroid scattata nell’opulento nord est italiano, una fotografia lineare di ciò che ci circonda raccontata con maestria e ironia a coronare un’esigenza di rappresentare in musica uno spaccato di questa società. Simona Piva e I Viola Velluto ritornano con un nuovo album. Un disco pregno di storie dall’animo westernato e folk, impregnate di cantautorato da osteria che ricorda i primi TARM per freschezza e genuinità e per ciò che viene raccontato. La battaglia infuria che fa da apripista al disco è forse la canzone più riuscita. Un pezzo da mandare in loop a tutto volume fino all’indigestione totale. Il mondo rappresentato dai nostri rispecchia inesorabilmente quello che si respira nelle regioni del nord Italia. Raccontano di una provincia inglobata, raccontano di questo nostro tempo infame, dove forse i sentimenti saranno l’unica cosa che ci potrà salvare.


The high jackers – Da bomb (Toks Records/Music Force)

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Super band capace di trasportare l’ascoltatore in un universo parallelo catapultato indietro nel tempo tra un r’n’b anni settanta e qualcosa di più arcano, ancestrale, quasi magico. Il progetto creato da Mr. Steve, all’anagrafe Stefano Taboga, raduna al proprio interno musicisti a rotazione capaci di improvvisazioni sonore riadattando ad ogni occasione i pezzi sia per pochi elementi che per l’intera band al completo. Da bomb è un disco che affonda le radici nell’anima più soul che ci portiamo dentro, è una manciata di canzoni che segna a tempo di rock il cammino da seguire e lo fa attraverso dodici brani caratterizzati da una forte impronta personale. I The high jackers sono una band che richiama inevitabilmente al passato, sia per capacità intrinseca che per doti di comunicabilità, pur mantenendo al proprio interno elementi di contemporaneità e originalità. Da Burgers and beers a This is the sound i nostri confezionano una prova unica nel suo genere. 


Afar Combo – Majid (Music force/Toks Records)

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Ci sono delle sensazioni nell’aria da club d’avanguardia che riesce a far suonare sul proprio palco uno stile inconfondibile che incrocia l’energia e il movimento di un mondo intero, un suono capace di abbracciare i continenti per come li conosciamo, le Americhe, l’Asia fino ad approdare alla’Africa e i paesaggi sterminati di un jazz accogliente, vellutato, corposo e soprattutto ben suonato. Gli Afar Combo sono in quattro e fanno musica d’atmosfera, intercettando le sensazioni di un jazz sopraffino sporcandolo e contaminandolo con i viaggi e con tutto ciò che possiamo apprendere dalle nostre divagazioni, lontano dai nostri paesi, lontano dalle nostre città. Pezzi incastonati come  l’apertura Rokia, Paesaggio, Mare, la canzone che dà il nome al disco, la finale Bulga bulga sono l’esemplificazione del ritmo incarnato, del bisogno di comunicare, oltre le barriere, significati che attraverso la musica degli Afar Combo ritrovano un’umanità perduta, un posto nel mondo da occupare.


Paoloparòn – Vinacce/Canzoni per inadeguati (Music Force/Toks Records)

Alchimista dei suoni incentrati su di un volere che va oltre le mode attuali, ma che piuttosto si stabilisce laddove la musica frenetica del momento sembra fermarsi in un solo colpo per accostare il proprio approccio ad una ricerca costante e di puro effetto inebriante. Le Canzoni per inadeguati di Paoloparòn prendono vita e crescono lungo i tralci invernali lasciati al tempo che verrà, sono composizioni che uniscono generi su generi, letture su letture mescolando un prog di ciò che è stato con un cantautorato sghembo a tratti impegnato che stabilisce con l’ascoltatore un’unione di pensieri e situazioni che inevitabilmente sono chiara esemplificazione di questa nostra vita vissuta. Pop rock stagionato quindi che non disdegna approcci ammiccanti in pezzi come L’allegro caos delle scolapiatti, La domenica del supermercato, la stessa title track passando per Via Bertaldia blues a sancire un desiderio espresso chiaramente di parlare con linguaggio diretto avvicinando l’orecchio alle piazze e alle case della gente, fonte d’ispirazione primaria per questa ed altre soddisfazioni ritrovate sul fondo di una bottiglia chiamata vita. 


Rose – Moving Spheres (Music Force/Toks Records)

Soul d’atmosfera che incanta per rarefazione divincolata a dovere pronto a riempire di luce stanze buie e sterili, una musica capace di far brillare una perla dal suono corposo e tenebroso, un fiore dal temperamento cadenzato che sboccia pian piano quando meno te lo aspetti. Moving spheres è un disco composito e stratificato, un album che racchiude al proprio interno sei canzoni capaci di dare un senso al percorso artistico della giovane polistrumentista Rosa Mussin, sei pezzi che raccolgono il segreto della motown per trasferirli all’interno dei sogni di provincia in una cascata di pienezza che si fa rotondità avvolgente e tendente, con lo sguardo, alla ricerca di nuove vie di fuga per sperimentare senza mai perdere il controllo. Canzoni come Relation, la stessa title track o Amused si collocano tra le più riuscite dell’intera produzione per un album davvero notevole sotto diversi punti di vista. Ricerca quindi e amore per il passato sono le chiavi intrinseche per entrare all’interno di questo onirico mondo fatto reale, un viaggio tra le carezze della sera e il caldo abbraccio prima di dormire, prima di chiudere gli occhi ancora.

Reveers – To find a place (Music Force/Toks Records)

Oltre la nebbia dei nostri ricordi esiste un gruppo di giovani ragazzi, ma veramente giovani che sono stati in grado di intrappolare un’istantanea davvero alternative di un momento astratto che in qualche modo si è fatto visione perpendicolare e piena di forza, vitalità e freschezza. I Reveers, band di Udine, è riuscita a fondere il meglio dell’indie d’oltre manica con una musica proveniente direttamente dagli anni ’80 cucendo malinconie che si sono fatte realtà cesellata a dovere. Arpeggi in dissoluzione fanno da contraltare a veri scoppi di potenza che possiamo ascoltare lungo tutti gli otto brani proposti in accenni sospirati e tutt’altro elementari di una band che, nonostante l’età, ha forse già trovato la propria strada. Canzoni come l’apertura Low to the ground o Waves from the sky non passano di certo inosservate fondendo l’attimo in una pura eccitazione e inquadrando il gruppo come essenza di un talento giovanile davvero invidiabile. Sentiremo ancora parlare di loro, o almeno lo spero.

Blue Cash – When she will come (Music Force/Toks Records)

Velocità in transizione capace di alzare polveroni occidentali in grado di abbattere il tempo perduto e consegnarlo sotto forma di acustiche visioni impazzite e senza sosta grazie ad uno spirito acustico che si fa ritmo, tenacia perseguibile e bontà di fondo capace di consegnare a questo giovane quartetto la forza per una prova a tratti irresistibile, a tratti meditata. I Blue Clash fanno della potenza controllata il loro cavallo di battaglia, lo fanno con stile, con la classe di chi non ha nulla da perdere ma solo da guadagnarci. Ecco allora che dal cilindro esce un disco davvero ben equilibrato e a tratti sorprendente, un album che unisce la canzone d’autore con il rockabilly, unendo realtà disomogenee e lontane, diverse, ma astutamente intrappolate nella tela intessuta dal gruppo. Le prime canzoni presenti nel disco hanno il sapore di un vero e proprio intro scoppiettante che si concedono fino ad arrivare a pezzi autoironici nel finale come Maledetti Cash in una manciata di brani, dodici davvero che portano con sé il sapore delle cose semplici e genuine, fatte per amore della musica e irrobustite da una passione senza fine.

Simone Piva e I viola velluto – Il bastardo (Music Force/Toks Records)

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Sentimenti westernati per anfratti polverosi in caverne della nostra realtà che centrifugano con vicissitudine desiderosa lo scoprire il nostro venire al mondo tra teatro canzone, parlato, sussurrato, gridato con forza e mai mascherato, in un’arte che si fa musica ed è essa stessa musica per l’arte e dove il folk riunisce e convince decretando spazi d’azione che nell’attimo si fanno portatori solari e canicolari di desideri psichdelici. Simone Piva e I viola velluto confezionano un album dal forte carattere deciso dove le metafore all’interno dei pezzi sono spaccati di vita che rispecchiano una società da cambiare con forza oltre le regole precostituite. Una formazione di batteria, percussioni, contrabbasso, trombe, piano e chitarre fanno da base ad un disco composto di sette pezzi dove il sentimento predominate verso luoghi lontani fa da contraltare ad un bisogno innato di scrivere la realtà con parole da cinema ormai dimenticato. Dalla title track di presentazione Il bastardo fino alla finale Noi che vede la presenza del cantautore Giò, i nostri riescono a registrare un amore incanalato all’interno di un saloon del vecchio west, un amore polveroso per tutto quello che non c’è più, ma che trova dei rimandi evidenti ed essenziali con tutto ciò che invece ci circonda.

Giò – Succederà (Music Force /Toks Records)

Passione implementata a dovere nella creazione di attimi, bagliori, poesie esistenziali che accomunano il nostro vivere e fanno della sensazione musicale un punto d’attracco per il nostro modo di pensare. L’album di Giò, Succederà, è un rincorrere gli eventi raccontandoli, attraverso un rock contaminato da diversi e numerosi stili come l’hip hop, senza preoccuparsi dell’eterogeneità del risultato finale, ma piuttosto inglobando energie per narrare il singolo attimo, il singolo momento proposto. Il cammino di Giordano Gondolo parte nel lontano 1986 quando le prime canzoni significavano possibilità di mettere su carta il proprio vivere, poi i dischi con le altre band e i riconoscimenti, fino ad ora con la prima prova solista che rappresenta una manciata di canzoni a dipingere un album dai colori energici e puntuali dove l’essenza stessa del ricordo si fa soggetto presente ed essenziale. Da Io sarò lì presentata in doppia versione si passa all’importanza di Quello che voglio e poi via via a convogliare pensieri nella bellissima Cose che non ho visto mai. Un album che parla di noi, un disco che non cerca le mezze misure, ma che piuttosto segna un traguardo di falso arrivo da dove forse bisogna partire per riuscire, con forza, a raccontare ancora ciò che più ci rappresenta.

Parco Lambro – Parco Lambro (Music Force/Toks Records)

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Sperimentazioni sonore a caccia di astratte concezione neuronali che si affacciano al mondo dell’onirica realtà in concentrati di jazz, elettronica, psichedelia rarefatta, gusto introspettivo e capacità migliore di far uscire dal cilindro magie strumentali di indubbio valore. I Parco Lambro intascano questa prova targata duemilasedici in un contesto di rilevanza e soprattutto in continua mutazione generale dove sentieri in discostante aumento e degrado vengono via via segnati nel ritrovare la strada verso casa. Sono cinque pezzi che accelerano a dismisura fino a trovare  dei punti di sbocco concentrici, tra la passione e le meraviglie del prog degli anni ’70 fino a convogliare al suolo l’inutilità che appare alla ricerca costante nel creare cattedrali sonore che riempiono di ibride teorie il mondo che essi stessi occupano. L’omonimo disco è un frullato di sensazioni arcane suonato egregiamente e convincente quanto basta da augurare loro una giusta, proficua e continua rappresentazione di uno stile di certo unico e originale.